11. GENITORI, FIGLI E LA SOCIETÀ PERMISSIVA

Società permissiva & società violenta

            Molti di noi, oggi, hanno l'impressione che il mondo stia sprofondando nella violenza. Certamente, di fronte a tanti atti di brutale criminalità e di ancor più feroce terrorismo, ci saremo chiesti qualche volta: come possono esistere persone così irresponsabili, così prive di ogni senso morale, così violente?

            È possibile che la risposta a questa domanda si trovi parzialmente in noi stessi. Tutti possiamo in qualche modo considerarci colpevoli della crescente violenza del mondo che abitiamo; e infatti lo siamo, nella misura in cui tolleriamo la cosiddetta società permissiva (tanto più se contribuiamo a crearla). La logica di quest'affermazione è piuttosto semplice. Una società permissiva non riconosce princìpi morali fissi. Una siffatta società genera, inevitabilmente, un gran numero di persone irresponsabili. E quando la massa della gente è irresponsabile, una percentuale sempre crescente si lascia trascinare dalla violenza.

            Secondo la filosofia della società permissiva la condotta personale è limitata da un unico principio: che essa non sia antisociale. Ma, a parte questo, nulla è davvero un male: qualunque azione è accettabile; tutto dipende dalle opinioni e dalle scelte di ogni individuo. Una volta che i giovani si sono formati in una società che ha insegnato loro che non esistono valori morali oggettivi e assoluti, che tutto è relativo e soggettivo, è poco probabile che mettano un ipotetico interesse della collettività al di sopra dei propri desideri o capricci personali.

            Quando si insegna ai giovani che nulla è sacro, che nulla merita assoluto rispetto, ne consegue che molti finiscono di fatto col non rispettare nulla in assoluto, sia in ambito personale, sia sociale; ne la proprietà, ne la legge, ne la libertà, ne la vita. Perché diventino criminali o terroristi il passo è breve. E se qualcuno di essi lo diventa, sarà la stessa società che egli disprezza, deruba o terrorizza ad averlo aiutato a buttarsi nel vuoto.

            Ma il fatto che la società permissiva crei un clima propizio alla violenza può essere dimostrato con chiarezza ancora maggiore. In fin dei conti la permissività si incentra specialmente nella questione sessuale. È chiaro, per chiunque abbia un briciolo di buon senso, che la sessualità è un'area che racchiude, nell'ambito della condotta umana, un alto potenziale di violenza. È un fatto innegabile, senza cui non si spiegherebbero fenomeni come le violenze sessuali e altri ampi capitoli della storia della criminalità.

            Contrariamente a quanto suggerisce una persistente propaganda moderna, il sesso — olà sessualità — e l'amore non sono la stessa cosa. L'istinto sessuale, subordinato all'amore, alla sua evidente funzione procreativa, è una realtà nobile, un dono divino, che trova la sua piena espressione nell'amore matrimoniale. Però, allo stesso tempo, è l'istinto umano più ribelle ed esplosivo. Non accetta facilmente di essere subordinato ad alcun'altra realtà. È un istinto che appena si desta tende a cercare soddisfazioni immediate; e le cerca non in relazione al raggiungimento di una meta, ma come un fine in sé.

            I paradossi della natura umana sono molti. E sono particolarmente intensi proprio nella sfera della sessualità. La sessualità, che con l'impegno si realizza nella più nobile delle facoltà umane — la facoltà di amare —, può convenirsi, senza questo impegno, in una delle espressioni più brutali e violente dell'egoismo umano'. La sessualità incontrollata è come un animale selvaggio. È distruttiva. La prima cosa che distrugge, nell'egoismo che la spinge, è l'amore, dal momento che amore ed egoismo si escludono a vicenda. Ed è capace di distruggere molte altre cose ancora.

L'aborto conduce al terrorismo

            Le nostre moderne società permissive non si limitano a insegnare alla gente che non c'è alcun obbligo, o quasi, di controllare la violenza dei propri impulsi sessuali; ma inoltre circondano le persone di costanti stimoli sessuali: il risultato inevitabile è un'ondata crescente di violenza.

            I teorici della permissività preferirebbero tacere l'esistenza di un elemento di violenza nella sessualità. Tuttavia non sono così ingenui da affermare che non esiste. Se li si costringesse, probabilmente, direbbero che l'elemento violento della sessualità non è un male in sé, che l'unico male è quella sessualità che fa violenza agli altri, contro la loro volontà. Una società permissiva considererebbe quindi la violenza sessuale un male, ma sosterrebbe comunque che qualsiasi altra forma di comportamento sessuale si può considerare moralmente, socialmente e legalmente accettabile: non solo qualsiasi comportamento individuale, nella sfera dei pensieri e delle azioni, ma altresì qualsiasi azione che due o più persone — sposate o non sposate, dello stesso sesso o di sesso opposto — concordino di fare assieme.

            Se tuttavia sottomettiamo la permissività a un attento esame, giungeremo alla conclusione che — indipendente mente dal grado di consenso — la sessualità permissiva è sempre una violenza contro qualcuno. Se analizziamo la nutrita lista delle «conquiste» del permissivismo nel campo del sesso e dei comportamenti a esso relativi, possiamo ritenere che verosimilmente si infligge abbastanza violenza morale, per esempio, nell'infedeltà coniugale (si violenta il diritto di uno degli sposi alla lealtà dell'altro nei suoi confronti), e ancor più nel caso del divorzio (oltre ai diritti degli sposi, si fa una terribile violenza ai diritti dei figli. È normale che i figli acconsentano a un divorzio? Non è una brutale violenza al loro desiderio che i genitori continuino a vivere uniti, amandosi o, almeno, sopportandosi, mantenendo così l'unità e la pace del focolare domestico?). Ed è innegabile che la massima violenza fisica — l'uccisione di un bimbo innocente — costituisce l'essenza dell'aborto. Una società che legalizza l'aborto sta legalizzando la violenza. Ne consegue che una società che non lotta contro i promotori dell'aborto, dovrà presto lottare con i terroristi. Ed è una battaglia che non vincerà: il terrorismo infatti non si può combattere efficacemente solo con la polizia o le forze armate. Non c'è altro modo di combatterlo, fino a sradicarlo, che educare la gente ai princìpi morali della condotta personale e della convivenza sociale, soprattutto al principio fondamentale del rispetto verso la vita umana.

Violenza & pornografia

            In ogni caso, anche tralasciando i casi di violenza inflitta ad altri tollerati dalla società permissiva, sia chiaro che la persona che da libero sfogo, in qualsiasi circostanza, ai propri impulsi sessuali infligge violenza a sé stessa. E questa la causa essenziale di tutti i tipi di violenza a cui conduce la società permissiva. Una volta che si fa credere alla gente che è perfettamente giusto stimolare dentro di sé, e soddisfare, gli impulsi violenti della sessualità, diventa sempre più difficile, e alla lunga impossibile, convincere o insegnare alla gente che fa male a lasciarsi trascinare da altri impulsi violenti: l'odio, la vendetta, o il desiderio di rubare o uccidere. Dire a una persona che deve rispettare la società e i suoi simili, se al contempo le si sta dicendo che non ha alcun obbligo di rispettare sé stessa, è tempo perso.

