Rifiuto di legami definitivi?
Non c'è periodo storico senza le sue crisi specifiche. A parer mio, una delle più rilevanti del giorno d'oggi, nonché delle più singolari, è la crescente divisione tra l'uomo e la donna. La relazione fra i due sessi è sempre più contrassegnata da sospetti, tensioni, attriti e persino da antagonismi. L'idea che l'uomo e la donna siano fatti l'uno per l'altro e, in particolare, per quella peculiare unione denominata matrimonio — idea che è a noi giunta attraverso i secoli —, è messa seriamente in pericolo. Anche oggi si instaurano o si tentano unioni, in qualche modo matrimoniali o quasi-matrimoniali, ma esse non sono solite durare.
Almeno nei Paesi occidentali, la gente è profondamente scettica circa una qualsiasi relazione permanente tra marito e moglie. Non si crede più che valga la pena intessere una tale relazione o che essa possa essere tenuta stabilmente in vita. Questa sfiducia nel matrimonio, che denota un fondo di pessimismo riguardo alla possibilità di rinvenire un amore felice e durevole nella propria vita, è una crisi di massima importanza per l'intera umanità.
Anche non pochi cattolici sono stati indotti gradualmente a ritenere che il matrimonio aperto al divorzio sia migliore del matrimonio congiunto alla indissolubilità: un fatto che fa necessariamente riflettere. In termini teologici, potrebbe essere visto come una tentazione contro la fede, dal momento che l'indissolubilità è un dogma definito (Denzinger, 1807). Come tale, non è una tentazione da poco; tuttavia, non si tratta di un'evenienza sorprendente se ricordiamo la reazione suscitata da Gesù quando ribadì che, secondo il piano originario di Dio, il vincolo matrimoniale è indissolubile: stando così le cose, pensavano gli stessi apostoli, è meglio allora non sposarsi (cfr Mt 19, 10). Ma sbagliavano. Così stanno le cose, e sposarsi è perciò cosa buona, un bene grande.
Questa diffidenza sul valore dell'indissolubilità ha implicazioni antropologiche non meno gravi, riflesse nell'idea che la fedeltà ha un impegno durevole, per quanto liberamente accettato, trascenda ogni ragionevole aspettativa: qualcosa che si situi al di là della natura umana, di cui la gente comune È non è capace. Questa opinione, diffondendosi, crea una mentalità ostile a ogni modalità di impegno permanente, compresi il sacerdozio e la vita religiosa, non meno del matrimonio. L'idea che «l'indissolubilità sia un peso ingiù | sto» — cui ci deve pur essere un rimedio — produce effetti deleteri sia sul popolo cristiano che sui pastori. Coloro che , si preparano al matrimonio lo fanno con minore serietà; dopo | essersi sposati, impiegano minori sforzi per serbare la loro unione quando incominciano a prodursi delle tensioni. Per quanto attiene ai pastori e i consulenti matrimoniali è facile che, nei corsi di istruzione prematrimoniale, diano minore f importanza a come preparare i futuri sposi a superare le difficoltà cui andranno incontro; e forse non eserciteranno L nemmeno un'azione di sostegno sufficientemente positiva a favore degli sposi che effettivamente si trovino ad affrontare momenti difficili. Insorge un vero e proprio problema quando la «soluzione» offerta per le situazioni matrimoniali difficili non è: «Coraggio! Cerca di metterle a frutto, pregando e confidando nella grazia», bensì, sempre più spesso, «cerca una via d'uscita, una soluzione "in buona fede", un annullamento...». Le cose andranno di male in peggio se non si riesce a rivalutare 1' dissolubilità del matrimonio. È questo un punto centrale per la riflessione e la responsabilità pastorali, come lo è in special modo per la formazione dei sacerdoti e dei consulenti matrimoniali.
Due antropologie
II Concilio Vaticano II ha cercato di offrire una visione rinnovata del matrimonio, dell'amore e della donazione coniugale. Come mai questa nuova visione sembra ben poche volte essere stata messa in pratica? A mio giudizio, una ragione si rinviene nel fatto che la riflessione postconciliare sul matrimonio non ha sempre colto l'antropologia cristiana sottesa al pensiero conciliare sulle realtà umane, con particolare riguardo all'alleanza coniugale. Ne segue che la gran parte del modo di intendere e di presentare il matrimonio è stata penetrata, sia pure inconsapevolmente, dall'antropologia secolare dominante nel mondo occidentale.
