14. Appendice. L'ABORTO

Che cos'è l'aborto?

            Fino a venti o trent'anni fa alla domanda «che cos'è l'aborto?» si rispondeva molto semplicemente: l'aborto è l'uccisione di un bambino non ancora nato, l'uccisione di un essere umano, la cui peculiare debolezza consiste nell'incapacità di sopravvivere fuori del seno materno. Si davano due valutazioni morali di questa azione:

            1) era un omicidio giustificabile in alcuni casi. Questa fu la posizione di molti non cattolici, anche se, ovviamente, non di tutti;

            2) era un omicidio non giustificabile, ossia era sempre un assassinio e, pertanto, non poteva mai essere lecito. Fu la posizione dei cattolici, condivisa, in genere, dai greci ortodossi e da numerosi altri gruppi o sètte.

            Le ragioni della prima posizione — omicidio «giustificabile» — erano semplici: che in caso estremo (l'unico contemplato) di conflitto tra la vita della madre e la vita del bambino, la vita della madre era più importante e bisognava sacrificare quella del bambino, perché sopravvivesse la madre. Il caso era considerato «estremo» se il lasciar portare a termine la gravidanza avesse comportato la morte della madre e — probabilmente — anche del bambino.

            Che cosa si può pensare di questa posizione? Due cose: a) che verosimilmente è ispirata da un sincero senso umanitario; b) che il principio sul quale si basa — che una vita umana vale più di un'altra, e che si può uccidere una persona innocente, non aggressore, per salvarne un'altra — apre inevitabilmente le porte a quella posizione che oggi sta generalizzandosi sull'aborto: la posizione di coloro che sono per l'aborto on demand, l'aborto su richiesta, senz'alto giustificazione oltre al fatto che lo richieda la madre, o magari lo Stato.

            Sulla posizione cattolica basterà dire, per il momento, che si basa sulla chiara ragione che ogni essere umano riceve la vita direttamente da Dio e solo Dio può riprenderla, a meno che uno si metta in condizione di cedere il diritto alla vita rendendosi colpevole di un'aggressione criminale volontaria. È impossibile immaginare una persona più innocente di un bambino non ancora nato; dunque non lo si può uccidere per nessuna ragione.

            Questa era la situazione sull'aborto fino a pochissimi anni fa: una situazione in cui era facile scoprire o precisare i punti di accordo e quelli di disaccordo. Accordo, da entrambe le parti, quanto alla natura dell'aborto: che era uccidere un bambino, che era un omicidio, che l'esserino contenuto nel seno materno era un essere umano, una persona umana. E disaccordo quanto alla liceità di questo omicidio: per alcuni era sempre illecito; per altri in alcuni casi era gravissimo, in altri giustificabile, e in altri ancora lecito. Bisogna aggiungere che, anche nei Paesi dove prevaleva quest'ultima posizione e la legislazione civile riconosceva la legalità dell'aborto— solo in quei casi estremi— la stessa legislatura proibiva e puniva gli aborti procurati, senza prevedere casi o circostanze eccezionali.

La posizione attuale

            Se analizziamo la situazione odierna, risulta che alla domanda «che cos'è l'aborto?» si danno non due, ma tre risposte:

            1) che è un omicidio non giustificabile, ossia la posizione cattolica, nuovamente affermata dal Concilio Vaticano II, il quale afferma, nella «Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo» [1], che l'aborto è «abominevole delitto»;

            2) che è un omicidio giustificabile, in determinate circostanze, e questa è la posizione, già commentata, di alcuni non cattolici;

            3) che non è affatto un omicidio. E questa è la nuova posizione della quale soprattutto mi vorrei occupare, perché è la posizione di coloro che attualmente sono per la cosiddetta riforma o «liberalizzazione» della legislazione sull'aborto, ed è la posizione ideologica — la nuova base «morale» — che vorrebbe giustificare l'ingiustificabile.

Riformulare il problema

            L'aborto, dicono i nuovi riformatori liberali, non è affatto un omicidio, per una ragione molto semplice: ciò che si uccide non è un essere umano. Ciò che si trova nel seno materno, in fase di sviluppo, non è umano.