            In ogni caso, la tesi che la pornografia porti alla violenza non è solo una questione di buon senso. E ormai un fatto ben documentato. Uno degli studi contemporanei più profondi e autorevoli sulla pornografia è, senza dubbio, il Rapporto Longford, pubblicato qualche anno fa in Inghilterra, frutto delle ricerche di una commissione di personaggi di spicco della vita pubblica inglese: scrittori, psicologi, politici e così via. Nel terzo capitolo, intitolato Violenza e pornografia, si dimostra come la pornografia tenda progressivamente a esaltare gli aspetti violenti — di sadismo o masochismo — della sessualità; come ne sia stato fatto — coscientemente — un mezzo per fomentare la violenza politica (per esempio nella Germania di Hitler) o l'instabilità sociale (si pensi alle tattiche marxiste in tanti Paesi occidentali); e come la pornografia hard core fomenti l'odio, l'aggressività e l'alienazione, e sia una causa scatenante della criminalità e violenza crescenti nelle società occidentali.

Tornare alla censura?

            La situazione reclama con urgenza che si mantenga o si instauri qualche tipo di controllo efficace. Di fatto — e benché questo mi obblighi a usare una delle parole più impopolari del lessico moderno — direi che è necessaria una qualche forma di censura.

            «Censura?», mi sembra di udire la reazione incredula di qualche lettore: «ma si può ancora, di questi tempi, parlare seriamente di censura?». La risposta è: sì, molto seriamente. Ma la censura di cui sto per parlare non è quella che il lettore diffidente forse già si figura: è, soprattutto, quell'autocensura di cui ho già trattato2, ma che merita qualche ulteriore considerazione.

            Sì: so che l'uomo moderno si pregia di considerare la libertà come uno dei suoi beni più preziosi, e che classifica la censura tra i maggiori nemici tradizionali della libertà. So anche che molti credono — o almeno affermano — che la progressiva abolizione della censura ha permesso a milioni di persone adulte di godere, oggi, una nuova libertà della quale prima erano prive.

            Mi sia quindi permesso di assicurare al lettore incredulo che per quel che mi riguarda non ho alcun desiderio di privare la gente della sua libertà: al contrario. Però voglio far notare che, malgrado oggi vogliamo una maggiore libertà, non stiamo certo ottenendola. Stiamo ottenendo l'anarchia sessuale, e stiamo sottomettendoci alla strumentalizzazione e alla schiavitù sessuale. Non si può concepire niente di più lontano dalla vera libertà.

Libertà & strumentalizzazione

            «Libertà per tutti». Sembra un nobile motto. Ma la storia ha dimostrato che libertà per tutti di solito significa una sempre maggiore libertà per i forti, i ricchi, i furbi o quelli senza scrupoli, e una libertà sempre minore per il resto dell'umanità: libertà per pochi e asservimento della maggioranza.

            Centocinquant'anni or sono la libertà assoluta nella sfera commerciale o industriale era predicata con universale veemenza. Oggi quasi nessuno la difenderebbe. La storia del liberalismo del XIX secolo ha dimostrato che, in questo campo, pochi uomini — senza qualche tipo di controllo governativo — tendono a sfruttare le masse.

            Dobbiamo dunque meravigliarci se succede qualcosa di simile applicando, nella sfera sessuale, lo stesso principio liberale della libertà senza limiti? Solo i più ingenui potrebbero negare che uno dei primi risultati dell'abolizione della censura statale è stato trasformare la pornografia in un giro di affari di parecchi milioni. E non è difficile indicare alcuni fattori che hanno fatto della pornografia un affare tanto redditizio, e comprendere, di conseguenza, come mai forti interessi economici si concentrino attorno al mantenimento sia del pregiudizio pubblico contro la censura, sia della finzione di libertà, consentendo al mercato di prosperare.

            Se è possibile stimolare, e poi sfruttare, un appetito artificiale come la voglia di fumare, è ovvio che sarà molto più facile sfruttare — stimolandolo — un appetito naturale e forte come quello sessuale. I giovani hanno inizialmente, riguardo al tabacco, quella che in gergo commerciale si chiama «resistenza all'acquisto». In genere la prima sigaretta non è mai gradevole da fumare; i fabbricanti di tabacco devono quindi fare leva su altri motivi, in modo da creare — per mezzo di mirate campagne pubblicitarie — un clima sociale dove l'atto di fumare sia un segno di virilità, di maturità, di superiorità. Il pornografo si rivolge a un pubblico ancora più vulnerabile e facile da influenzare. La pornografia attrae fortemente l'istinto animale dell'essere umano, ma contemporaneamente ripugna alla sua coscienza naturale, al suo istinto religioso e — specialmente nella donna — al suo senso della modestia. Bisogna quindi vincere le forze che creano questa «resistenza all'acquisto». Per ottenerlo basta fomentare un ambiente sociale in cui le licenze sessuali siano chiamate libertà, e il controllo, il riserbo e la delicatezza nel sesso siano considerati fuori moda e condannati come comportamenti vittoriani, antinaturali e inibiti. Le strategie pubblicitarie in questo campo sono molto sottili. Ma si tratta di vere e proprie offensive. E tra coloro che fanno propaganda alla pornografia — incoscienti, forse, o squattrinati — troviamo filosofi, scrittori, artisti, registi, psicologi, giornalisti, politici.

Il mercato degli schiavi

            Un altro punto importante è che negli affari l'ideale di ogni venditore è il cliente abituale, il consumatore assuefatto. Il mercato del tabacco è così solido e remunerativo perché si dirige ad acquirenti «accattivati».

            Lo stesso si può dire del mercato dell'alcol. Quando si vendono droghe o sesso si può parlare addirittura di compratori schiavizzati. Lo sfruttamento degli schiavi—soprattutto quando la gente paga per essere schiava — fa la fortuna degli uomini senza scrupoli. E tutto questo in nome della libertà!

            Nella società liberale industrializzata del secolo scorso l'uomo della strada aveva poca forza per resistere allo sfruttamento della sua vita: o lavorava o moriva di fame. Oggi milioni di uomini sono oggetto di uno sfruttamento che — in genere — non li costringe a vivere in catapecchie, e quindi non è tanto un'oppressione materiale quanto un degrado spirituale e umano; un sopruso infinitamente peggiore. Tuttavia, confrontando la situazione odierna con quella del secolo passato, risulta evidente che i cittadini della moderna società liberale e permissiva possono opporsi allo sfruttamento, se vogliono. Il fatto triste è che molti, da quel che si vede, non vogliono farlo.

            Agli inizi del capitalismo liberale del laissez-faire, i governi adottavano la politica del non intervento. Ma poi la coscienza della gente si risvegliò, le masse cominciarono a organizzarsi, e — sotto questa pressione crescente — i governi si videro progressivamente costretti a confrontarsi con le proprie responsabilità di intervento per impedire lo sfruttamento dei deboli. Oggi sembra che ci sia poca coscienza pubblica riguardo allo sfruttamento e alle degradazioni sessuali, ed ecco perché si fa poca pressione sui governi affinchè pongano qualche rimedio. Finché la gente non si risveglierà, non si potrà fare nulla di efficace per rimediare a questa situazione.

Maturità & corruttibilità

            Questo tema è uno dei settori in cui più rapidamente stanno sviluppandosi le menzogne e i compromessi del nostro mondo moderno. Siamo, noi adulti, poi così diversi dagli adolescenti? Siamo proprio sicuri che quanto può corrompere un giovane di sedici anni non possa corrompere un adulto di ventisei o cinquantasei anni? Come se dall'età di diciott'anni un uomo potesse considerarsi incorruttibile, solo perché lo si definisce «maggiorenne»!