L'«antropologia secolare» cui mi riferisco è una visione dell'uomo che muove da una concezione individualista della vita, riponendo la chiave per la realizzazione umana nel proprio «io»: identificazione dell'io, affermazione dell'io, preoccupazione per l'io... L'attuale crisi della indissolubilità — la tendenza a ritenerla un «anti-valore» — trova spiegazione per lo più in questo individualismo, così tenacemente presente fuori e dentro alla Chiesa. L'individualismo fa sì che il matrimonio sia considerato da un punto di vista fondamentalmente egocentrico, pensando che non si debba dare, bensì ricevere, guidati da un solo criterio: «questa unione, questo legame, questa sistemazione, mi renderà felice?». Il matrimonio diventa allora, nel migliore dei casi, un tentativo di accordo fra due individui, ciascuno spinto dal proprio interesse, anziché prospettarsi come un compito comune nel quale due persone desiderano costruire insieme un focolare domestico da condividere fra loro e con i figli.
Personalismo coniugale
Quando parlo dell'antropologia peculiare del Concilio Vaticano II, mi riferisco a quel personalismo cristiano così presente nel pensiero conciliare, specialmente nella Cost. past. Gaudium et spes. Poderosamente sviluppato da Giovanni Paolo II, esso continua a essere la chiave per una più piena comprensione della vita cristiana, e del matrimonio in particolare.
L'essenza del vero personalismo è espressa nella Gaudium et spes al n. 24: «l'uomo [...] non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé». Possiamo «realizzarci» o condurre a pienezza il nostro io solamente donandoci. Ecco un programma evangelico — perdere la propria vita per salvarla — in contrasto irriducibile con la ricetta di vita così comunemente offerta dalla psicologia contemporanea: cercare sé stesso, trovare sé stesso, cogliere la propria identità, avere cura di sé, aggrapparsi al proprio io senza lasciarsi andare.
Il matrimonio rappresenta la forma più specifica e naturale di donazione personale per la quale l'uomo e la donna furono fatti. Come dice anche la Cost. past. Gaudium et spes: «la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone» (n. 12). Importanti documenti del Magistero hanno continuato a presentare il matrimonio in prospettiva personalistica'. La revisione delle leggi della Chiesa — fatto che può sorprendere qualcuno — ha contribuito notevolmente a un'analisi personalistica del matrimonio. Due canoni del nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, meritano speciale attenzione.
Il canone 1057, al § 2, dice: «II consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente sé stessi per costituire il matrimonio». Così, dunque, l'oggetto stesso del consenso coniugale è presentato in termini di reciproca donazione, il che rileva l'assoluto contrasto con l'espressione «ius in corpus», con la quale il Codice del 1917 esprimeva il medesimo oggetto2. L'uomo si dona come uomo e sposo, la donna come donna e sposa; ciascuno riceve l'altro come coniuge. Ci si può chiedere se la potenzialità e la portata di questa nuova formulazione siano stati adeguatamente apprezzate, in particolare quando si tratta della formazione dei seminaristi o dei consulenti matrimoniali, come anche nel lavoro dei tribunali ecclesiastici relativo alle cause matrimoniali.
Il personalismo coniugale connota un altro importante canone, il 1055, soprattutto là dove parla dei fini del matrimonio. «Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, [è] per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole...»3. Mi sembra straordinariamente significativa la scelta, da parte del Magistero contemporaneo, dell'espressione «bene dei coniugi» per enunciare uno dei fini del matrimonio. E da notare che non viene presentato come un fine personalistico, in contrasto con il fine istituzionale, che sarebbe la procreazione. Il bene dei coniugi è un fine istituzionale, così come lo è la procreazione. Esso viene posto in evidenza quando si risale alla duplice narrazione che il libro della Genesi fa sulla creazione dell'uomo e della donna. Il primo racconto: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicativi"» (Gn 1, 27-28) è chiaramente procreazionale. Mentre il secondo racconto, «E il Signore disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile"» (Gn 2, 18) è manifestamente personalistico. Pertanto, sebbene si tratti con tutta evidenza di due fini distinti, non bisogna esagerarne il contrasto perché sono entrambi fini istituzionali4. Più che stabilire fra di essi una gerarchia, ciò che conta è comprenderne e sottolinearne l'inseparabilità. Poiché ragioni di spazio non consentono di intrattenerci sul valore personalistico della procreazione5, esaminiamo brevemente la nozione di «bene dei coniugi» anche alla luce dell'indissolubilità.