            Come si vede questa posizione implica un'impostazione radicalmente diversa del problema dell'aborto, tanto diversa che, una volta accettata la nuova impostazione, il problema scomparirebbe quasi completamente per molti, e non comporterebbe — a loro avviso — alcuna conseguenza di carattere morale.

Il perché di questa nuova impostazione

            Prima di giudicare questa impostazione è interessante domandarsi come e perché sia sorta in così pochi anni. La risposta non è difficile.

            A tutti piace sentirsi umanitarii. Ai «liberali» di oggi, della scuola morale positivista, piace non solo sentirsi umanitari, ma anche potersi proclamare tali.

            Il senso umanitario e liberale dei non cattolici di trent'anni fa accettava, senza alcuna difficoltà, che la vita di un bambino non ancora nato si dovesse sacrificare per salvare la vita di una madre. Sono passati gli anni e, con gli anni, si sono introdotti due nuovi fattori. Il primo consiste nel fatto che il progresso della medicina ha praticamente eliminato il dilemma estremo di dover salvare la vita della madre o quella del bambino. Nonostante questo — e siamo al secondo fattore — è cresciuta la domanda di aborti. I motivi sono molti. Ci sono anche alcune ragioni o «indicazioni» di tipo medico: la scarsa salute della madre, il peso che una gravidanza rappresenta per i suoi nervi, eccetera. Ma, in genere, le ragioni sono di indole meramente antinatalista: e, per quanto vengano impacchettate entro statistiche apparentemente disinteressate o problemi demografici mondiali, le ragioni concrete nei casi particolari — almeno nei Paesi occidentali — si riducono all'incapacità di guardare il bambino con amore: lo si guarda come nient'altro che un peso — il peso della gravidanza e delle cure di cui successivamente avrà bisogno —, non si accetta il fatto che, se nasce, la famiglia dovrà rimanere senza qualche comodità materiale, quando non si tratta della semplice mancanza di inclinazione della madre a portare e dare alla luce il bambino che ha generato.

Il feto ridotto a una «cosa»

            Uccidere un bambino per salvare la vita di una madre non ripugnava al senso umanitario di alcuni liberali di trent'anni fa. Però uccidere un bambino per salvare la comodità della madre — la seccatura di una gravidanza già in atto — o per salvare il benessere degli altri figli, la posizione economica o la reputazione della famiglia, è qualcosa che urta il senso umanitario di chiunque, per liberale che sia.

            Ma è stata escogitata una soluzione semplicissima. E eccessivo sopprimere la vita di un bambino per il capriccio di una madre, per la comodità di una famiglia o per il bene della società? Ebbene, basta dire che non si sacrifica la vita di un bambino; che si tratta solo della vita di un feto. Concludiamo, poi, con la felice idea di non si sa bene chi, che il feto non è umano (concludiamo, dico, perché dimostrarlo non si può), e così non c'è ne omicidio ne infanticidio, ma solamente feticidio che — persuadiamocene — non ha più importanza, nell'ordine morale, dell'uccisione di alcuni microbi — corpi estranei e non desiderati — con un'iniezione di penicillina.

            Ecco il nuovo inquadramento morale della questione — non più problema — dell'aborto. Ciò che si obietta — sembrano essersi chiesti — è che l'aborto è un omicidio; ovviamente, sarà difficile — almeno nei nuovi casi che ci interessano — giustificare un omicidio: dunque non perdiamo tempo nel cercare di giustificarlo. Diciamo, con tutta semplicità, che non è un omicidio, perché ciò che viene abortito non ha natura umana; pertanto non è una persona, è una cosa; e siccome le cose non hanno diritti il problema non sussiste.

Aborto in due tempi

            Ciò che questa impostazione ci offre è, per così dire, un aborto in due tempi: un'operazione chirurgica preceduta da un'operazione metafisica. Un aborto fisico con previo tranello metafisico: il tranello di sopprimere l'identità umana dell'essere vivente contenuto nel grembo materno. Dopo questo intervento metafisico — operazione veramente indolore (basta anestetizzare la coscienza) — non c'è difficoltà alcuna per intervenire chirurgicamente o farmacologicamente e sopprimere quanto c'è nel grembo materno, che, privato della sua condizione umana, non è un «io» ma nient'altro che una «cosa».