            Ben pochi si dicono estranei al problema della pornografia. È troppo grave ed evidente. Articoli e studi, nei più diversi Paesi, denotano tuttora un'impostazione che, se proprio non si vuoi chiamarla insincera, è quanto meno incredibilmente superficiale. Si può brevemente esprimerla così: «Censura per i giovani, d'accordo; ma per gli adulti neanche a parlarne».

            Da una parte si chiede all'autorità pubblica che prenda le misure necessarie perché i giovani possano muoversi in un ambiente libero dagli incitamenti alla corruzione costituiti dalla pornografia, ma, contemporaneamente, ci si rifiuta di fare in modo che l'ambiente in cui si muovono gli adulti sia liberato da questi stessi stimoli.

            Se da un lato è opinione comune che la pornografia sia una minaccia alla libertà dei giovani e un pericolo per il loro normale sviluppo psicologico e affettivo, dall'altro la censura è considerata una minaccia alla libertà e un affronto alla maturità degli adulti.

            Sembra incredibile che si possa seriamente mantenere questo doppio atteggiamento. In primo luogo è evidente l'impossibilità pratica di ottenere qualcosa di utile sulla base di tante contraddizioni: le «libertà» che gli adulti reclamano per sé renderanno necessariamente inefficaci i controlli che propongono per i giovani. I giovani e gli adulti non vivono in due mondi distinti, ne i loro ambienti sono così separabili nella pratica. Ma ciò che soprattutto non si comprende è su quale concetto di uomo e di società si intenda basare questa impostazione.

            Le supposizioni di base possono essere due:

            a) che, arrivata a una certa età o a un certo livello di maturità, una persona non corra più alcun pericolo di essere infettata o corrotta dalla pornografia;

            b) che, a una certa età, corrompersi è una scelta propria, e di nessun altro.

            Esaminiamo ciascuna di queste supposizioni.

Intelligente, sincero, normale?

            Credo che la prima posizione — che gli anni diano un'immunità contro la pornografia — sia giustificabile solo da parte di chi abbia «disinserito» il proprio cervello. L'unica terapia utile perché la gente cominci di nuovo a pensare è una sorta di elettroshock. Dal momento che uno dei princìpi spesso enunciati (benché non sempre praticati) nella società permissiva è che solo i presuntuosi giudicano gli altri, la mia terapia per trattare il caso che stiamo considerando cerca di evitare di giudicare gli altri, e di portare invece ognuno a giudicare sé stesso. Dovrei aggiungere che non mi sono mancate occasioni di applicare tale terapia, tra i giovani non meno che tra gli adulti. Anche in questo disgraziatamente c'è una logica. Quando gli adulti si comportano e parlano come se la loro «maturità» di adulti li avesse immunizzati da tutti gli effetti degradanti della pornografia, i giovani — che nel bene e nel male tendono a imitare i grandi — assumono rapidamente lo stesso atteggiamento, e si premurano di affermare che anche loro sono maturi e ugualmente immunizzati. Ma vediamo un caso concreto e l'applicazione della terapia.

            Arriva un ragazzo o una ragazza di quindici o diciassette anni, e mi dice: «Ho letto o visto quell'opera» — un romanzo o un film noto come palesemente pornografico — «e in effetti non vi ho trovato nulla di speciale. Non mi ha turbato». Di solito rispondo a questa pseudo-maturità più o meno nel modo seguente: «D'accordo: è chiaro che non posso giudicarti. Devi giudicarti da tè. Posso però affermare che la persona che ha visto quel film o letto quel libro, e dica di non essere stata turbata, non può essere tre cose contemporaneamente. Non può essere intelligente, sincera e normale allo stesso tempo. Può essere due di queste cose, o possedere due di queste qualità, ma non tutt'e tre insieme». E spiego: «Se tu, che dici di non essere stato turbato da quest'opera, sei normale e sincero (cioè se sei una persona normalmente costituita per quanto riguarda la sessualità, e credi realmente di dirmi la verità) allora non sei intelligente, non sei profondo, non ti conosci davvero. Perché quest'opera turba tutte le persone normali. Pertanto sei rimasto turbato senza rendertene conto».

            «Certo, il caso può essere un altro. Esiste una seconda possibilità: che tu sia normale e intelligente; ovvero, hai reazioni sessuali normali e ti conosci. Ma in questo caso non sei sincero. E chiaro che quell'opera ti ha turbato, e tu lo sai. Però non mi stai dicendo la verità».

            «Ma, naturalmente, questa è una possibilità che tu stesso devi giudicare. Lungi da me la formulazione di alcun giudizio. Tu ti conosci. Perché, in fin dei conti, c'è una terza possibilità: che tu sia sincero e intelligente; ovvero che realmente ti conosca e mi stia dicendo la verità. In altre parole, che quell'opera davvero non ti abbia turbato. Ma allora sei... Lascio a tè l'ovvia conclusione».

            Più di una volta la reazione è stata indignata: «Senta, io non sono "quello"». Al che rispondo: «Non ho mai detto che tu lo sia. Mi limito a enumerare alternative. Tocca a tè scegliere».

Pseudo-maturità

            Alternative come queste sono valide soltanto per gli adolescenti? Non siamo forse anche noi adulti capaci di una pseudo-maturità? Fino a che punto si può essere tanto incoscienti da affermare che una persona può essere corrotta a sedici anni e non a trentasei? Se una persona, di fatto, si corrompe a sedici anni, c'è da supporre che, con il passare degli anni, diventerà un adulto corrotto. E allora si dovrà trovare il modo di risolvere il problema di come «de-corromperlo». O forse non esistono adulti corrotti o corruttibili?

            Le alternative — sincero, intelligente, normale — che sono applicabili a sedici anni sono altrettanto applicabili a trentasei e a cinquant'anni. Che cosa deve pensare, quindi, chi incontra oggi moltissimi adulti che professano di essere così «maturi» che la pornografia non li turba? Sarà certamente difficile concludere che siamo circondati da anormali. Ci si vede allora obbligati ad accettare la conclusione che molte persone «mature», nel nostro mondo attuale, sono o terribilmente incoscienti o incoscientemente insincere. Personalmente tendo a credere che siano una miscela delle due cose. Per questo vorrei dire che benché le considerazioni che sto per enunciare possano sembrare un poco dure, non vogliono in alcun modo essere negative. Infatti le ho scritte non solo nell'intento di scuotere gli incoscienti—perché pensino—, ma anche nella convinzione che, se davvero cominceranno a pensare, scopriranno l'insincerità del proprio atteggiamento e cominceranno a essere sinceri.

Trasformare il peccato in virtù

            II nostro moderno mondo adulto, orgoglioso di essersi «liberato», e grato a Dio (o forse solo a sé stesso) di non essere come tutte le generazioni precedenti, ostenta non soltanto un fariseismo molto più repellente di quello del fariseo del Vangelo (cfr Lc 18, 9), ma anche un'ipocrisia molto peggiore di quella vittoriana, per la quale professa uno speciale disprezzo. I vittoriani — così almeno ci si dice — facevano il male, e davano a intendere che non lo facevano. Il nostro permissivista contemporaneo fa il male e dice che è bene. Il vittoriano peccava, e — nascondendo il suo peccato — pretendeva che il mondo lo considerasse virtuoso. Il permissivista moderno pecca, e — proclamando il suo peccato — vuole che esso sia considerato virtù. Il vittoriano almeno sapeva che cosa fosse il peccato, benché — forse — facesse poco per evitarlo. Il permissivista di oggi proclama che il peccato non esiste, e in questo modo non ha niente da evitare, niente di cui doversi pentire. Si presenta al mondo come impeccabile. Ha canonizzato sé stesso.