Il «bene dei coniugi»
Dio avrebbe potuto creare il genere umano secondo un modello unisex — non sessuato — prevedendo, per la sua continuazione nel tempo, una modalità diversa da quella sessuale. Il libro della Genesi sembra chiarire che, in tal caso, la creazione sarebbe stata meno buona: «Non è bene che l'uomo — o la donna — sia solo». Talché la sessualità appare nella Bibbia come parte di un piano per la realizzazione delle persone, come fattore orientato a contribuire al perfezionamento dell'essere umano. Ci viene qui presentato un dato antropologico fondamentale: la persona umana non è autosufficiente; ha bisogno degli altri, e ha necessità specifiche di un «altro», di un compagno, di un coniuge.
Ogni persona umana, nel prendere coscienza della propria contingenza, desidera essere amata: essere, in un certo senso, unica agli occhi di un altro. Ognuno di noi, se non trova nessuno che lo ami, è colto da una sindrome di menomazione, si sente privo di valore. Ma v'è di più: non basta essere amato; è necessario amare. Una persona amata non è felice se essa è incapace di amare. Imparare ad amare è un bisogno umano altrettanto fondamentale come lo è quello di sapersi amato; solo così è possibile liberarsi dalla compassione di sé, dall'autoisolamento, o da entrambe le situazioni.
Imparare ad amare richiede di uscire da sé stesso, per una dedizione costante — nella buona come nella cattiva sorte — a un altro, agli altri. Ciò che occorre imparare non è un amore effimero, passeggero, ma un amore impegnato. Tutti abbiamo bisogno di un impegno d'amore, come tale è il sacerdozio o una vita donata direttamente a Dio, e come tale è il matrimonio, dedizione cui Dio chiama la maggioranza delle persone. Vincolare i coniugi a un continuo apprendistato di amore è stato il disegno originario sul matrimonio, confermato dal Signore (cfr Mt 19, 8 ss.). L'impegno matrimoniale è per sua natura esigente. Lo si desume dalle parole con le quali gli sposi esprimono la loro reciproca accoglienza mediante un «consenso personale irrevocabile»6, quando ciascuno promette di accettare l'altro «nella buona e nella cattiva sorte, nella ricchezza e nella povertà, nella salute e nella malattia [...] per tutti i giorni della vita» .
Benché questo impegno sia senza alcun dubbio esigente, esso è anche profondamente naturale e attraente. L'amore autentico è — vuole essere — sincero quando afferma: «Ti amerò per sempre». Ne consegue, tra l'altro, l'opportunità a che nell'educazione dei giovani si sottolinei sempre più il fatto che gli esseri umani, a differenza degli animali, sono creati non solo con un istinto sessuale, ma anche con un istinto coniugale6.
Istinto sessuale & coniugale
L'istinto sessuale è naturale, si sviluppa da sé medesimo e rapidamente sino a rendersi avvertibile. Più che di sviluppo ha bisogno di controllo; spesso è più intenso verso una persona specifica, ma normalmente non è limitato a una sola. Anche l'istinto coniugale è naturale, sebbene sia più lento a manifestarsi, ha bisogno di venir sviluppato; non ha pressoché bisogno di controllo; è generalmente limitato a una sola persona.
L'istinto coniugale attira l'uomo e la donna a un impegno per mezzo del quale essi vogliono liberamente assumere un vincolo permanente in una associazione o alleanza d'amore, a essere fedeli a quell'impegno liberamente assunto. La frustrazione sessuale, oggi così generalizzata, è frustrazione soprattutto nell'ambito coniugale o coniugabile della sessualità. Amano a mano che l'istinto coniugale viene compreso, e nella misura in cui si sviluppa e matura, esso tende a rendere notevolmente più facile il controllo sessuale, determinando un atteggiamento di rispetto verso la sessualità. È normale che il matrimonio si presenti come un ideale dinanzi a una coppia di innamorati: ciascuno vede l'altro come possibile compagno per tutta la vita, come madre o padre dei figli futuri, come colui che può essere assolutamente unico nella propria vita. Sono queste verità primarie della sessualità coniugale, che il mondo moderno sembra non saper più cogliere; di qui la graduale perdita di stima reciproca fra i due sessi. Tutto questo, mentre trova applicazione reciproca nella relazione sessuale, si riferisce in modo particolare all'uomo nel suo rapporto con la donna. Se nessuna cosa come la maternità — attuale o potenziale — induce l'uomo a rispettare la donna, il motivo è da ricercarsi nel fatto che la maternità la innalza al si sopra della categoria di oggetto che si vuoi possedere, collocandola in quella di soggetto che bisogna rispettare.
