La società occidentale sta precipitando in una condizione patologica; per molti aspetti è già seriamente ammalata. Non è chi scrive a fare questa pungente diagnosi, ma il Santo Padre. Nella sua Lettera alle Famiglie di febbraio del 1994, Giovanni Paolo II non esita ad affermare: «la nostra civiltà... dovrebbe rendersi conto di essere, da diversi punti di vista, una civiltà malata, che genera profonde alterazioni nell'uomo» (n. 20). È' esagerata una diagnosi così lucida? Non credo. È' pessimistica? No, non è pessimistica, poiché proviene da un medico fermamente convinto che il paziente debba vivere in buona salute ed è in grado di guarire, e che egli stesso conosce e possiede il giusto farmaco per portare a termine la cura. E' una diagnosi stringente e dura, certo, ma è anche incoraggiante. Rileva che c'è qualcosa di sbagliato, di molto sbagliato; ma mostra come si può correggere. L'ottimismo del Papa deriva dalla convinzione che l'uomo è fatto per una «civiltà dell'amore» (n. 13), laddove la diagnosi scaturisce dal fatto che la civiltà contemporanea, pur dovendo essere d'amore, sembra essere invece «una civiltà del prodotto e del godimento, una civiltà delle "cose" e non delle "«persone": una civiltà in cui le persone si usano come si usano le cose» [1].
Le conseguenze di una civiltà consumistica, di una società del consumo, sono chiare. Quando ogni cosa (nonché ogni persona) diventa oggetto da usare, una volta che l'oggetto non è più utile, la reazione concreta è quella di metterlo da parte; e se non ci si riesce, si va in cerca di un modo per sbarazzarsene.
Una civiltà del consumo può portare ad una «civiltà dei rifiuti", dell'eliminazione o soppressione di tutto ciò che è considerato scomodo (un bambino non nato, per esempio). È quando la cosa o la persona scomoda non può essere facilmente eliminata, può portare ad una «civiltà» dell'odio [2].
E' l'amore che particolarmente si trova oggi in una critica situazione patologica. Non certo l'amore di Dio, che mai va in crisi, ma l'amore nostro, che deve essere il dinamismo stesso della nostra esistenza, e che può tuttavia venir soffocato fino alla morte dall'egoismo. In senso reale, l'Occidente corre il pericolo di morire per arresto cardiaco, per arresto dell'amore. E' la malattia che sta invadendo l'odierna vita occidentale, poiché la salute umana c'è veramente solo in chi sia capace di amare; e invece stiamo dimenticando come amare.
"Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male [...] scegli dunque...» (cfr. Deut: 30, 19-20). È questa la meraviglia nonché il tema della nostra esistenza, che appare nel medesimo tempo eccitante e spaventosa, contrassegnata di continuo da alternative e scelte. Forse, a man a mano che si cresce, le possibilità sembrerebbero numericamente diminuire, ma certo non minore ne sarà d'importanza. Alla fine, infatti si riducono solo a due: paradiso ed inferno. Sono queste le alternative definitive, eterno amore o eterno odio. La vita, invero, altro non è che una preparazione a queste possibilità estreme: amare o non essere più in grado di amare, donarsi o non essere più nella condizione di donarsi, aprirsi verso gli altri o chiudersi in sé stessi e restare separati da ciascuno e da tutto.
La vita, si può ben dire, è una scuola «propedeutica", dove l'unica materia che bisogna veramente imparare è l'amore; dove i soli voti negativi che realmente importano sono nella suddetta materia; dove l'unico assoluto fallimento è di quelli che non riescono a imparare ad amare. È se l'amore non è stato appreso, il contrario dell'amore - cioè l'egoismo, e perfino l'odio - ha ogni probabilità d'impadronirsi della vita di una persona.
L'uomo è stato creato per amare, con la capacità, l'inclinazione e il bisogno di amare. È tuttavia c'é un potente fattore all'opera entro noi tutti (i cristiani lo chiamano peccato originale) che ci ostacola nell'amore, e addirittura a capire nella pratica la vera natura dell'amore. L'amore è anzitutto una questione di conoscenza e di volontà; eppure lo lasciamo tranquillamente dipendere dai sentimenti. Amare significa dare, e tuttavia tendiamo ad essere troppo consapevoli del nostro diritto a ricevere, anche da parte di coloro che diciamo di amare. Amore significa generosità, eppure nella pratica ci riesce difficile liberare il nostro amore dal calcoli. Amore significa sacrificio, e non di meno tutti desideriamo una vita facile dove le richieste che ci vengono poste siano ridotte al minimo.
