«I giovani hanno sempre posseduto una grande capacità di entusiasmo per le cose nobili, per gli ideali più alti, per tutto ciò che è autentico» (Josemaría Escrivá).
COSE GRANDI
L'idealismo dei giovani è un argomento inesauribile: gli psicologi cercano di spiegarlo, gli educatori di valorizzarlo, i demagoghi lo strumentalizzano e, quel che è peggio, certi adulti lo guardano con tolleranza o con cinico scetticismo, e commentano tra loro con l'aria di chi la sa lunga: «Tanto poi impareranno».
Certo, è vero che i giovani devono imparare molte cose dagli adulti e dal loro modo di vivere. Ciò che mi auguro non imparino è il cinismo, la rinuncia agli ideali. E questo dipende in larga misura dal tipo adulti che conosceranno.
Se un adulto da per scontato che, così come è naturale che i giovani abbiano degli ideali, è pure naturale e inevitabile che li perdano con il passare degli anni, è chiaro che o questa persona non crede molto negli ideali o non crede molto nei giovani.
Per esaminare il loro atteggiamento nei confronti di questo problema, un padre, una madre, farebbero bene a domandarsi:
«Credo negli ideali dei giovani? Sono convinto che il loro cuore è fatto per cose grandi?»;
«Io, che ho il compito di formare i miei figli, ho ideali ambiziosi?»;
«Gli ideali in cui credo sono sufficienti per appagare le loro aspirazioni?».
Solo chi può rispondere affermativamente a ciascuna di queste domande può nutrire qualche speranza di essere un buon genitore.
Ideali in costante crescita
Una delle caratteristiche salienti di monsignor Escrivá, fondatore dell'Opus Dei, era la sua ferma convinzione nella necessità di non perdere gli ideali della giovinezza; era convinto che questi ideali possono crescere indefinitamente, cosa che aveva sperimentato di persona: dall'età di quindici anni fino al momento della morte, quasi sessant'anni dopo, i suoi ideali erano cresciuti costantemente. E la sua esperienza è stata condivisa da milioni di giovani di tutto il mondo.
Monsignor Escrivá credeva molto nell'idealismo dei giovani (e anche dei meno giovani). Ma era anche molto realista e, soprattutto, era un uomo di fede; quindi sapeva molto bene che il cuore di un uomo non è fatto per ideali qualsiasi, ma per quelli che solo Cristo può suscitare. Sapeva che sono gli unici capaci di riempire il nostro cuore — e di farlo traboccare — durante questa vita. Egli stesso s'impegnò costantemente a incarnare questi ideali e a risvegliarli negli altri.
Dicevo che monsignor Escrivá era un uomo realista. Con ciò voglio dire pure che sapeva perfettamente che il cuore di un adolescente non è solo un terreno fertile per gli ideali: è anche un campo di battaglia. Incoraggiava tutti ad aspirare a mete sempre più ambiziose, ma questa sua insistenza era sempre accompagnata da un monito: ognuno di noi può essere capace delle mancanze più gravi e quindi bisogna lottare durante tutta la vita. È però ovvio che questa necessità si avverte maggiormente all'inizio, ovvero nell'adolescenza. Soffermiamoci un po' su alcuni aspetti di questa età — tra i quattordici e i diciassette anni — in cui un giovane non è più bambino ma neppure uomo, e una giovane non è più bambina ma neppure donna, e, di conseguenza, hanno uno speciale bisogno della comprensione dei genitori.
L'età dei contrasti
È l'età dei contrasti, l'età in cui la vita appare più importante e sembra promettere di più. Un ragazzo è spinto a cose nobili, a ideali ambiziosi. E si sente pronto a raccogliere la sfida. Ma è anche l'età in cui la vita appare più complicata e le difficoltà sembrano accentuarsi: ci si ritrova a combattere contro difetti come l'egoismo, la pigrizia, la comodità, la sensualità. È l'età delle contraddizioni: da una parte affetti e aspirazioni nobili, dall'altra atteggiamenti meschini ed egoistici. È l'età dei grandi entusiasmi e dei profondi abbattimenti, l'età delle vittorie e delle sconfìtte; è, soprattutto, l'età di lottare.