Amore & difetti
È facile amare le persone «buone». Il programma del cristianesimo è che impariamo ad amare anche i «cattivi», vale a dire coloro che hanno difetti: detto altrimenti, tutti. Nel nostro caso, il programma concreto è che chi liberamente contrae l'impegno coniugale di vita e di amore con un'altra persona— senza dubbio perché vi ravvisa una singolare bontà — dev'essere preparato a serbarsi fedele a quella alleanza, anche se considerazioni — obiettive o soggettive — più tardi lo inducano a pensare che l'altro abbia perduto ogni bontà particolare, risultando piuttosto connotato da un lungo elenco di difetti.
Benché la reciproca scoperta di difetti sia inevitabile nel matrimonio, ciò non è incompatibile con la realizzazione del bene degli sposi. Al contrario, è possibile affermare che l'esperienza dei difetti dell'altro è essenziale se la vita coniugale deve conseguire il vero ideale divino del «bene dei coniugi». La inevitabile scomparsa dell'iniziale amore romantico — facile e senza sforzo — pone ogni coniuge innanzi al compito di imparare ad amare l'altro così come egli è realmente. È allora che si cresce come persona. In ciò risiede la serietà e la bellezza della sfida racchiusa nel matrimonio: si tratta di una questione centrale, che gli educatori e i consulenti matrimoniali devono intendere ed esporre in profondità.
L'aspetto «romantico» di una relazione quasi sempre si spegne; ma l'amore non deve morire con esso. L'amore è destinato a maturare, il che può avvenire se la prontezza al sacrificio presente nei primi tempi dell'autodonazione matrimoniale è ancora viva o può essere attivata. Il fatto che il vero amore sia pronto al sacrificio è un argomento che nella predicazione pastorale dovrebbe forse avere maggiore risonanza. Come dice Giovanni Paolo II: «E proprio del cuore umano accettare esigenze, persino difficili, in nome dell'amore per un ideale e soprattutto in nome dell'amore verso una persona»9.
La natura umana è mescolanza e scontro fra tendenze buone e cattive. Facciamo sufficiente appello alle tendenze buone? O talvolta cediamo alla tentazione di ritenere che quelle cattive sono più potenti? Occorre fortificare la nostra fede, non solo in Dio, ma anche nella bontà del creato, ricordando l'insegnamento di san Tommaso d'Aquino: «bonum est potentius quam malum»10, il bene è più potente del male e fa scattare più profonde molle nella nostra natura. Anche la Veritatis splender si muove nella linea di questo principio: infatti l'Enciclica, per presentare lo splendore e l'attrattiva della verità, parte dalla nostra naturale fame e sete di bene".
Le tendenze contrarie possono essere naturali. Di fronte al pericolo, è naturale sentire la tentazione della vigliaccheria e della fuga. Ma è altrettanto naturale voler essere coraggiosi e affrontare il pericolo. Una madre o un padre può avere una tendenza naturale all'egoismo, ma tuttavia ha una tendenza non meno naturale ad aver cura dei propri figli: un istinto materno e paterno. Analogamente, benché sia naturale che insorgano frizioni tra coniugi, è altrettanto naturale che entrambi vogliano preservare il loro amore dal pericolo che da queste frizioni scaturisce. L'istinto coniugale del quale abbiamo parlato li sollecita a essere fedeli; al contrario, chi rifiuta di affrontare la lotta per la fedeltà non potrà evitare la persuasione di aver agito fiaccamente, in maniera calcolatrice ed egoistica.
Ciò detto possiamo aggiungere che c'è poco di naturale e alcunché di inevitabile nel fatto di due persone che, dopo essersi ritenute per un momento assolutamente uniche, dopo cinque o dieci anni finiscano per non essere più capaci di sopportarsi. «Il mio amore per lui o per lei è morto»... Se ciò è accaduto, si è trattato di una morte graduale che sarebbe stato molte volte possibile evitare con il buon consiglio dei familiari, degli amici, dei pastori.
Donazione in prova?