L'amore crea legami di unione e di comprensione tra le persone, ma anche doveri di sostegno e di perdono, mentre noi tutti talvolta tendiamo a sottrarci ai nostri doveri.
L'egoismo pratico e una comprensione riduttive sono sempre stati gli ostacoli all'amore che comunemente possono in sorgere in noi e tra di noi. Tuttavia, nonostante questi ostacoli, l'amore ha sempre trovato numerosi supporti naturali - ambienti o istituzioni - per il proprio sviluppo. La nuova patologia che dobbiamo affrontare nella nostra società sta nel fatto che queste istituzioni naturali, di cui il matrimonio e la famiglia figurano come le principali, sono malate e in pericolo di morire o di essere messe a morte.
Ritorniamo all'inizio della creazione. Nel chiamare l'uomo all'esistenza, il piano di Dio contemplava che fosse concepito e crescesse nell'amore: che la sua esperienza della vita maturasse in quella particolare scuola d'amore che è la famiglia, costituita dall'unione sponsale dell'uomo e della donna. Attraverso il matrimonio e la famiglia Dio desidera mandare nel mondo l'amore e, con esso, il bene. Laddove si fa sentire la presenza dell'amore, il bene acquista quel vigore di Dio che conquista il mondo. Dio ha istituito la famiglia perché sia il primo luogo - il locus normale - dove l'amore venga naturalmente appreso, e dalla quale possa essere trasmesso agli altri. E' all'interno di questo scenario che il Santo Padre ha scritto la sua recente Lettera alle Famiglie. Sua preoccupazione specifico è che la stessa nozione e realità della famiglia sono oggi deformate o perse. In conseguenza della mancata conoscenza di sé da parte dell'uomo [3], «anche la famiglia rimane una realtà sconosciuta» (n. 19).
Il Papa desidera presentare la «verità sulla famiglia» (n. 18); e chiede ai cristiani di capirla e di divenirne annunziatori.
La qualità della famiglia e l'esperienza familiare sono vitali se vogliamo avere individui sani e una sana società nella quale, nonostante la realtà del male, il bene sia più fortemente presente. Che la vita sia buona o cattiva, positiva o negativa, ricca di amore o dominata dall'esperienza dell'egoismo, dipende fondamentalmente dalla famiglia. Nella sua Lettera, il Papa insegna: «La famiglia si trova al centro del grande combattimento tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra l'amore e quanto all'amore si oppone. Alla famiglia è affidato il compito di lottare prima di tutto per liberare le forze del bene [...] Occorre far sì che tali forze siano fatte proprie da ogni nucleo familiare, affinché [...] la famiglia sia «forte di Dio»" [4].
Vediamo in breve alcune modalità secondo le quali il matrimonio e la famiglia devono adempiere la loro funzione di scuole di vita e d'amore, ricordando che nella scuola della famiglia, come in ogni scuola, le materie di studio non vengono apprese se non vengono insegnate; e così pure che il maestro migliore è sempre, e forse solamente, chi crede in ciò che insegna e lo vive.
Amore famigliare: scuola per i figli
Punto di estrema importanza da tenere ben presente è che i figli non si «innamorano» spontaneamente dei loro genitori o dei propri fratelli e sorelle. Devono imparare ad amare. L'«amore romantico», dopo tutto, è un'esperienza dell'età adulta o dell'adolescenza, non della fanciullezza. Non è in maniera spontanea, ma in risposta alla dedizione, alla pazienza e ai sacrifici dei propri genitori che i figli imparano ad amarli.
Se infatti i bambini normalmente imparano ad amare, è soprattutto perché, all'interno di quel nucleo naturale che è la famiglia, hanno sperimentato che sono amati dai loro genitori e magari anche dai fratelli e dalle sorelle maggiori. San Tommaso osserva che niente spinge una persona ad amare tanto fortemente quanto sapere che è amata (cfr. Summa Theol. I-II, 26, art. 2). I figli che sono amati dai loro genitori impareranno a loro volta ad amare. La perseverante dedizione dei genitori verso di loro - pur con le «esigenze» dell'amore - insegnerà a poco a poco ai figli che amare significa dare. E, sotto l'amore e la costante guida dei genitori, impareranno ad amarsi reciprocamente. Da ciò be si comprende il privilegio grandissimo del compito svolto dai genitori. Non solo danno la vita, ma insegnano anche l'amore.