Tale concetto è felicemente espresso nelle seguenti parole di monsignor Escrivá, rivolte a un gruppo di studenti nell'ottobre 1972: «Non bisogna mai darsi per vinti, perché la vita non è altro che un continuo tiro alla fune. Siamo attratti dalle cose più stravaganti. È umiliante, non trovate? Sant'Agostino era solito dire che le passioni cercavano costantemente di tirarlo verso il basso. Tuttavia, insieme a queste idee pazze, ciascuno di noi avverte dentro di sé il pressante bisogno di fare qualcosa di meritevole, di servire gli altri, di lavorare in attività utili al prossimo, di sacrificarsi. E il momento in cui sorge spontaneo il contrasto tra le passioni che spingono in basso e i desideri nobili che spingono verso l'alto. Dobbiamo lottare: non c'è alternativa».
E facile per un genitore accorgersi che l'adolescenza segna l'inizio di questa lotta tra la nobiltà dell'anima e i calcoli meschini. È altrettanto ovvio ed elementare (suppongo lo sia per chiunque) rendersi conto che non c'è peggior genitore di quello sempre pronto a viziare i figli accordando loro ogni capriccio, o lasciando che si comportino come vogliono. Chi agisce in questo modo si rende complice dell'egoismo del giovane; diventa alleato del suo istinto calcolatore e meschino, e praticamente assicura il fallimento dei suoi ideali, la fine della sua generosità e del suo spirito di sacrificio.
Ma c'è un altro atteggiamento, non meno scontato (anche se ho l'impressione che molti non se ne rendano conto), che contraddistingue un cattivo genitore; un errore più sottile e forse ancora più deleterio, che consiste nel lasciare che i nobili ideali dell'adolescenza vengano sostituiti da obiettivi limitati: una visione della vita ristretta e calcolatrice che, pur lasciando a volte poco spazio alla pigrizia, resta comunque piena d'individualismo ed egoismo; e che, pur consentendo di raggiungere vari obiettivi, non può dare la felicità.
Ideali & obiettivi
Un ideale è qualcosa di grande, al di sopra di noi stessi. È qualcosa che attrae per la sua nobiltà, per la sua bellezza, e spinge una persona a uscire da sé stessa, a dimenticarsi di sé, per difendere, ammirare, amare quell'ideale e puntare in alto. Per un ideale una persona è disposta a spendere tutta la vita e, se necessario, a morire. Veri ideali, in realtà, ce n'è pochi: l'amore, la famiglia, la patria, Dio.
Un obiettivo, al contrario, si presenta come qualcosa di raggiungibile. Potrebbe trattarsi di un risultato difficile da ottenere, o di una grande ambizione. Ma non lo si considera mai al di sopra delle proprie possibilità (se così fosse tenderebbe a trasformarsi in un ideale, da servire; o in frustrazione, odiosa e umiliante). Un obiettivo attrae perché promette di soddisfare un particolare desiderio: il desiderio di sapere, di potere, di piacere o semplicemente di progredire, di migliorare. In ciò consiste il suo valore.
Un obiettivo è qualcosa che si può conquistare; un ideale, mai. Ogni uomo deve avere obiettivi precisi, perché tutti dobbiamo crescere, maturare. Gli obiettivi raggiunti si possono tuttavia considerare in differenti modi: come piedistallo, per esempio, che permetta di avvicinarsi ulteriormente all'ideale, che è ancora lontano. Oppure ci si può fermare lì, contemplando compiaciuti ciò che si è raggiunto come se di più non si potesse ottenere. Si è così orgogliosi delle mete raggiunte da dimenticare i propri ideali, se mai sono esistiti.