Non è bene che l'uomo sia solo, così come non è bene che si doni «a metà». Di qui deriva la natura radicalmente insoddisfacente e frustrante dei legami «quasi coniugali», dove non c'è impegno vincolante. Non mi riferisco qui alla semplice promiscuità, ma alle coppie che ricercano un qualche tipo di relazione semi-coniugale, in cui sia un certo senso di appartenenza reciproca: non tuttavia definitiva, lasciando sempre aperta una via d'uscita...
Una simile relazione si situa talmente al di sotto del matrimonio che quanti ne fanno «la prova» probabilmente non si sposeranno mai o, se si sposano, è ben difficile che il loro matrimonio possa durare. Si trattano con una reciprocità troppo debole. In definitiva, ciascuno dei partner non va oltre il progetto del proprio «io»; non vi è una progettualità condivisa. L'«io» — anziché il «noi» — continua a essere il punto di riferimento e di centralità per entrambi. L'altra persona resta sempre un compagno o una compagna «in prova».
Essi non si donano, ciascuno presta all'altro, da solo parzialmente. Di rado, in seguito, possono liberarsi dal convincimento: «Non ho mai conosciuto nessuno per il quale valesse la pena donarsi»; oppure, «non sono mai stato capace di darmi»; o forse, più semplicemente: «Non sono mai stato accettato; nessuno mi ha mai considerato degno di accoglienza incondizionata»12.
Chi non ama, non può trovare amore; chi non da sé stesso, non può ritrovarsi. La via della donazione parziale è la via dell'autofrustrazione.
Preparazione al matrimonio
Dobbiamo fare in modo che l'educazione dei giovani, almeno nelle istituzioni cattoliche, sia ispirata a un'autentica antropologia cristiana, tale da ricuperare il significato naturale e attraente della chiamata al matrimonio, con particolare insistenza sulla bontà dell'impegno a un indissolubile vincolo di amore. Possiamo distinguere due aspetti o momenti di questa educazione:
a) Educazione all'amore, che è in realtà è educazione a donare. Se la frustrazione è inevitabile, se la realizzazione personale non è possibile senza donarsi, allora sono tre i problemi che si pongono in ogni esistenza umana:
1) trovare qualcosa — un ideale, una persona — per cui valga la pena di donarsi;
2) sapersi donare realmente (per far ciò, occorre prima possedersi);
3) sapersi serbare fedeli al dono (poiché la realizzazione personale non è un processo di un momento: dura tutta la vita).
Nella linea di queste gravi questioni si potrebbero proporre ai giovani tre norme. Prima: non aver paura di dare del tuo, ora; poni in atto la tua donazione fin da adesso, negli anni dell'adolescenza, in attività di servizio svolte in casa. Seconda: non donarti sul piano sessuale finché non arrivi il momento opportuno, che è quello del matrimonio; chi si da prima, si da in modo parziale e troppo facile e avrà poco o nulla da dare quando arriva al matrimonio (valido argomento a favore della castità prematrimoniale). Terza: allorquando giunge il momento del matrimonio, per chi ne ha la vocazione, darsi veramente con tutto il dono del proprio essere coniugale.
b) Educazione sessuale. Sebbene taluni vogliano negarlo, l'atteggiamento contemporaneo non solo verso il matrimonio, ma anche verso la sessualità, è improntato a profondo pessimismo. Quando il sesso viene presentato come un piacere facilmente accessibile, diviene molto difficile comprenderne l'importanza, così come la sua fragilità in tanti aspetti dello sviluppo umano. Un'educazione sessuale deve aiutare i giovani a:
1) intendere l'aspetto squisitamente umano della sessualità: non solo la pari dignità dei sessi, ma soprattutto il valore della complementarità sessuale; in tale ambito bisogna affrontare una cultura, e una filosofia, unisessuale molto diffusa;
2) conseguire un'adeguata identificazione sessuale, di modo che lo sviluppo della mascolinità e della femminilità sia considerato come un obiettivo o una meta da raggiungere; oggi, per fare un esempio, molte ragazze sembrano avere scarsa consapevolezza di quei tratti tipici della natura femminile che possono conquistare un uomo e tenerlo legato a sé anche quando le attrattive fisiche diminuiranno;
3) comprendere la delicatezza della relazione sessuale13 II sesso costituisce solamente un'area di felicità — una promessa o una speranza di gioia — circondata di pericolo; si è voluto eliminare il pericolo, ma insieme a esso sembra sia sfumata anche la speranza di felicità.