Niente è più distruttivo per la felicità che la perdita di fiducia nell'amore. Significa lasciarsi attrarre sulla via dell'inferno assentire a dubbi sulla presenza o possibilità dell'amore nella propria vita, ritenendo di non essere capace di dare amore né di riceverlo: sono troppo egoista per amare gli altri, o gli altri troppo egoisti per amare me. La tentazione (o i suoi prodromi) è oggi reale per molta gente, e forte: io non amo alcuna persona, nessuno mi ama. Non posso trovare nessuno da amare; perciò gli altri non sono meritevoli di amore. Nessuno mi ama; dunque io non sono amabile. Molti trascorrono anni nello sforzo di lottare contro simili suggestioni. Quelli che non vi riescono possono talvolta porre fine alla propria vita con il suicidio.
La più efficace difesa naturale contro queste tentazioni estreme è l'esperienza unica di vivere e crescere in una famiglia, luogo in cui nessuno è privo di amore, neppure la persona meno amabile. I genitori tendono ad amare ciascuno dei propri figli, persino, e in special modo, il peggiore. I figli imparano allora che esiste un amore non condizionato dal merito, né sminuito a motivo dei difetti. Poiché si affidano al sostegno di un tale amore, essi sono incoraggiati a misurarsi con le sfide all'interno e anche all'esterno della famiglia. Ci è d'insegnamento - sia sul piano naturale che su quello soprannaturale - la parabola del figliol prodigo. Senza una certa esperienza dell'amore di un padre, o ancor più di una madre, è difficile rendersi conto della natura incondizionata dell'amore che Dio nutre per ciascuno di noi: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai» [6].
Non si esagera oggi affermando che missione dei genitori è di salvare l'amore, con un lavoro di incarnazione che lo renda umano per i loro figli, così che non sia per loro solo una parola, ma una realtà effettivamente presente nella vita quotidiana. E' allora che i figli cominciano a contraccambiare e che è possibile insegnare loro e guidare loro a corrispondere. I genitori possono attendersi o esigere obbedienza e rispetto dai figli, ma saranno concessi a fatica o per nulla affatto se non verranno dati come risposta a un amore generoso.
Gli sposi che hanno imparato ad amarsi reciprocamente sono i migliori modelli e i primi veri insegnanti per i figli. In tal maniera fratelli e sorelle imparano gradualmente a essere generosi tra di loro, a comprendere, a perdonare, a riconciliarsi. E' allora che la famiglia diventa veramente una scuola che prepara i figli per la vita, in particolar modo per la vita moderna, dove tante persone sono in mutuo contrasto, dove dominano i giudizi negativi, dove i difetti degli altri sono un'ossessione e l'indulgenza una rarità, dove la grettezza e l'intolleranza minacciano di diventare, nella generale condivisione, quasi un codice di comportamento sociale.
Vorrei qui citare un altro aspetto della famiglia divenuto oggi molto importante, e cioè la graduale comprensione della sessualità che tende a svilupparsi di maniera naturale quando fratelli e sorelle crescono insieme. Uno dei motivi per cui il rispetto tra i sessi viene oggi soppiantato dal sospetto e dall'antagonismi è dato dal fatto che sempre più numerosi sono i ragazzi o le ragazze che crescono senza aver mai convissuto con un fratello o con una sorella. Nel disegno della natura, la famiglia - la famiglia autentica - costituisce una scuola singolare per la comprensione della sessualità, poiché offre un contesto (forse l'unico) in cui il rapporto tra i sessi non viene facilmente inquinato da desideri sbagliati.
Gli sposi come maestri e modelli
È infatti nei confronti dei figli che i genitori devono vedere con maggior chiarezza che l'amore è una sfida che esige generosità e pazienza. La dedizione concreta ai figli deve riconfermare la loro esperienza personale che innamorarsi è facile, ma tale non è serbarsi nell'amore e crescere in esso.
Abbiamo affermato poc'anzi che i figli non si «innamorano» spontaneamente dei propri genitori. Ma, naturalmente, i figli non esisterebbero affatto se i genitori non si fossero innamorati l'un l'altro. C'è di solito molta spontaneità in questo processo di «innamoramento» che precede e inspira normalmente la decisione di un'uomo e una donna di sposarsi. Il processo è per lo più intessuto di sentimenti, si tende a idealizzare l'altra parte, ravvisando in lei o in lui trascurabili difetti, dal momento che, come abitualmente si dice, «l'amore è cieco". E tuttavia occorre dire che la natura sembra aver disegnato le cose in maniera tale da indurre quel «romanticismo", forte nel sentimento e debole nella percezione, a unire le persone in matrimonio. Comunque, le persone che si sposano sono in realtà persone con difetti: bastano pochi anni di matrimonio, e l'aura romantica svanisce, i difetti saltano fuori e l'amore spontaneo deve esprimersi e maturare in qualcosa di più profondamente compreso e voluto. È allora che gli sposi dovrebbero capire che in effetti non hanno ancora imparato ad amare veramente. È allora che il matrimonio diventa, per loro e primo di ogni altro, un luogo di apprendimento, una scuola d'amore.