            Afferriamo bene questo punto. L'argomento essenziale dell'abortismo moderno — eccetto due casi di cui tratteremo dopo — non consiste nell'aver trovato qualche nuova indicazione o ragione a favore dell'aborto, motivi di peso finora sconosciuto: l'argomento è un altro, ed è importante, ripeto, comprenderlo. Non si dice che vi sono ulteriori ragioni per uccidere il prodotto del concepimento, ma che il prodotto del concepimento ha meno importanza di quanto si pensava che ne avesse; ha meno valore, non ha valore umano, non possiede diritti umani.

L'argomento cattolico

            Tutto l'argomento cattolico — ed è, da tutti i punti di vista, anche l'unico argomento veramente razionale, veramente scientifico e veramente umanitario — si basa sulla convinzione che il bambino non ancora nato è già un essere o persona umana e gode dei diritti naturali di ogni essere umano, tra i quali il principale è il diritto alla vita; e che, inoltre, la sua condizione peculiare di essere umano indifeso gli conferisce il diritto a una speciale protezione da parte delle leggi civili. È interessante ricordare che le Nazioni Unite, nella sessione plenaria del novembre 1959, approvarono all'unanimità una dichiarazione sui diritti del bambino nei seguenti termini: «II bambino, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di una speciale protezione e di cure particolari, compresa un'adeguata protezione legale, tanto prima che dopo la sua nascita», dichiarazione rinnovata successivamente nella Conferenza internazionale dei diritti dell'uomo svoltasi a Teheran nel maggio 1968.

Il contributo dell'embriologia

            Dal punto di vista teologico la vita umana comincia con l'infusione, da parte di Dio, dell'anima nell'embrione. Anche se non c'è stata alcuna dichiarazione dogmatica sull'argomento, l'insegnamento costante della Chiesa è che l'inizio della vita umana personale va fatto risalire al momento del concepimento stesso: il momento nel quale si è prodotta la fecondazione dell'ovulo [2]. Questo insegnamento si riscontra nella relazione tra alcune date liturgiche — l'Annunciazione (25 marzo) e il Natale; l'Immacolata e la Festa della Nascita della Vergine (8 settembre) — ed è avvalorato dalle disposizioni del Diritto Canonico. Orbene, è significativo e interessante comprovare che questo costante insegnamento della Chiesa è appoggiato e pienamente convalidato dalle moderne scoperte scientifiche dell'embriologia. Ciò è tanto vero da potersi affermare che, da un punto di vista scientifico, la verità dell'insegnamento cattolico è fuori discussione. Infatti, le moderne ricerche dell'embriologia hanno dimostrato che l'essere umano, dal punto di vista organico, è già pienamente costituito fin dal momento della fecondazione, e che tutto ciò che ne consegue non è altro che il processo di sviluppo di un organismo già esistente, senza che si possa segnalare alcun dato o fatto successivo nuovo, ipotizzabile come il punto d'inizio di una vita umana o personale.

Arbitrarietà della posizione abortista

            E significativo che i nuovi abortisti non parlino mai di un bambino non ancora nato. Impiegano, rigorosamente, il termine di feto. Se si chiede loro che cos'è un feto lo definiscono come «vita umana potenziale», o semplicemente come «vita potenziale». Quando si vedono obbligati a sviluppare la loro linea pseudo-filosofica o pseudo-giuridica — legalista —, pretendono che questa vita potenziale, questa potenzialità, non diventi vita umana attuale, reale — con i diritti corrispondenti — fino al momento della nascita o, almeno, fino a che il feto sia autosufficiente. Questo, come chiunque può costatare, è mero arbitrio e non può basarsi su alcun dato razionale o scientifico. È frutto e invenzione di un pregiudizio, nient'altro. Si può seriamente sostenere che il prodotto del concepimento è umano il giorno in cui viene alla luce, mentre non lo era il giorno prima, quando stava ancora nel grembo materno? E se è questione di autosufficienza, si può dire che un bambino appena nato è significativamente più autosufficiente di un bambino ancora nel grembo materno? Semmai lo è meno. Infatti occorrono più cure per alimentarlo, per badare, per esempio, che non cada per terra, attenzione che, quando era nel seno materno, la madre stessa gli garantiva con maggiore sicurezza.