In questo compito, gli educatori devono essere i primi a capire che, quando la sessualità è ridotta alle sole diversità fisiche, è la donna che più ne subisce danno; perché a livello meramente fisico l'uomo è il più forte e può facilmente dominare. Al contrario, quando sono operativi gli aspetti più specificamente umani e spirituali, la donna tende ad acquisire un predominio e una superiorità particolari.
Gli educatori devono anche rendersi conto che una eccessiva enfasi sull'indipendenza, accompagnata da poca o nessuna insistenza sulla complementarità, può rendere pressoché impossibile la conquista di una vera identità sessuale. Molti matrimoni oggi falliscono oggi perché mancano la mascolinità o la femminilità necessario per tenerli in piedi. Nessun corso prematrimoniale è adeguato se non contribuisce alla identificazione del proprio ruolo coniugale.
Pastorale durante il matrimonio
Verso i coniugi come sposi. È facile assumere un impegno coniugale; non è invece facile mantenerlo e perfezionarlo per raggiungere, come indica l'enciclica Veritatis splender, «quella maturità del dono di sé, a cui è chiamata la libertà dell'uomo»14. Occorre di continuo ricordare che, sulla base delle preghiere e dei sacramenti, una delle principali condizioni di successo nell'amore coniugale (cioè, in quell'amore capace di unire due persone con i loro difetti) è di imparare a perdonare e a chiedere reciproco perdono. Ogni volta che uno dei coniugi dichiara i propri difetti all'altro, diventa più umano e quindi più amabile. Lo sposo o la sposa che nega i propri difetti o cerca di giustificarli, diventa più orgoglioso, più chiuso, meno capace di amare e meno degno di essere amato.
Non solo agli sposi, ma anche ai loro familiari e amici, bisogna prospettare il dovere di comprendere e onorare l'esigente bellezza della relazione coniugale, con quell'apprendistato di amore che essa sollecita per l'intera vita. I coniugi hanno bisogno di appoggio: da parte dei parenti e degli amici, anzitutto, e poi da parte dei pastori e dei consulenti. Urge una catechesi caratterizzata da un nuovo apprezzamento dell'impegno coniugale, in special modo della bontà del vincolo; così che, non appena iniziano i problemi, la persona si senta aiutata da consigli positivi, anziché venire incoraggiata a cercare un annullamento (che alla fine potrebbe non essere concesso). Familiari e amici, tutti hanno bisogno che sia loro ricordata la grande responsabilità di essere di aiuto e non di ostacolo per la perseveranza delle persone sposate.
Verso i coniugi come genitori. E saggezza degli sposi saper distribuirsi i ruoli di genitori. Come accade in ogni lavoro di gruppo, l'idea di essere l'un l'altro complementari evita difficoltà nei rapporti. Ma se lo spirito di squadra si perde, se i due coniugi si lasciano sospingere a una lotta per il potere, è pressoché certo che l'impresa familiare finirà nel fallimento.
L'appoggio alla famiglia non può venire solo dall'esterno, ne è sufficiente se si colloca a livello meramente collettivo o sociale: per esempio, giornate familiari o attività organizzate dalla parrocchia. È in seno al focolare domestico che le famiglie devono sviluppare la propria personalità e la propria forza di coesione. La vita famigliare di ogni focolare cristiano deve assumere una connotazione vigorosa, espressa in conversazioni, progetti e iniziative umanamente attraenti. Il compito non appare facile, dato il fascino esercitato da altre forze. Ma è qui il luogo in cui i genitori sono chiamati ad affrontare la sfida di essere creatori di qualcosa di unico. In ciò hanno bisogno di trovare appoggio da parte dei loro pastori, così come certamente lo trovano nella grazia di Dio.
In sintesi
II matrimonio, nella verità dell'impegno e nella stabilità della relazione, esercita una forte attrazione poiché si presenta come qualcosa di profondamente naturale. Tuttavia, a motivo della nostra natura decaduta, si prospetta anche profondamente difficile. Trasformare in realtà le promesse del matrimonio non è possibile senza la grazia, ma con la grazia ciò è possibile15.
La presentazione pastorale del matrimonio deve essere ottimistica: mostrando l'attrazione naturale, senza sminuire l'importanza delle difficoltà naturali, e ponendo l'accento sull'aiuto soprannaturale.