# L'amore coniugale non può dipendere esclusivamente dal romanticismo o dal sentimento. Nella sua Lettera, il Papa dice: «L'amore è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri» (n. 14). «L'amore è esigente [...]. Bisogna che gli uomini di oggi scoprano questo amore esigente, perché in esso sta il fondamento veramente saldo della famiglia (ibidem). Le caratteristiche del vero amore si riflettono nelle parole con le quasi gli sposi promettono di accettarsi l'un l'altro, "nel bene e nel male, nella ricchezza e nella povertà, nella salute e nella malattia [...] tutti i giorni della vita"» [7].
Amare veramente è volere il bene dell'altro, dell'altra. Ciò significa senza dubbio volere che l'altro sia migliore; ma ciascuno deve cominciare con l'amare il coniuge così come realmente è; diversamente, non è una persona reale quella per cui si professa amore. L'amore coniugale deve essere così, come bene esprime la nozione di consenso matrimoniale insegnata dalla Chiesa; esso è infatti quell'«atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente sé stessi» (Codice di Diritto canonico, can. 1057, § 2). Il dono di sé: è questo il personalismo cristiano segnalato dal Concilio Vaticano II: «l'uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» (Gaudium et spes, n. 24). «La perfezione esige quella maturità nel dono di sé, al quale è chiamata la libertà umana»^ L'amore coniugale è una continua chiamata all'autodonazione; e per questo, se la sfida che porge viene liberamente assunta, esso porta le persone così fortemente alla santità.
«Mariti e mogli si amino», è il messaggio della Scrittura [9]. Ciò significa: ognuno degli sposi deve pensare più a quello che da al coniuge, che a quanto riceve da lui o da lei. Un dono così costante di sé è il cammino di Cristo, che donò sé stesso sulla Croce. E, paradossalmente, è pure il cammino della felicità.
Infine non possiamo ne dobbiamo disconoscere che la felicità, anche quella che promette il matrimonio, non è possibile senza generosità e sacrificio. Il beato Josemaria Escrivà osservava spesso che la felicità ha le sue radici a forma di croce'". Questa è la regola, l'apparente paradosso del Vangelo: solo «perdendo» e donando noi stessi — essenza dell'amore — possiamo cominciare a ritrovarci, rinvenendo a volte non solo noi stessi, ma, ben più, la felicità per cui siamo fatti.
Inutili saranno tutti i corsi e i colloqui sul matrimonio se non riflettono questa realtà fondamentale. Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: «seguendo Cristo, rinnegando sé stessi, prendendo su di sé la propria croce, gli sposi potranno "capire" il senso originale del matrimonio e viverlo con Cristo. Questa grazia del matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana»". Pertanto l'amore umano nel matrimonio, che tanta felicità promette, potrà svilupparsi e attingere piena compiutezza soltanto con l'impegno di esercitarlo. Il Santo Padre rivela che «tale compimento rappresenta pure un compito e una sfida. Il compito coinvolge i coniugi, in attuazione del loro patto originario» (n. 7), cioè nell'essere fedeli al mutuo amore che si sono promessi. Questo già pone una sfida a ciascuno degli sposi riguardo all'altro. Dipende molto da quanto bene gli sposi cristiani capiscono questa sfida, e con quanta generosità vi rispondono.
II matrimonio è oggi sempre più minacciato per un'angusta ed egoistica comprensione dell'amore coniugale inteso come mezzo di autosoddisfazione, esclusivamente incentrato sul'individuo, e visto in termini di prendere-ottenere: «lui o lei potrà rendermi felice?»; o, elevandosi forse a un livello leggermente superiore di calcolo condiviso, «potremo renderci felici l'un l'altro?». Non è questo il vero amore coniugale, e un amore di tal genere è improbabile che duri.
Il Concilio ecumenico Vaticano II dice che ciò che rende l'amore coniugale «eminentemente umano» sta nel fatto che è «un affetto tra due persone radicato nella volontà» (Gaudium et spes, n. 49). L'amore tende a sbocciare a livello dei sentimenti: mai però potrà mutare e divenire veramente profondo se resta a quel livello (che, dopotutto, è un livello assai superficiale delle relazioni umane). Per crescere, l'amore non deve rimanere un fenomeno meramente emotivo: occorre che diventi una questione di deliberata e volontaria scelta. Una comprensione davvero umana del matrimonio comunica un chiaro messaggio alla persona sposata, più o meno così formulato: «l'amore nel matrimonio è tanto un dovere quanto un diritto. Perciò tu non hai il diritto di rinunciare alla fatica di amare, anche se il matrimonio si rivela difficile o incontra ostacoli imprevisti, almeno se essi sono semplicemente gli insospettati difetti del proprio coniuge. Il tuo sposo ha il diritto di essere amato con quei difetti: è così com'è, e tu hai il dovere di amarlo in tal maniera. In ciò sta l'amore genuino».