            Se c'è un problema di «credibilità» tra le generazioni, se oggi i giovani hanno poco rispetto per gli adulti, in gran parte è dovuto al fatto che la generazione giovane sente l'ipocrisia, o almeno la falsità, dell'atteggiamento di tanti adulti verso il problema della censura: «Censura per la gente giovane; certo. Censura per noi? Assurdo! Loro sono giovani: non possiamo permettere che vengano corrotti. Noi siamo maturi e incorruttibili». Come stupirsi se i giovani non provano che disprezzo per i difensori di questa doppia morale?

Il diritto di corrompere sé stessi?

            Questa doppia morale, come ho già fatto notare, può basarsi su una supposizione leggermente diversa: non che gli adulti siano incorruttibili, ma che se vogliono corrompersi è una scelta strettamente personale, e nessuno ha il diritto di interferire, si tratti di una persona o dell'autorità pubblica.

            Questo, almeno, non è un atteggiamento moralistico. Chi lo propone non ha alcun interesse per la moralità. Il suo unico motto è «libertà». «Noi vogliamo libertà. Abbiamo diritto alla libertà: libertà di fare ciò che ci va di fare. E ora che l'abbiamo, nessuno provi a togliercela».

            Due commenti su questa posizione. Uno riguarda l'impiego della parola «libertà». Non ritengo si debba dar credito a queste persone quando affermano di avere incontrato una nuova libertà. Non è vero. Hanno incontrato solo una vecchia schiavitù.

            Uno schiavo del sesso non è più libero di un tossicodipendente o di un alcolizzato. Se una persona sceglie una strada che finirà per renderla schiava, sono affari suoi. Però non dica che si tratta della strada della libertà. Una persona è libera non quando non è governata da leggi esterne, ma quando si governa da sé; quando è degna di sé. Queste persone non governano sé stesse. Sono governate dalle loro passioni. E la schiavitù che viene da dentro è peggiore di qualunque schiavitù imposta dall'esterno2.

            II secondo commento consiste nel mettere in dubbio il supposto «diritto» che una persona avrebbe, se vuole, di corrompersi. È evidente che, se vuole, lo farà; così come si può rubare, uccidere — o suicidarsi —, se si vuole. Ma ha il diritto, costui, di fare queste cose? Certamente no. I diritti che abbiamo sono quelli che ci ha dato Dio. Non ne abbiamo altri. Abbiamo il potere di andare contro la sua volontà, ma non il diritto di farlo3.

            Inoltre non possono darsi diritti senza doveri. Il diritto di una persona alla vita significa che tutti gli altri hanno il dovere di rispettare la sua vita. Ed egli ha il dovere di rispettare la loro. Ho il diritto che il mio vicino rispetti la mia proprietà e la mia persona. Ma ho anche il diritto che egli rispetti sé stesso. Nessuno ha il diritto di insudiciare le strade. Nessuno ha il diritto di degradare il mondo. Nessuno ha il diritto di degradare sé stesso. Non siamo pezzi sciolti in un mondo disarticolato. Ciò che ciascuno di noi fa o è — o permette a sé stesso di diventare — si ripercuote, nel bene o nel male, su quelli che lo circondano. Questa è la ragione per cui degradare sé stessi significa, in qualche modo, offendere il resto dell'umanità; e significa — a un livello di gravita maggiore — offendere Dio.

Gli altri come oggetti

            La sessualità è un dono divino; è qualcosa di sacro che conferisce all'amore umano un modo peculiare di esprimere l'unione che desidera, associandola alla creatività di Dio. La pornografia implica una essenziale degradazione di questo carattere sacro della sessualità. Infatti la pornografia tende a destare la sessualità come un fine in sé, e non in quanto realtà fatta per l'amore e la procreazione. Il che vuoi dire degradarne il significato e la funzione, riducendola al livello dell'istinto animale, il cui fine è la ricerca di una soddisfazione sensuale immediata. E quando gli uomini lasciano ampio spazio ai propri istinti animali vanno somigliando sempre più ad animali, e diventano sempre meno capaci di rispettarsi a vicenda come persone.

            È vero che, anche in una prospettiva più ampia di quella che stiamo ora osservando, una persona che non sa controllare i suoi appetiti o i suoi istinti non saprà comportarsi in modo autenticamente umano con gli altri, perché i suoi istinti incontrollati non gli permetteranno di rispettarli. Userà o abuserà degli altri, come oggetti; non li rispetterà come persone. Il capitalista dominato dall'avarizia sfrutterà i suoi operai. Il terrorista, dominato da un nazionalismo esaltato, dall'odio cieco o dal desiderio di vendetta, sequestrerà, torturerà o ucciderà vittime innocenti. Anche il pornografo o, più concretamente, il cliente del pornografo — la persona dominata e ossessionata dal sesso — sfrutterà gli altri, se può, perché gli altri lo interessano soltanto nella misura in cui possano soddisfare il suo appetito ossessivo. Negli altri non vede persone. Vi scorge solamente oggetti: per bramarli, per usarli, per abusarne e, infine, per distruggerli. Nella sua mente accecata il rispetto verso gli altri finisce col perdere ogni senso, e diviene impossibile per la sua volontà debilitata e per la sua natura ogni giorno più egoista.

La donna permissiva

            La società permissiva crea persone egoiste, e le persone egoiste tendono a non fidarsi le une delle altre. Di fatto una delle caratteristiche tristi, benché non sorprendenti, delle nostre società permissive è la crescente diffidenza tra i sessi. Ed è anche logico: della gente degradata non c'è da fidarsi.

            L'uomo permissivo si degrada perché si lascia dominare dalla sua sensualità. La donna permissiva può fare altrettanto. Di solito il suo motivo è semplicemente la vanità; oppure la cupidigia. In ogni caso è ugualmente egoista, e non meno degradante.

            Il motivo principale per cui alcune donne si prestano a essere esibite come «oggetti sessuali» è, senza dubbio, la cupidigia, giacché bisogna supporre che esse esigano una buona paga per lasciarsi fotografare su un certo tipo di riviste, o per apparire in certi film o spettacoli. Più strano (anche se più frequente) è il caso di altre donne — che oltretutto si reputano sicuramente «rispettabili» e «onorate» — che di fatto pagano (e a volte si tratta di somme consistenti) per esibire sé stesse come oggetti sessuali. A spingerle può essere la semplice vanità femminile, niente di più. Però a volte la vanità femminile è tanto cattiva — così egoista e degradante — quanto la sensualità maschile. Oggi la vanità di parecchie donne è così schiavizzata dalla moda che, a giudicare dai vestiti che indossano o dal loro modo di comportarsi, sembrano invitare gli uomini — e talora fare proprio di tutto per obbligarli — a trattarle come oggetti. La loro vanità — così come la cupidigia della ragazza di copertina della rivista pornografica — mira a trarre profitto della sensualità maschile.

            Prima di abbandonare questo argomento, qualche parola sulla modestia: quella virtù un tempo particolarmente femminile, e oggi apparentemente dimenticata oppure disprezzata. La modestia — nel modo di vestirsi o di comportarsi di una donna — è semplice espressione della sua decisa volontà di essere trattata dagli uomini come una persona e non come un oggetto; il suo rifiuto davanti a qualsiasi possibilità di collaborare nell'intento di abbassarla a livello di oggetto.