            Se non si acquistano personalità umana e diritti umani fin quando non si è realmente autosufficienti, cioè fin quando non ci si può difendere da soli e sopravvivere con mezzi propri, è difficile credere che un bambino al di sotto dei sei o sette anni sia realmente una persona umana. Ripeto: tutti gli argomenti della scienza contraddicono la posizione degli abortisti e concordano con quella cattolica. Si domandi, infatti, a un medico non cattolico che ha provocato un aborto se ciò che ha estratto dall'utero non è altro che una cosa, o se piuttosto è un essere vivente. E se è un essere vivente, di che specie è? No; la posizione degli abortisti non è scientifica; risponde a un interesse, e un interesse per niente umanitario.

La donna che abortisce

            Come sacerdote ho imparato a distinguere tra il peccato e il peccatore. Ho anche imparato che, anche se si possono e, a volte, si devono giudicare le azioni e i fatti, è difficile e rischioso giudicare le persone. Soltanto Dio può farlo. In un momento di tentazione può anche aver pesato, su una donna incinta — che non vuole avere un bambino e decide di abortire — un buon numero di fattori: la formazione personale, l'influenza dell'ambiente, dei parenti o degli amici, la solitudine, la paura, la tensione nervosa. Non possiamo giudicare il grado di colpa che può avere una donna in tale situazione. Solo Dio, che ha presenti tutti i fattori, può giudicarla. Noi, però, possiamo giudicare, o almeno opinare, su un altro aspetto: che cosa sarà di questa donna, in termini umani, a seconda che si penta o meno di ciò che ha fatto.

            Non possiamo ingannarci: la donna che si è procurata un aborto sa che ha determinato la morte, l'assassinio, del suo bambino, del frutto del suo grembo. E la sua coscienza ne resta profondamente ferita. Una società permissiva forse non trova grande difficoltà a perdonare la sua azione. La cosa peggiore è che lei stessa non sarà capace di perdonarsela. E se riesce a ridurre al silenzio la propria coscienza, la mia esperienza è che lo fa a costo di insensibilizzarsi moralmente, di distruggere il suo senso dei valori, di defemminilizzarsi, di disumanizzarsi. La sua capacità di amare, e il suo istinto materno, possono subire un'irreparabile lesione.

            La Chiesa non condanna mai le persone. Se condanna il peccato o le azioni cattive è perché le persone abbiano le idee chiare, perché guardino alla propria coscienza — che pure le accusa — perché, pentendosi, possano ottenere il perdono e la pace. Sono quanti condonano le azioni immorali che possono condannare una persona a una terribile vita di tortura mentale.

Personalizzazione & spersonalizzazione

            Potremmo ricordare ora un altro pseudo-argomento degli abortisti, secondo il quale il carattere di persona del bambino non ancora nato dipenderebbe non da fatti biologici, e neppure da fattori temporali (autosufficienza, nascita), ma da un fattore psicologico. Mescolando alcuni concetti di psicologia moderna — concetti che sottolineano l'importanza delle relazioni inter-soggettive nel processo di «personalizzazione» — alcuni abortisti domandano se il bambino non ancora nato è persona prima di essere stato accettato dai suoi genitori; se manca questa accettazione — essi dicono — non può essere considerato persona, ne avere diritti [4]. Questo argomento rende superato, in gran parte, l'argomento dell''«autosufficienza». «Prova» troppo. A questa stregua neppure un bambino di un anno, o di cinque, sarebbe persona se i suoi genitori non lo avessero «accettato». Evidentemente è prima di generare un figlio, e non dopo, che i genitori devono decidere se lo vogliono o no. Prima era davvero una possibilità, nient'altro che una «potenzialità»; dopo è una realtà, e questa realtà è una persona, una persona di un giorno o di un mese. È una persona che, pertanto, possiede una sua personalità in tutto il pieno senso umano che la rende soggetto di diritti.