Naturalmente non è facile per due persone vivere insieme tutta la vita, in fedele e feconda unione. È più «facile» per ognuna vivere singolarmente, o unirsi occasionalmente e per poco tempo, o evitare di avere figli. È più facile, ma non più felice: ne contribuisce alla loro crescita in quanto persone. «Non est bonum homini esse solus», dice il Signore nell'istituire il matrimonio. Non è bene per l'uomo e per la donna vivere da soli o in successive temporanee unioni che tendono a relegare le persone maggiormente in stato di autoisolamento. L'impegno matrimoniale non è uno sforzo facile, ma, a parte che rende normalmente felice, è un impegno che matura.
Nella sua Lettera Giovanni Paolo II insiste: «l'amore dunque non è un'utopia: è dato all'uomo come compito da attuare con l'aiuto della grazia divina» (n. 15). Il Papa parla dei «pericoli che incombono sull'amore», e precisa: «si pensi anzitutto all'egoismo...». L'egoismo è nemico dell'amore; esso è frutto del nostro più grave difetto, cioè l'orgoglio. Egoismo e orgoglio devono essere combattuti; diversamente distruggono l'amore, l'unità e la felicità, e pongono l'anima in eterno pericolo. L'umiltà è una delle armi essenziali per la lotta: l'umiltà di chiedere costantemente perdono a Dio per i nostri peccati personali; e, in particolar modo nella vita coniugale, l'umiltà di chiedere perdono al coniuge, anche quando si abbia la convinzione che la colpa sia principalmente dalla sua parte.
I giovani devono imparare che sposarsi significa unirsi con una persona che ha difetti: anzi se, all'atto di innamorarsi, hanno l'impressione che l'altra persona sia immune da difetti, sono in errore. Sarebbe altresì sbagliato pensare che l'amore abbia fine quando si cominciano a scoprire i difetti del coniuge. Al contrario, è allora che l'amore è giunto a un bivio cruciale: è il momento di muovere verso la maturità, oppure di allontanarsene.
Il beato Josemaria Escrivà ispirò numerose persone a considerare il loro matrimonio come una chiamata diretta alla santità. Egli ribadì più volte che l'amore per Dio è inseparabile dall'amore che gli sposi hanno l'un l'altro, e li aiutò con acuta psicologia a capire tutto ciò che questo coinvolge. Conversando con una coppia di sposi si dice che abbia chiesto, a cominciare probabilmente dalla moglie: «Ami tuo marito?». «Certamente», avrebbe essa risposto. «Lo ami molto?». «Moltissimo». «Lo ami con i suoi difetti?». Essendoci stato un attimo di esitazione alla domanda, il beato Josemaria avrebbe aggiunto: «Perché se non è così, non lo ami». Successivamente le medesime domande sarebbero state rivolte anche al marito.
Pertanto, quando ci si sposa, se non si è disposti ad amare l'altra persona con i suoi propri difetti, non è — ripeto — una persona reale che si intende sposare. Imparare ad amare qualcuno con i suoi difetti costituisce l'essenza del vero amore e della lealtà, ed è sempre il compito principale degli sposi. Il reciproco rispetto e la mutua accettazione — il rispetto di ciascuno per l'altro, pur con i suoi difetti — sono gli unici atteggiamenti che tengono insieme una coppia, una famiglia, una società.
La famiglia: amore, frutto, vitalità
La famiglia è una scuola di amore e di vita. Ma se non un minimo di vigore, che si esprimerà di solito anche numericamente, è improbabile che l'individualismo e l'egoismo — i nemici della vita vissuta e amata — perdano molti dei loro spigoli aguzzi. Nella sua Lettera il Papa osserva: «C'è poca vita umana nelle famiglie dei nostri giorni. Mancano le persone con le quali creare e condividere il bene comune; eppure il bene, per sua natura, esige di essere creato e condiviso con altri: "bonum est diffusivum sui"; "il bene tende ad diffondersi"» (n. 10).