I bambini & la lealtà dei genitori

            Mi rendo conto, naturalmente, che alcune persone non presteranno ascolto a questi argomenti. La ragione è semplice: non vogliono prestare ascolto alla loro coscienza. La coscienza — se la persona è disposta ad ascoltarla — le dice con sufficiente chiarezza quando sta degradando sé stessa o altri.

            Ecco perché alcune persone resteranno chiuse a ogni tipo di argomentazione. Non mi rivolgo a loro. Mi rivolgo piuttosto ai genitori, perché sono sicuro che — quale che sia la loro formazione — essi non sono indifferenti a una cosa: i propri figli. D'altra parte oggi sussiste il grave pericolo che alcuni genitori — se non si preparano a pensare e a osservare attentamente le cose — possano rendersi colpevoli di tradire i figli che amano.

            I genitori che si permettono libertà «permissive» incorrono di fatto nel tradimento. Non mi riferisco soltanto al tradimento evidente ed estremo del padre o della madre che abbia un affaire con un'altra persona, o che divorzi. Sto pensando ai tradimenti — assai più frequenti — dei genitori che praticano semplicemente la «doppia morale» alla quale ci siamo riferiti in precedenza, dicendo ai figli: «Voi non potete vedere o leggere quelle cose. Noi, invece, sì». Come abbiamo osservato prima4, i figli hanno diritto alla lealtà dei propri genitori; e, in questo campo, alla sincerità, all'autocontrollo e all'esempio dei propri genitori. Il padre o la madre che legge un'opera pornografica o vi assiste, non solo offende Dio e degrada sé stessa, ma viola anche il diritto dei suoi figli ad avere genitori che possano rispettare e ammirare.

            Questo conferma la conclusione di un paragrafo precedente: la necessità dell'autocensura. Pertanto ciascuno deve essere il proprio censore: ciascuno deve avere tanta lucidità mentale da rendersi conto di quali opere possono deformare o degradare, e tanta sincerità e forza di volontà da evitarle.

            Se i genitori si accorgono che l'autorità pubblica sta facendo poco per impedire la contaminazione morale dell'ambiente dove i loro figli devono vivere e crescere, tocca proprio a loro — ai genitori — fare di più. Non possono aver paura di esercitare la necessaria autorità con i loro figli e di essere esigenti con essi. Ma queste esigenze hanno poche probabilità di essere ascoltate — e nessuna di essere rispettate — se i genitori non sono altrettanto — o più — esigenti verso sé stessi. Siamo sinceri. Se i genitori amano i loro figli, e vogliono pertanto proteggerli dagli effetti nocivi della pornografia, l'unico argomento efficace (l'unico dignitoso) è: «Vedere o leggere quello spettacolo o quell'opera significa offendere Dio e degradare sé stessi. Pertanto noi non possiamo permettervi di vederlo, così come non possiamo permettere a noi stessi di vederlo. Ne voi ne noi possiamo vederlo».

Che cosa sono disposto a mangiare?

            L'auto-censura è semplicemente una espressione dell'autocontrollo, e il controllo di sé è essenziale per la libertà individuale e sociale5. Nessuno pretende che il controllo di sé sia sempre facile. Ma, in molti casi, per facilitarlo basta far funzionare il cervello ed esercitare un po' di buon senso.

            Supponiamo che io vada al supermercato per comprare qualcosa da mangiare e da bere. Supponiamo, inoltre, che sui banconi sia esposta una serie di alimenti e bibite dall'aspetto molto attraente e con un ottimo odore, ma io abbia buone ragioni per temere che contengano veleno. Che cosa faccio? Compro qualcos'altro. Grazie a Dio su quei banconi non mancheranno scelte alternative, anch'esse di bell'aspetto, e certamente sane.

            E se si desse il caso che la maggior parte degli alimenti in vendita fossero avvelenati? Non li comprerei comunque. Ciò senza dubbio significherebbe che dovrei andare in un altro negozio, e forse di negozio in negozio, ma alla fine troverò di certo qualcosa di commestibile. E se tutta la mercé, pur avendo un buon aspetto, fosse avvelenata? Suppongo che in tal caso non mi resterebbe altro rimedio che dedicarmi io stesso alla coltivazione dei miei alimenti. E forse mi guarderei intorno per trovare qualche altro cittadino ragionevole, disposto a unirsi a me in una cooperativa per produrre alimenti sani.

            E se alcuni (o molti) dei miei concittadini non credessero che gli alimenti sono avvelenati, e ne mangiassero? E se dopo sembrassero non fare caso ai sintomi di intossicazione (benché questi sintomi siano, di fatto, ben visibili agli occhi di chiunque si scomodi a guardare)? Nonostante tutto non mangerei di quel cibo. E se mi dicessero di non fare il puritano, se ridessero di me, considerandomi vittima di pregiudizi «all'antica», se insistessero nel giudicare la mia resistenza a mangiare come una mancanza di maturità, o come segno di una personalità «non liberata»? Neppure allora credo che mi lascerei persuadere. Sono convinto che la mia paura del suicidio risulterebbe più forte della paura dell'opinione pubblica, soprattutto trattandosi di un'opinione pubblica così sciocca. E se l'insistenza assumesse un tono in apparenza sincero e amichevole: «Forza! Non sei diverso da chiunque di noi. Non perderti quest'esperienza. Prova; vedrai che buon sapore»? Probabilmente risponderei: «Non metto in dubbio l'attrattiva; ne il sapore (anche se mi chiedo che retrogusto avrà quel cibo)... Affermo semplicemente che si tratta di veleno (e penso che i veleni più pericolosi siano quelli che hanno un buon aspetto e un buon sapore)».

            E se fosse un vero amico a pressarmi affinchè io condivida i viveri che lui stesso ha comprato, e che sta mangiando? Francamente, se vedessi un amico (o qualsiasi persona di cui abbia la minima considerazione) sul punto di bere una Coca Cola avvelenata o un whisky corretto con arsenico, e non riuscissi a convincerlo che si sta avvelenando, non solo mi rifiuterei di bere con lui, ma penso proprio che, una volta esauriti gli argomenti razionali, ciò che farei — appunto per amicizia — sarebbe strappargli il bicchiere di mano e fracassarlo. E se egli protestasse: «Che diavolo fai? Era la mia bibita!», replicherei: «Ti ho fatto un favore. Ti stavi avvelenando». E se non facessi così — per «rispetto dell'altrui libertà» — dimostrerei, credo, di essere un cattivo amico. Dio ci liberi dagli amici liberali, obbligati dai loro princìpi a guardarci passivamente mentre, incoscienti, ci dedichiamo al suicidio.

Pornografia & veleno

            L'esempio non ha quasi bisogno di spiegazione. «Tutto il mondo», ha detto Shakespeare, «è un teatro». Vivendo al giorno d'oggi si è tentati di dire piuttosto che «tutto il mondo è un supermercato»; ed è certo innegabile che intere sezioni del supermercato stanno riempiendosi di pornografia: il teatro, i romanzi, il cinema, la televisione, gli spettacoli di ogni genere, la pubblicità.

            Come deve comportarsi una persona quando le vengono offerti articoli così tentatori e di qualità tanto dubbia? Che cosa deve fare? Pensare. È così difficile?

            Mi si offre pornografia. Beh? Anche se la coscienza cristiana non mi dicesse che comprarla, leggerne, vederla o pubblicizzarla è un'offesa a Dio, che distrugge la grazia nella mia anima, almeno il buonsenso dovrebbe suggerirmi che è un veleno per la mia vita naturale, che minaccia di uccidere tutte le mie possibilità umane di felicità, ossessionandomi, privandomi della libertà di amare, rendendomi sempre più impossibile rispettare qualunque persona dell'altro sesso, oppure — se questa è la mia vocazione — trovare un amore nobile, tenero e duraturo nel matrimonio.