La vera cura pastorale del rapporto matrimoniale deve fondarsi su:
- una sana antropologia che, per un verso, sottolinei la complementarità dei sessi e dei ruoli sessuali, oltre che la dignità dell'uomo e della donna; e, per l'altro, evidenzi i principali aspetti che rendono il matrimonio attraente e valido: specialmente la prole e l'indissolubilità;
- una sana psicologia, che insista sul fatto che le difficoltà devono necessariamente insorgere — e anche serie — in ogni matrimonio, ed è proprio qui che l'amore, che significa donazione, è messo alla prova, così da uscirne maturo o sconfitto;
- una sana teologia pastorale e sacramentale, che prepari gli sposi ad affrontare le difficoltà, riponendo la loro fiducia totalmente nella grazia sacramentale, nella preghiera e nel consiglio16.
- una sana teologia ascetica, che ricordi, a coloro che si preparano al matrimonio e a coloro che già sono sposati, ciò che il Concilio Vaticano II ha tanto fortemente sottolineato: che il matrimonio, in definitiva, è fondamentalmente una vocazione alla santità17; esso richiede costante esercizio nel vero amore, che si esprime nel dono di sé, nel sacrificio, cioè nel perdersi per gli altri al fine di ritrovarsi.
In ultima analisi, non possiamo e non dobbiamo sorvolare sul fatto che la felicità è impossibile senza generosità e senza sacrificio. La felicità, era solito ripetere il beato Josemaria Escrivà, ha le radici a forma di croce18. Ogni sforzo catechetico o di aiuto pastorale sarà inefficace se perde di vista questa verità. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «seguendo Cristo, rinnegando sé stessi, prendendo su di sé la propria croce gli sposi potranno "capire" il senso originale del matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della Croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana» (n. 1615).
NOTE
[1] Cfr enc. Humanae vitae, n. 9; Esort ap. Familiaris consortio, n. 13; Lett. ap. Mulieris dignitatem, n. 7.
[2] Occorre sempre tener presente che l'espressione «se tradere» può implicare solo figuratamente un dono della persona stessa. Il dono di cui si tratta è piuttosto la pienezza della complementare sessualità coniugale.
[3] Il Catechismo della Chiesa Cattolica insiste sul «duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita» (n. 2361).
[4] Cfr C. Burke, «El Matrimonio: Comprensión Personalista o Institucional?» in Scripta Theologica 24 (1992), pp. 576 ss.
[5] Sebbene sia stata di grande importanza approfondire l'argomento, anche perché la mentalità anticoncezionale contribuisce indubbiamente a che gli sposi siano meno capaci di serbare la loro unione. Cfr C. Burke: «Matrimonial Consent and the "Bonum Prolis"» in Monitor Ecclesiasticus 114 (1989-III), 397-404.
[6] Cost. past. Gaudium et spes, n. 48.
[7] Ordo celebrandii matrimonium, n. 25.
[8] Cfr C. Burke, «Personalism and thè bona of Marriage» in Studia Canonica 27 (1993), 411-412.
[9] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 28 aprile 1982. Cfr Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 (1982), p. 1344. Nella Esort. ap. Familiaris consortio si dice: «Si comprende che non si possa togliere il sacrificio dalla vita familiare, anzi si debba accettare di cuore, perché l'amore coniugale si approfondisca e diventi fonte di intima gioia» (n. 34).
[10] Summa Theologiae, I, q. 100, a. 2.
[11] Cfr cap. I, «Maestro, che cosa devo fare di buono?».
[12] Gli studi di psichiatria dimostrano che la decisione di convivere anziché sposarsi porta con facilità a stati di ansia e di insicurezza profondamente radicati. Cfr. Nadelson-Notman: "To Marry or Not to Marry: a Choice": American Journal of Psychiatry, 138 (1981), p. 1354.
[13] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1607.
[14] Enc. Veritatis splender, n. 17.
[15] Cfr Enc. Veritatis splendor, nn. 102 ss.
[16] I coniugi «hanno bisogno dell'aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. Senza questo aiuto l'uomo e la donna non possono giungere a realizzare l'unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati "all'inizio"» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1608).
[17] Cost. dogm. Lumen Gentium, nn. 39-41; Cost. past. Gaudium et spes, nn. 48-49.
[18] Cfr Beato Josemaria Escrivà, Forgia, n. 28.