Il Santo Padre della bellezza dell'amore coniugale e famigliare, dei pericoli che lo minaccia, e delle sfide cui deve far fronte. Nel costatare l'egoismo come primo «tra i pericoli che incombono sull'amore», aggiunge: «si pensi [...] non solo all'egoismo del singolo, ma anche a quello della coppia». Sta parlando dei pericolo cui va incontro l'amore coniugale, imputabile non solo all'egoismo individuale nei rapporti tra marito e moglie, ma anche all'egoismo condiviso di entrambi nei confronti dei figli: il pericolo del calcolo nel loro atteggiamento verso di essi. I figli sono il frutto specifico dell'amore di coppia; un amore calcolato è già di per sé un amore povero? Il calcolo, specialmente nel dare la vita, di rado esprime o consolida il vero amore. Un amore più autentico tende a essere generoso, e la generosità rifugge in termini di calcolo.
Il Papa rileva così che una sfida particolare è posta all'interno del matrimonio, ai coniugi nel loro insieme, relativa al frutto del loro amore. «I figli da loro generati dovrebbero — qui sta la sfida — consolidare tale patto, arricchendo e approfondendo la comunione coniugale del padre e della madre» [12].
Non va perso di vista che mentre la limitazione del numero di figli in una famiglia può essere spesso una necessità, è tuttavia sempre una privazione. La scelta deliberata di evitare u figlio — quando tale scelta non sia imposta da fattori economici, sociali o di salute — non tende a rafforzare il mutuo amore e il rispetto tra gli sposi, ma piuttosto a indebolirli. Se, come afferma il Concilio Vaticano II, il matrimonio costituisce una «intima comunità di vita e d'amore» (Gaudium et spes, n. 48), la riluttanza a rendere partecipi gli altri della vita, può facilmente trasformarsi in riluttanza a continuare a rendere partecipe il proprio coniugo dell'amore. E ciò può condurre a un pericoloso ripiegamento su sé stesso. Anche se i coniugi vivono in reciproco accordo riguardo alla decisione di attuare una limitazione famigliare (insisto che parlo di un'autentica decisione, non imposta) essi dovrebbero ben considerare se non possa esserci dietro a quella decisione un fattore egoistico comune. L'egoismo, anche se condiviso, non unisce, ma piuttosto separa.
La limitazione famigliare, quando non sia necessario, comporta sempre la conclusione che una vita specifica — quella dell'eventuale figlio— non è degna di essere vissuta. Di conseguenza, si rischia di perdere la coscienza che non c'è dono più singolare e privilegiato che quello della vita stessa. Una filosofia contro la vita può facilmente diventare un atteggiamento contro l'amore; e all'incontrario. Chi cede a questa mentalità corre il pericolo di stimare in misura minore la vita altrui, e magari di dubitare anche del valore della propria [13].
L'amore dei coniugi si trasforma normalmente in amore dei genitori. E questa di solito una condizione della conservazione e della crescita dell'amore coniugale [14]. Il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica dice: «l'amore coniugale tende per sua natura a essere fecondo. Il figlio non viene ad aggiungersi dall'esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento' [5].
Dall'amore coniugale all'amore famigliare
L'amore coniugale si mutua in amore famigliare perché marito e moglie diventano genitori una volta sola? Beh... sì; con tre membri si ha certo una famiglia. Ma se rimane deliberatamente a un così ristretto numero, forse essa mancherà di quella ricchezza, di quel vigore e di quella personalità il cui possesso Dio le augurava. Pertanto, sarà meno solida dinanzi alle forze che la minacciano dall'esterno, e così, costituendo una sfida di minore entità per i suoi componenti, sarà quasi sicuramente una sorgente meno copiosa di felicità e di compiutezza.
Durante un'omelia a Washington negli Stati Uniti, Giovanni Paolo II ricordò alle famiglie che «è minor male negare ai propri figli certe comodità e vantaggi materiali che privarli della presenza di fratelli e sorelle che potrebbero aiutarli a sviluppare la loro umanità e a realizzare la bellezza della vita in ogni sua fase e in tutta la sua varietà» [16]. Alle famiglie troppo inclini alla limitazione del nucleo famigliare, suggerirei di leggere queste parole del Papa alla luce del Concilio Vaticano II, che insegna: «I figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono pure al bene dei genitori» . Si tratta, quindi, per i genitori, della possibilità di privare non solo ai figli già nati, ma pure sé stessi, di un «bene» concreto, di una singolare esperienza della vita umana rappresentata dal frutto dell'amore.