            Dato che la pornografia è veleno, la evito. Se ciò significa che devo evitare certi spettacoli, programmi, romanzi o riviste, d'accordo: e con ciò? Resterà a mia disposizione un'infinità di opere incontaminate. E se qualcuno mi definisse retrogrado gli direi di non essere stupido. Io non mi considero retrogrado, ma una persona normale, dotata di un minimo di buonsenso. Comunque, meglio un retrogrado vivo che uno stupido morto.

            E se qualcuno mi mostra una rivista pornografica, la straccio. «Che cosa hai fatto? La rivista era mia!». «Quello era il tuo veleno. Ti ho fatto un favore. Se ti stai impegnando a suicidarti, fallo per favore in privato e non cercare di coinvolgere altri nella tua scelta». Fatto sta che un buon numero di persone sembra credere che, per quanto grande sia già il numero degli stupidi, la stupidità sarà minore se tutti cerchiamo di essere stupidi assieme: il veleno non risulterà così mortale se facciamo in modo che tutti lo prendano. Chi la pensa così dimentica quel che insegna la storia: città intere furono distrutte dalla peste perché nessuno si rese conto — finché non fu troppo tardi — che si trattava di peste. La peste pornografica sta distruggendo molte più persone oggi di quante ne abbia mai uccise quella bubbonica.

La fetta avvelenata

            Autocontrollo significa sapere dire: «No, mi rifiuto di leggerla o di vederla» quando si sa, o si sospetta, che l'opera in questione è un'offesa a Dio e una degradazione per l'uomo. Alzarsi davanti a tutti e allontanarsi da uno spettacolo, quando — contro ogni previsione ragionevole — esso si rivela degradante: ecco in che consistono l'autocontrollo e l'autocensura.

            Resta da aggiungere un commento sulle opere che, pur essendo prodotti di qualità sotto altri aspetti (l'argomento, la sceneggiatura, la fotografia, eccetera), sono infarcite di scene pornografiche (che, oltretutto, non hanno alcuna connessione essenziale con lo svolgimento del tema), come superflui canditi disseminati sopra o dentro un dolce. Che fare?

            Torniamo al supermercato, perché lì si risolvono molti problemi. Proprio lì, davanti a me sul banco, ecco un dolce dall'aspetto semplicemente favoloso; e magari qualcuno mi sta pure «invitando» a provarne il sapore. Ma la storia è sempre quella: io ho la certezza morale che sia avvelenato, almeno in parte. Ergo"! Non mangio. No: neanche se me lo regalassero. Non trovo alcun vantaggio nel lasciarmi avvelenare gratis (e invece trovo assurdo pagare per essere avvelenati, per quanto molte persone oggi non facciano altro).

            La situazione sarebbe diversa se le porzioni avvelenate fossero state ben localizzate, e se qualcuno (qualcuno di cui possa fidarmi) mi assicurasse che sono state, tutte, separate e asportate dal dolce, e che la parte restante è senz'altro un alimento perfettamente sano, un manicaretto incontaminato. Ebbene, in questo caso, trovandomi davanti a un dolce radicalmente depurato, probabilmente non avrei alcun problema a mangiarlo. Ma, prima, mi resterebbe un dettaglio da risolvere: chi è che monda il dolce? Io stesso? Francamente non so se mi fido di me stesso. Dopotutto occorre pur individuare in qualche modo le parti avvelenate. E evidente che, per fare ciò, serve un palato sensibile al veleno (al veleno dal gusto gradevole). Solo una speciale abilità consente di accorgersi quando dal cibo innocuo si passa al cibo avvelenato; e questo implica inevitabilmente, suppongo, che bisogna assaggiare, sia pure in minima parte, la porzione avvelenata. Ed è quello il momento in cui credo di essere capace di ingannare me stesso, e, pensando: «Non può essere così cattivo; e ha un sapore così buono...», andare avanti e mangiarlo tutto; e poi doverlo anche pagare per intero.

Niente da perdere?

            Fatto sta, ripeto, che non so con certezza fino a che punto posso fidarmi di me stesso. Il compito di decontaminare un dolce avvelenato richiede un palato molto sensibile, per sapere dove fermarsi, e una volontà molto forte, per fermarsi davvero; oppure — forse —, più semplicemente, una immunità totale al veleno. Io certo non posseggo questa immunità. E benché creda di avere la necessaria sensibilità di palato, non posso garantire la forza della mia volontà. Cosicché — tutto considerato — se ci sono dolci che necessitano di essere mondati, preferisco che se ne incarichi qualcun altro. (Anche se aggiungerei, come commento generale e piuttosto arrabbiato che la vita, a mio parere, sarebbe molto più semplice se i pasticceri stessero più attenti riguardo alle sorprendenti quantità di veleno che sembra siano state introdotte ultimamente nella fabbricazione dei dolciumi).

            Così inquadro quei best seller — film, libri, eccetera — con le loro guarnizioni e i loro canditi pornografici, scene del tutto superflue: mero eccesso di «generosità» dei produttori o degli autori. Se non riesco a trovare nessuno disposto a farmi la «pulizia» (era proprio così inutile quel tizio così detestato e così indifferente, il censore pubblico?), in tal caso mi alimenterò da un'altra parte.

            Spiacente: ma se il non fidarsi di sé stessi o la paura di correre rischi superflui sono segni di immaturità, di mente non «liberata», mi si classifichi pure decisamente immaturo e disperatamente non-liberato. La mia unica consolazione sarà che almeno sono qui, ancora vivo.

            James Baldwin, scrittore nordamericano, parla da qualche parte del pericolo sociale derivante dalla presenza di persone che «non hanno niente da perdere». Io penso di avere tutto da perdere; o, con l'aiuto di Dio, tutto da guadagnare. Però, per non perdere la libertà, o l'anima, è essenziale rendersi conto che la si può perdere, e riconoscere ed evitare le cose suscettibili di privarcene. Nel 1965, durante il venticinquesimo anniversario della Battaglia d'Inghilterra, qualcuno domandò a Ginger Lacy, asso della Raf durante i combattimenti aerei del 1940, come avesse fatto a sopravvivere, e di quali requisiti ha bisogno un pilota di caccia per sopravvivere. La sua risposta fu chiara e secca: «Sono sopravvissuto semplicemente perché ho avuto moltissima fortuna. La fortuna è il primo requisito che un pilota di caccia deve avere. Devi anche sapere aver paura; altrimenti finisci ammazzato. Ho conosciuto alcuni che non avevano paura, e sono morti da venticinque anni».

            L'autocensura è semplicemente un'espressione del controllo che ciascuno ha su sé stesso. E l'autocontrollo e la vigilanza su sé stessi sono essenziali se si vuole sopravvivere. Se oggi ci sono persone che non esercitano alcun tipo di controllo su sé stesse, sarà perché credono che non esista alcun pericolo? Sarà perché non vogliono sopravvivere? Sarà perché credono di non avere niente da perdere? Oppure niente da guadagnare? Sorge spontanea un'ultima domanda riguardo a quelli che non scrutano mai l'orizzonte o il cielo, che non immaginano mai possibili pericoli, che non credono nel veleno che hanno continuato a ingerire per anni: sono vivi? O sono morti? Soltanto Dio (e forse loro stessi) può rispondere a questa domanda. A chi pensava l'autore ispirato quando scrisse: «Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto [...] Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da tè» (Ap 3, 1-3)?