            A ben guardare si vede che c'è un errore in questo argomento della personalizzazione. Si tratta di un equivoco che, esaminato nei suoi punti nodali, si ritorce contro gli stessi propugnatori. Qualora in effetti ci si domandi se il bambino non ancora nato ha una sua «personalità» nel senso psicologico comune — nel senso di possedere tutto un proprio modo personale, non solo di essere, ma anche di pensare, di parlare, di agire —, la risposta è negativa. In questo senso il bambino non ancora nato non è «personalizzato», ne lo è il bambino di un giorno o di un mese; e lo è poco il bambino di tre o cinque anni.

            Per il processo di «personalizzazione», di sviluppo della propria personalità, è evidente che occorrono anni, tutti gli anni della vita. Solamente con gli anni — con tutto ciò che gli anni comportano di esperienza umana, di generosità o di egoismo, di virtù o di peccati, di saper rispettare e amare gli altri o di non averli saputi amare, di saper accettare responsabilità giuste o di averle rifiutate — si forgia la personalità. Autorealizzazione per donne «liberate»?

            Ora, questo argomento della «personalizzazione» — che non ha alcuna validità per il bambino non ancora nato (che personalità può sviluppare una persona che viene uccisa?) — trova grande applicazione per la madre che abortisce. Infatti ci si può chiedere (e in qualche modo si può prevedere): «Che tipo di personalità sviluppa una persona che uccide?».

            La psicologia moderna afferma che l'essere umano si «realizza» soprattutto nelle sue relazioni con gli altri, e che uno degli indizi più chiari di personalità o di mancanza di essa è la capacità o la incapacità di interrelazionarsi personalmente.

            Che personalità può sviluppare una donna che, davanti alla più intima relazione interpersonale immaginabile — la relazione della sua persona con quella del figlio che ha generato; la relazione (veramente unica) del suo corpo con il corpo del bambino nelle sue viscere — rifiuta e distrugge questa relazione, uccidendo suo figlio e consegnandone il corpo all'inceneritore dell'ospedale? Che tipo di relazioni successive sarà capace di realizzare la donna che, di fronte a questa relazione sacra madre-figlio, è stata capace di estirpare dal proprio cuore ogni istinto materno e ogni misericordia, estirpando dal suo corpo il proprio figlio? È triste la propaganda che presenta l'aborto come «diritto» di ogni donna, reclamandolo proprio in nome del cosiddetto movimento di «liberazione» della donna. Più tristi sono le donne che si servono di questo «diritto». Chi le «libererà», dopo, dalla coscienza di ciò che, contro il più intimo istinto umano, hanno fatto?

            Quando, alcuni anni fa, si stava dibattendo la proposta di «liberalizzazione» inglese, assistetti a un programma della BBC nel quale venivano intervistate alcune donne che avevano avuto diversi aborti ciascuna. Le domande dell'intervistatore erano dirette a «comprovare» un punto: che non avevano sofferto alcun effetto dannoso, ne fisico ne psicologico.

            Le risposte avvalorarono totalmente la tesi. Io non posso, però, cancellare alla mia memoria l'espressione indurita di quelle donne, il loro modo di rispondere — con evidente ansia di autogiustificarsi —, la loro insistenza sul fatto che non avevano mai provato niente, ne rimorso ne ripugnanza, la loro aria di orgogliosa e triste solitudine; l'impressione, infine, di ciò che ho commentato prima: di una defemminilizzazione e di una disumanizzazione brutali.

            Vorrei adesso esaminare due punti: due nuove «indicazioni» o argomenti che sogliono apparire sempre più spesso nella campagna pro-aborto. Lo farò brevemente, non perché siano argomenti meno importanti — sono terribilmente significativi e importanti —, ma semplicemente perché lo spazio a disposizione non ne permette una trattazione più ampia.

L'argomento eugenetico

            II primo argomento è quello delle cosiddette indicazioni «eugenetiche», cioè la probabilità o la possibilità che il bambino già concepito nasca con tare fisiche o mentali.

            Tutte le nuove legislazioni approvate o proposte hanno una clausola che legalizza gli aborti provocati per questi motivi. La clausola che contiene l'indicazione eugenetica è di solito molto breve. Molta gente, probabilmente, la guarda come un'indicazione in più, dello stesso ordine, o quasi, delle altre.