Così come rileva il Papa, c'è indubbiamente una sfida alla generosità sia verso i figli che gli sposi già hanno, sia verso quelli che non hanno ma che potrebbero ancora avere. Fronteggiare allora questa sfida e risolverla bene, sembra più facile se la si considera non in termini di doveri e di obblighi, ma in armonia con il personale senso dei valori. Paolo VI, nell'enciclica Humanae vitae, affermò infatti che un verso senso dei valori è il primo requisito per una coppia che voglia inquadrare correttamente la pianificazione famigliare [18]. Occorre dire che c'è qualcosa di manchevole nella scala dei valori umani della coppia, la quale non riesca a considerare un figlio come il più grande acquisto che possono fare, quello che maggiormente li arricchisce. Nei Paesi occidentali molti coniugi sembrano non essere più in grado di comprendere la semplice verità che i figli sono il frutto più personalizzato del loro amore coniugale; e sono perciò il regalo più grande che possono reciprocamente farsi, essendo al tempo stesso dono di Dio all'uno e all'altro genitore nonché alla famiglia tutta che il loro amore va costituendo' [9]. I genitori di una famiglia numerosa dovranno forse impegnarsi non poco nel comporre litigi tra figli e figlie; ma avranno un'esperienza umana più piena rispetto a quei genitori che si trovano nella situazione sempre più difficile di mantenere la pace tra loro e un figlio unico. Anche se si consegue una qualche pace, è improbabile che sia una realtà duratura fondata sul mutuo sacrificio; piuttosto sarà una «pace senza fastidi», conquistata cedendo ai capricci dei figli, non idonea a durare ne a suscitare rispetto.
Nella famiglia, intesa come scuola di valori sociali e di mutuo rispetto, i due principali compiti dei genitori sono la soluzione dei problemi e la promozione dei valori. Alcuni genitori non sono in grado di adempiere all'uno e all'altro compito. La tipica soluzione «permissivista» è quella di risolvere i problemi sorvolando sui valori. In tal maniera nulla viene risolto: i problemi e le tensioni diventano sempre più gravi, e i valori a poco a poco si perdono. Purtroppo questo processo è ampiamente riscontrabile nelle società contemporanee.
Conclusione
Nella sua Lettera alle famiglie, il Papa non si nasconde che il messaggio di Cristo sul matrimonio e sulla famiglia può sembrare duro da un punto di vista strettamente umano, soprattutto se individualistico. Ma sottolinea che questo messaggio è bello e attraente come anche della massima importanza per il mondo intorno a noi. Richiama il fatto che anche gli apostoli ebbero una prima reazione di sorpresa e perfino di timore dinanzi all'insegnamento di Cristo circa l'indissolubilità del vincolo coniugale; ma superando la loro iniziale paura, «hanno compreso che il matrimonio e la famiglia costituiscono una vera vocazione proveniente da Dio stesso, un apostolato [...]. Servono alla trasformazione della terra e al rinnovamento del mondo, del creato e dell'intera umanità» (n. 18).
Ognuno dei genitori deve imparare a mettere in secondo piano i propri piccoli interessi; e devono imparare insieme a vincere le mutue e piccole incomprensioni, a perdonarle e dimenticarle. Devono innalzare i cuori — ciascuno singolarmente e insieme — a ciò che Dio, tramite il Papa, propone loro; a ciò che la società, senza saperlo, richiede da essi; e infine a quello che i figli, forse anche loro senza nemmeno comprenderlo del tutto, hanno il diritto di aspettarsi dai propri genitori.
Ci sono, indubbiamente, delle difficoltà, poiché ciascuno di noi soffre le conseguenze del peccato originale. Possiamo persino dire che la famiglia stessa soffre della caduta. La famiglia può essere (dovrebbe essere) una grande scuola d'amore; ma anche divenire una scuola dove l'amore viene appreso poveramente, quasi sempre perché viene insegnato senza aperture e prospettive. Nel peggiore dei casi, la famiglia può anche diventare una scuola dove s'impara l'opposto dell'amore, perché ciò che vi si insegna è appunto il contrario dell'amore. Invece di essere una scuola d'amore e di generosità, può mutarsi in scuola di calcolo ed egoismo. Essa sarà così come la fanno i genitori. Perciò tanto grandi sono oggi la sfida, la missione e l'ideale proposti ai genitori.
Meditando sulla bellezza della vocazione di genitori e la nobiltà e l'importanza di tale missione, le sue difficoltà sembreranno assai minori. Soprattutto, come il Papa sottolinea, essi hanno l'aiuto di Dio. Nella sua Lettera afferma con vigore: «Non abbiate paura dei rischi! Le forze divine sono di gran lunga più potenti delle vostre difficoltà. Smisuratamente più grande del male che opera nel mondo è l'efficacia del sacramento della Riconciliazione [...]. Molto più incisiva della corruzione presente nel mondo è l'energia divina del sacramento della Confermazione [...]. Incomparabilmente più grande è, soprattutto, la potenza dell'Eucaristia» (n. 18). Inoltre il Papa insiste sul fatto che le coppie sposate sono in uno «stato di grazia» che consegue dal sacramento del matrimonio (n. 16). Quelle coppie — e soltanto esse — che pongono la loro fiducia nella grazia e nei sacramenti, ce la faranno. La Veritatis splender lo dice con chiarezza: «La vita secondo il Vangelo [...] va al di là delle forze dell'uomo [ed è possibile] solo come frutto di un dono di Dio» [2]". Bisogna dunque cercare i doni di Dio nei sacramenti e nella preghiera, e si troverà la forza di cui i genitori hanno bisogno.