I cuori dei genitori

            Che pazzia non spaventarsi vedendo in pericolo la propria sopravvivenza! E che incoscienza, criminale e inumana, non spaventarsi vedendo in pericolo la sopravvivenza dei propri figli! Questo ci riporta al terribile spettacolo di tanti genitori di oggi, che sembrano assistere, freddi e indifferenti, allo sfruttamento e alla distruzione delle vite dei propri figli; e a volte perfino contribuiscono alla loro stessa distruzione, autoingannandosi con la pratica della «doppia morale», con l'egoismo e la debolezza nel non negare a sé stessi ciò che non dovrebbero volere che i propri figli leggano o vedano.

            L'amore di simili genitori verso i propri figli è proprio morto? Non credo. Credo che si sia semplicemente addormentato (o che sia stato addormentato). Può dunque essere risvegliato. Ma quando arriverà questo risveglio?

            A questo proposito mi viene spesso in mente una frase nella quale san Luca descrive la futura missione di Giovanni Battista come precursore di Cristo. Egli dice che Giovanni «ricondurrà i cuori dei padri verso i figli» (cfr Lc 1,17). Non potrebbe darsi che sia questo il vero problema dei nostri giorni: che i genitori non amano abbastanza i figli; che i loro cuori non sono rivolti a sufficienza verso i propri figli? Ciò di cui i giovani del mondo di oggi hanno bisogno è una conversione dei cuori dei genitori.

            Se i genitori rivolgono davvero i loro cuori verso i figli, comprenderanno subito quanto è necessario che si sforzino di essere un modello per loro; comprenderanno la necessità di essere sinceri ed esigenti con sé stessi, esercitando questo autocontrollo, negandosi di vedere o leggere molte cose che li attraggono, sapendo che quella loro fortezza è la forza dei loro figli, e che stanno dando loro un esempio di autentica maturità umana e di vita cristiana; un esempio che i figli potranno rispettare e imitare.

            Se i genitori rivolgono davvero i loro cuori verso i figli, apriranno finalmente gli occhi sullo sfruttamento criminale di cui i loro figli sono l'oggetto principale. E con questo risveglio dell'amore paterno e materno avverrà un risveglio dell'opinione pubblica, una sommossa d'indignazione morale, e — infine — una pressione genuina, popolare e di massa sulle autorità pubbliche affinchè pongano rimedio agli abusi dell'attuale situazione.

Gli abusi della censura?

            Il controllo dello Stato non basta a fermare il collasso morale del nostro mondo. Soltanto l'autocontrollo — il controllo di sé stessi, da parte di ciascuno — può riuscire a fermarlo. Ma anche il controllo dello Stato è necessario, perché esisteranno sempre alcuni che non saranno disposti a esercitare l'autocontrollo. Ci sarà sempre gente senza scrupoli, disposta e impegnata a guadagnarsi fama e fortuna mediante lo sfruttamento del sesso. Certa gente bisogna controllarla. Se — come abbiamo già detto — esiste un diritto pubblico che le strade siano pulite e l'aria incontaminata, e un obbligo corrispondente da parte delle autorità pubbliche di frenare chi causa l'inquinamento fisico, esistono consimili diritti e doveri per quanto riguarda la contaminazione morale.

            Si impone, pertanto, la conclusione: per evitare che qualcuno voglia essere complice nello sfruttamento dei giovani — e dei meno giovani — e nella corruzione generale della società, non resta altra alternativa che appoggiare ed esigere qualche tipo di censura pubblica responsabile. Saremo più convinti e più convincenti, nelle nostre rivendicazioni, se non ci lasciamo ingannare o accecare dalla cortina di fumo — di propaganda anti-censura — che con tanta efficacia viene sollevata.

            La censura, si suoi dire, è soggetta a manipolazioni, al controllo politico, all'abuso. Certamente; però —come abbiamo indicato — anche la libertà lo è. Darei ragione a chi grida: «La libertà è meglio della censura», a condizione che a sua volta mi dia ragione quando affermo che gli abusi della libertà sono peggiori degli abusi della censura. Oggi i primi sono clamorosi e visibili dappertutto, e procurano danni incalcolabili (nella personalità e nell'umanità) a milioni di persone, mentre gli abusi della censura sono infinitamente meno frequenti e, soprattutto, colpiscono o danneggiano pochissime persone (e più che altro i loro portafogli).

            Inoltre non sono più disposto ad accettare il contrasto implicito nella tesi: «La libertà — anche a costo della pornografia — è meglio della censura». La pornografia è censura, in quanto significa passare sotto silenzio e sopprimere, consapevolmente e deliberatamente, altri aspetti del sesso più umani, più importanti, più nobili degli aspetti meramente fisici e animali. Pertanto un'autorità pubblica che non si confronti con la sua responsabilità di censurare la pornografia sta di fatto censurando la libertà, sta minacciando e costringendo la libertà personale di ciascuno dei suoi cittadini: quella di essere degni di sé, di non voler avere un'immaginazione deformata, di rispettare sé stessi e gli altri, di amare e di essere felici.

Incompetenza governativa

            Non si può evitare l'impressione che alcuni governanti abbiano rinunziato del tutto al dovere di regolare queste materie. La loro irresponsabilità, in alcuni casi, sembra basarsi su una tale ignoranza della natura umana da privarli di ogni idoneità e competenza a governare.

            Che cosa bisogna pensare della situazione di alcune nazioni, dove il governo lancia una massiccia campagna contro il fumo, e allo stesso tempo legalizza l'aborto e approva leggi sempre più permissive in ambito sessuale? Non ci si rende conto che la pornografia danneggerà la salute morale di una persona — la vera fibra del suo carattere — in un grado molto maggiore e in un modo molto più sicuro di quanto il tabacco possa mai danneggiare la salute del suo corpo?

            È vero che talune delle autorità in questione cominciano a imporre una sorta di tassa «di lusso» sui film e sugli spettacoli pornografici. Ma si pretende sul serio che questa «censura economica» sia un valido deterrente? È davvero probabile che ne segua la sparizione degli spettacoli pornografici? O piuttosto accadrà soltanto che per compensare la nuova imposta il pubblico dovrà pagare di più per vedere questi spettacoli? Che razza di preoccupazione governativa rivela tutto ciò? Siamo al colmo dell'ironia politica: i governi, finora, hanno rivendicato il diritto di incarcerare quei cittadini che non pagano le imposte. Ora succede che li mandano in carcere — alla schiavitù morale — se le pagano.

Il sesso è una faccenda privata?

            I nostri governi occidentali sono probabilmente sinceri nella loro preoccupazione per il bene dei cittadini. Il loro difetto sta nel non sapere in che cosa consista questo bene, e quali siano le sue esigenze. Eppure, può succedere qualcosa di più catastrofico a una società del fatto che il potere di governare sia in mano a persone che non sanno quale sia il fine del governo?

            Il fine del potere di governare è procurare il bene pubblico o comune. Ma il bene comune non si ottiene semplicemente perché il Prodotto nazionale lordo o il reddito pro capite sono in aumento, o perché i servizi sanitari e postali funzionano efficacemente. Il bene comune si ottiene quando un governo crea e difende le condizioni nelle quali gli uomini possono vivere da uomini; vale a dire, proteggendo tutto quello che favorisce la dignità umana e personale, e raffrenando coloro i quali vorrebbero degradare o sfruttare gli altri (sia in campo economico sia in quello, molto più importante, della morale).