            Non lo è. Se la filosofia o la concezione di vita che è alla base delle altre indicazioni è repellente, l'ideologia sulla quale si basa questa clausola è di ordine infinitamente peggiore. Effettivamente questa indicazione risponde non già a un mero egoismo edonista o al materialismo individualista; con questa piccola clausola si sta introducendo — legalizzandola — nei Paesi occidentali una chiara, aggressiva e ripugnante filosofia: la filosofia della purezza della razza che, nell'essenza, differisce poco o niente dalla dottrina hitleriana. È l'eugenismo: non vogliamo razze inferiori, non vogliamo individui «sotto la media» che possano intorbidare la tranquilla contemplazione del nostro Felice Mondo Nuovo, sospingendoci alla compassione, chiedendoci un'elemosina o un po' d'affetto, o ricordandoci che c'è un Dio che dovremmo ringraziare per tutte le cose buone che possediamo.

Vite senza valore

            Rendiamoci conto di ciò che significa questa clausola. Significa che ogni volta che viene applicata una o più persone stanno formulando il seguente giudizio: «Secondo noi», e stanno parlando di un altro essere umano esistente, «questa vita non vale la pena di essere vissuta. E una vita tanto difettosa che è meglio che muoia». Questa osservazione è valida anche per coloro che sostengono che il feto non è ancora una persona umana; infatti formulano lo stesso giudizio: «Questa vita, se non la uccidiamo, diventerà una persona umana, una vita umana indegna di essere vissuta, pertanto uccidiamola». La base essenziale — l'unica — sulla quale si possono costruire i diritti democratici è che ogni essere umano è un valore inviolabile; e che nessuno — nessuno Stato, nessuna autorità, nessuna persona — può giudicare inutile, senza valore, eliminabile, la vita di un'altra persona.

            Si può costatare che una persona sta vivendo in condizioni indegne, e allora ci si impegnerà a migliorare queste condizioni. Questo è umanitario. Ciò che non si può fare — in nome dell'umanitarismo — è giudicare una persona indegna di vivere, anche se debba vivere in condizioni indegne. Questo giudizio non è umanitario, è totalitario. Quando si formula un simile giudizio l'umanitarismo non esiste più.

Conseguenze dell'eugenismo

            Molti altri commenti si potrebbero fare sull'indicazione eugenetica. Mi limiterò a due:

            a) La previsione di possibili tare del bambino non può farsi con sicurezza totale. Procurare l'aborto, per questo motivo, comporterebbe l'uccisione di una percentuale abbastanza elevata — che alcuni affermano aggirarsi attorno al 50% — di bambini totalmente sani. Sarebbe molto più logico, secondo 1'«umanitarismo» dei princìpi eugenetici, lasciare che tutte le gravidanze giungessero a termine e poi, una volta nati i bambini, uccidere quelli che effettivamente sono tarati. Forse questo ripugna? D'accordo; ripugnante, infatti, è la logica dell'eugenetica.

            b) Se alcune vite, giacché imperfette, non valgono la pena di essere vissute, se è più umanitario impedire che una persona nasca, uccidendola, perché potrebbe risultare tarata, è ancora più umanitario, sotto tutti i punti di vista, uccidere una persona sicuramente tarata, dell'età di un giorno o di un anno, o di venti, quaranta o sessant'anni. La si uccide perché non ha una vita umana a pieno diritto; la si uccide, forse, non perché ha il «difetto» di essere ebrea, ma perché ha l'altro difetto di essere demente o incapace o malata o vecchia. Accettato l'aborto eugenetico, lo si voglia o no, si sono accettati non solo i princìpi dell'eutanasia, ma anche tutti i princìpi della politica della purezza razziale, dell'eliminazione di coloro che non soddisfano il vigente controllo di qualità del genere umano.