Le radici dell'umanità sono oggi messe in gioco. Senza Cristo e senza la croce di Cristo, ha detto il Papa il Venerdì santo di quest'anno, l'uomo si distrugge. E il giorno di Pasqua Giovanni Paolo II non esitò a dire che «la famiglia è la principale fonte dell'umanità». Un forte monito come la prima affermazione e un'altra testimonianza di speranza con la seconda.
«La grazia costruisce sulla natura»: è un vecchio principio teologico e ascetico. Ma oggi numerosi aspetti della natura, di cui la grazia ha bisogno per edificare, sono in pericolo. Per preservare e custodire la natura, abbiamo appunto bisogno dell'aiuto divino. Esso non mancherà, almeno a quelle famiglie cristiane che lottano per serbare le peculiari caratteristiche umane e adempiere la loro missione umana e soprannaturale. Con l'aiuto della grazia divina, dispiegando un amore generoso, superando il timore del sacrificio e della croce, esse impareranno a essere autentiche famiglie, e dunque fonte tanto di umanità quanto di salvezza per il mondo intero.
NOTE
[1] Ibidem
[2] Il motivo per cui il nostro rapporto con le persone è di gran lunga più importante del nostro rapporto con le cose è che le persone si possono amare e si ne può esserne riamati, mentre non è possibile avere un vero amore per le cose né si può certo essere amati da esse.
[3] Cfr Dt 30, 19-20.
[4] La Lettera del Papa non tocca dunque solo la famiglia: riguarda anzitutto l'uomo, l'intera umanità. Invero, dice il Santo Padre, l'uomo moderno non conosce se stesso: nonostante il grande «progresso nella conoscenza del mondo materiale ed anche della psicologia umana [...]», l'uomo oggi ha perso la coscienza di ciò che in realtà è, e così «rimane in gran parte un essere sconosciuto a se stesso» (no. 19). È possibile osservare ovunque questa perdita del senso dell'identità umana, di ciò che si è: qual è l'oggetto della vita: si è liberi o no: e se si è liberi, la libertà personale va esercitata in funzione di un fine determinato, o va accompagnata da una responsabilità altrettanto personale; se è autonomo e autosufficiente, o invece si è fatti per gli altri o per lo Stato: che cosa è il sesso, che cosa significa l'identità sessuale; se, dunque, il matrimonio e la famiglia abbiano realmente un significato, e altre domande ancora.
[5] Lettera alle famiglie, n. 23.
[6] Is 49, 15.
[7] Ordo Celebrandi Matrimonium, n. 25.
[8] Enciclica Veritatis splender, n. 17.
[9] Cfr Ef 5, 21-33; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1642.
[10] Cfr Forgia, Edizioni Ares, Milano 1989, n. 28.
[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1615.
[12] Lettera alle famiglie, n. 7.
[13] Racchiude notevole interesse una recente ricerca psichiatrica condotta in Norvegia e basata sullo studio di oltre un milione di donne. Conclude che «essere genitore costituisce un fattore importante nella prevenzione del suicidio; e, inoltre, la protezione contro il suicidio — costituita dai figli — aumenta con il loro numero» (Suicide among Women related to Number of Children in Marriage, in «Archives of General Psychiatry», vol. 50, 1993, p. 137).
[14] Merita rilevare le forti parole che il Papa usa nel riferirsi all'aborto: «Puntando esclusivamente sul godimento, si può giungere fino a uccidere l'amore, uccidendone il frutto. Per la cultura del godimento il "frutto benedetto del tuo grembo" (Le 1,42) diventa in certo senso un "frutto maledetto"» (Lettera alle famiglie, n. 21).
[15] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2366.
[16] Cfr Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979), p. 702.
[17] Gaudium et spes, n. 50.
[18] Enciclica Humanae vitae, n. 21.
[19] «Si devono evitare con decisione la propaganda e la cattiva informazione volte a persuadere le copie a limitare la propria famiglia a uno o due figli e si devono appoggiare quelle coppie che scelgono generosamente di creare famiglie numerose» (Giovanni Paolo II, Messaggio al Segretario della Conferenza internazionale su Popolazione e Sviluppo, 18 marzo 1994).
[20] Enciclica Veritatis splendor, n. 23.