            La responsabilità governativa è andata restringendosi all'amministrazione delle cose, e non si preoccupa più dello sviluppo delle persone. Tutti i politici, oggi, sono in pratica altrettanti filosofi dell'economia. Hanno un'idea economica dell'uomo; non hanno un'idea umana dell'economia. Di conseguenza non hanno alcuna idea realmente umana — incentrata sull'uomo — delle società che devono governare.

            Soltanto un governo sprovvisto di una autentica filosofia dell'uomo sarebbe capace di accettare la tesi (propugnata da ingenui liberali o da marxisti non tanto ingenui) che il sesso è una faccenda privata nella quale i governi e la leggi non devono interferire, e che non hanno alcun diritto di regolare.

            La tesi è di semplicità solo apparente. Ma è dimostrabilmente falsa. Perché il sesso, come abbiamo visto, è un'area di debolezza umana — aperta, pertanto, allo sfruttamento da parte di chiunque sia sprovvisto di scrupoli — che, quando la si trascura e specie quando viene sfruttata, diventa paradossalmente una forza che tende alla violenza e alla distruzione della pace sociale. Indubbiamente il sesso ha i suoi aspetti privati; ma la mancanza di controllo e lo sfruttamento non sono tra questi.

 

NOTE

[1] Anche all'interno del matrimonio il fine della sessualità, che consiste nel mantenersi nobili e al servizio dell'amore, richiede controllo e ritegno. Quando questo ritegno è assente, il sesso, anziché servire o favorire l'amore, tende a distruggerlo; perché si trasforma in una espressione di egoismo.

[2] Certamente qualcuno respingerà il concetto di dipendenza sessuale, o la tesi che il sesso senza controllo corrompe e rende schiavi. E un comportamento molto simile a quello del tossicomane o dell'alcolizzato che affermano di non dipendere dalle droghe, ma di bere o drogarsi per il solo piacere di farlo. Non mi metterei a discutere con loro. In realtà hanno bisogno di aiuto. Ma finché non ammetteranno questo bisogno sarà impossibile aiutarli. L'Anonima Alcolisti ha reso con molta chiarezza la propria esperienza di vita in proposito. Qualcun altro dirà che se preferiscono la pornografia, le persone non vengono sfruttate: è una loro scelta. Sicuro; ma scelgono di essere sfruttati, anche se probabilmente non se ne rendono conto. Gran parte di questo sfruttamento consiste proprio nel far credere allo sfruttato che sta scegliendo la libertà, mentre, di fatto, va incontro alla schiavitù. Non appena i pornografi avranno esposto all'ingresso dei propri edifici annunci come questi: «Negozio di schiavitù»; «Offriamo schiavitù: attraente, senz'altro accattivante, ma schiavitù», potremo ancora continuare a chiamarli sfruttatori, ma almeno non dovremo più chiamarli ipocriti. Allo stesso modo il marxista va chiamato ipocrita fintante che continua a manipolare il termine «democrazia». Si può immaginare qualcosa di meno democratico della filosofia o delle strategie marxiste, o dello Stato comunista? Continueremo quindi a chiamarli ipocriti finché non smetteranno di dichiararsi democratici. Non appena i marxisti smetteranno di parlare di democrazia e diranno chiaramente: «Quello che offriamo è un paradiso terrestre dove gli uomini saranno fatti nascere, allevati, nutriti, messi a lavorare, resi socialmente utili, ed eventualmente seppelliti secondo le norme igieniche e completamente dimenticati, sotto il controllo dittatoriale di uno Stato monopartitico, dove ciascuno verrà trattato come un'unità rigorosamente economica e niente più, dove si provvedrà ai bisogni materiali elementari, dove alla fine, però, non rimarrà alcuna traccia di libertà personale e politica»; quando i comunisti parleranno così, allora continueremo a sostenere che i loro programmi sono sbagliati e senza valore come sempre, ma non dovremo più affermare che sono insinceri. E questo vale anche per i pornografi. Ancora peggiore del cieco che guida il cieco è il cieco che inganna il cieco: il cieco che acceca il cieco. Il fatto è che nessuno può permettersi di parlare di sesso senza prima riconoscerne le contraddizioni: la sua funzione nobile, se inserito nei piani di Dio; ma anche il suo potenziale, se incontrollato e sfruttato, di rendere schiavi. Scrittori, artisti, produttori cinematografici, editori, pubblicitari comprendono questo potenziale e i profitti che offre loro. Il problema è che il loro pubblico spesso rifiuta di riconoscere tutto ciò.

[3] E, dal momento che il volere di Dio è che noi siamo felici (il suo volere è la nostra felicità), se vi contravveniamo non saremo felici.

[4] cap. 6.

[5] Dopo tutto se un uomo non controlla sé stesso può star certo che sarà qualcun altro a controllarlo. Questo controllo o manipolazione di molti da parte di pochi, in special modo per mezzo del sesso, ricopre campi e interessi più vasti di quanto si potrebbe supporre a un primo sguardo. Abbiamo parlato di coloro che spacciano pornografia, e del loro interesse a spezzare la resistenza all'acquisto dei loro potenziali clienti. Consideriamo comunque che sono gli unici, tra quelli che promuovono la pornografia, il cui interesse è lampante. Ci sono stati sviluppi recenti, nel mondo commerciale in genere, che sono significativi. L'uso ordinario di certi elementi di richiamo sessuale nella pubblicità è diventato un fatto normale che nessuno si è mai sognato di contestare. Le graziose facce che, sorridenti, decoravano i cartelloni pubblicitari dei viaggi in diligenza nel secolo scorso, sorridono tuttora dai manifesti dei viaggi in aereo. Ma rispetto al passato tutto ciò, in molti casi, è degenerato in sempre più esplicita pornografia. Perché? Se la degenerazione è da attribuire alla sconsideratezza da parte delle ditte interessate (il loro mero non accorgersi di usare questi elementi nella loro professione di pubblicitari), la loro incoscienza è davvero spaventosa. Resta la possibilità che sia il frutto di una politica deliberata; che alcuni produttori abbiano capito che è più facile vendere (qualsiasi cosa) a persone senza autocontrollo, e quindi favoriscano qualsiasi cosa possa spezzare questo controllo. Non è una prospettiva piacevole. E questa possibilità non si può escludere neanche riguardo alle stesse sfere della politica. Quando si perseguono certi programmi politici che favoriscono la liberalizzazione della censura e altre simili cose, c'è da chiedersi se il principale intento di questi politici «liberali» non sia quello di sortire un doppio effetto: procacciarsi voti (la gente crede facilmente alle promesse facili di libertà) e (almeno così pensa qualcuno) fare in modo di ottenere una popolazione debilitata e quindi facilmente governabile. Alcuni politici liberali sono ben consapevoli (anche se chi vota per loro non lo è) del fatto che le società permissive frutto del loro ingegno somigliano sempre più al «Mondo nuovo» di Huxley, un mondo totalmente pianificato e manipolato. Hanno persino surclassato i Controllori Mondiali di Huxley nel mantenere la finzione di libertà. Il loro errore nel considerare che una società, così liberalizzata, sia più facilmente controllabile (almeno in senso democratico); il fatto che siffatte società portino inevitabilmente a una crescita della violenza sociale e dell'anarchia, e che alla fine potranno governare soltanto con la polizia armata, sottolinea palesemente lo scopo ultimo di queste politiche calcolate, ovvero la distruzione della vera umanità delle vite umane.