            Esagero? Non sto esagerando. Sto prevedendo. Sto ricavando le conseguenze logiche della nuova filosofia, la filosofia dell'aborto, proiettandole nella realtà di un futuro forse non molto lontano. Il mondo di domani sarà il prodotto delle tendenze e delle ideologie che sono prevalse nel mondo di oggi; come sarà questo mondo? Non si deve fare come gli struzzi; bisogna saper leggere i segni dei tempi, vedere dove va gran parte della civiltà moderna e domandarci se vogliamo andare anche noi in quella direzione. Se non ci facciamo un quadro chiaro della situazione, la cosa più probabile è che saremo travolti.

Scomunicare sé stessi dall'umanità

            Insisto. L'aborto tollerato o legalizzato, guardato con indifferenza o approvazione, è una barbarie difficilmente superabile. E, a mio giudizio, una chiara manifestazione di come la stessa civiltà vada soffocando le proprie prospettive di sopravvivenza.

            Si spiega che la Chiesa sottolinei anche giuridicamente la gravita di questo crimine abominevole, comminando la scomunica ipso facto non solo alla donna che si procura un aborto, ma anche a tutti coloro che in esso intervengono efficacemente, anche semplicemente consigliando [5]. Di fatto, chi tenta di giustificare l'aborto scomunica sé stesso dalla comunità umana più elementare, dalla comunità di coloro che si sforzano di rispettare i diritti umani degli altri, di qualunque religione, razza, colore, posizione sociale, condizione di salute fisica o mentale o di età.

L'argomento demografico

            II secondo argomento nuovo che viene impiegato, anche se non molto apertamente, per appoggiare l'aborto, è l'argomento demografico. Ci sono già Paesi dove l'aborto è imposto come mezzo di controllo demografico. Per il momento, comunque, è più forte la pressione in senso contrario: ossia la costante propaganda intorno alla questione demografica è un fattore che favorisce l'aborto. Questa propaganda cerca di convincere l'opinione pubblica che non bisognerebbe avere più di uno o due figli, che si tratta di un dovere urgente e imperativo, che il contrario è una grave mancanza di responsabilità e può diventare un crimine sociale enorme. In questo modo diventa sempre più facile persuadere la gente che l'aborto non è affatto un crimine, che anzi è il mezzo più adatto per compiere un dovere. L'aborto, quindi, diventa la strada più efficace per frenare la crescita demografica; non occorre essere dei geni per comprendere che il modo più sicuro per non essere in troppi è uccidere quanti sono in eccesso. Questo, nella sua reale crudezza, è il giusto modo di impostare il problema per alcuni, anche se non osano ancora presentarlo in questi termini. Ma è così; sulla base di questa impostazione c'è da domandarsi se esista qualche sostanziale differenza tra il mitra e il bisturi.

 

NOTE

[1] Cost. Gaudium et spes, n. 51.

[2] Alcuni teologi medievali si ispirarono al principio della filosofia scolastica che l'anima è la «forma sostanziale» del corpo come base per una teoria di «animazione ritardata» la quale spiega che il feto ha, in principio, un'anima vegetale o tuttalpiù animale, e che l'anima umana e razionale gli viene infusa soltanto quando è sufficientemente sviluppato e può costituire un «ricettacolo» adeguato per questa forma sostanziale. In base a questa teoria era impossibile stabilire altro che un momento arbitrario per l'«animazione» —cosa che alcuni scolastici, infatti, fecero (40-80 giorni dopo il concepimento). L'embriologia moderna ha contribuito al rifiuto di questa teoria e al ritorno alla precedente posizione (presa, per intenderci, da Padri della Chiesa come san Basilio e san Gregorio) che l'anima razionale è presente dal momento del concepimento. Come si può osservare la filosofia mantiene un debito nei confronti della fisiologia nella ricerca di una comprensione scientifica dello stadio in cui l'organismo umano è fondamentalmente costituito; per esempio lo stadio basilare della fertilizzazione, nel quale esso può ricevere la sua «forma sostanziale».

[3] Cfr Codice di diritto canonico, can. 747.

[4] Qui agli argomenti embriologici esposti precedentemente potremmo aggiungere l'argomento di tutte le giurisprudenze antiche e moderne, che riconoscono al bambino non ancora nato la piena personalità giuridica, espressa, per esempio, nella sua capacità di ereditare.

[5] Codice di diritto canonico, can. 2350.