Una persona che coltiva ideali si porrà sempre obiettivi da raggiungere. Ma è anche possibile che miri a obiettivi senza avere alcun ideale. Se, per esempio, un uomo sogna la donna ideale e a un certo punto gli sembra di averla incontrata, se ne innamora: il suo obiettivo sarà allora quello di sposarla. Sposandosi avrà raggiunto quell'obiettivo; però, se è un uomo capace di un amore autentico, quella donna continuerà a rappresentare il suo ideale ed egli saprà che, per quanto si sforzi di perseguire altre mete (migliorare, per esempio, alcuni aspetti del proprio carattere), non sarà mai degno di lei. Sarebbe triste se un giorno giungesse alla convinzione di essere degno di lei, e ancora peggio se giungesse a considerare lei non degna di lui: a quel punto l'ideale del matrimonio sarebbe già finito'.
L'uomo che vuole sposarsi per interessi economici ha un obiettivo, non un ideale. Se riesce a sposare una ricca ereditiera o una vedova milionaria avrà raggiunto il suo scopo, e tutto finirà lì. Gli ideali non rientrano nei suoi piani.
Un ragazzo senza obiettivi sarà probabilmente un ragazzo pigro. Ma un ragazzo senza ideali è e sarà un fallimento (per quanti obiettivi si ponga e per quanto si sforzi di raggiungerli). Il guaio è che molti genitori non si rendono conto di questo, proprio loro che per primi hanno il compito della formazione dei figli. Sembra non capiscano che il sistema di andare avanti con «obiettivi-senza-ideali» può forse dar luogo a persone determinate, ma non felici. Infatti l'unico risultato ottenibile è una vita egoista, vana, disgraziata; e pertanto infelice. Purtroppo molti genitori non sanno distinguere (in relazione ai figli, e talvolta a sé stessi) tra ideali nobili e obiettivi egoistici, tra ideali che arricchiscono il carattere e obiettivi che — se non sono indirizzati verso un fine, un ideale più alto — lo mortificano. In tal modo permettono, o addirittura ne sono essi stessi la causa principale, che gli ideali nobili dell'adolescenza si deformino, si riducano a obiettivi, poveri e inadeguati.
È il caso, abbastanza frequente, dei genitori che spingono costantemente il figlio — magari dotato di un'intelligenza un po' superiore alla media — perché sia il primo della classe: il ragazzo si fisserà unicamente su quella meta e si riterrà pienamente soddisfatto una volta che l'abbia raggiunta. Ed è senz'altro negativo essere soddisfatti, quando si è giovani. È anche il caso del padre che sogna un futuro da campione di calcio o di tennis per il figlio atleta: gli fornisce tutto l'occorrente, lo facilita in ogni cosa che riguarda la sua attività sportiva. Alla fine il figlio non vedrà nient'altro che quello.
Ancora, è il caso della madre che insegna alla figlia quindicenne che l'unica cosa che conta è il successo con i ragazzi, lasciando la sua graziosa testolina senza altri pensieri che la moda e altri metodi per attrarre l'attenzione maschile.
Diventare campioni di tennis
Mi si obietterà che è naturale che i giovani di buona intelligenza si impegnino per conseguire ideali positivi a scuola e che quelli dotati per diventare campioni di tennis cerchino di diventarlo; e che è pure naturale che una ragazza curi la sua persona per farsi bella agli occhi degli altri. Anche a me tutto questo sembra giusto, però bisogna anche far loro capire che questi non sono ideali: sono mete, obiettivi, e non è la stessa cosa.
Vorrei sottolineare che un adolescente il quale a quindici-diciassette anni si accontenta solo di queste cose si ritroverà senza alcun vero ideale. E una vita senza ideali porta all'infelicità. Vorrei che genitori e figli avessero le idee chiare su questo punto e, soprattutto, che i genitori non ingannassero i figli in un aspetto così importante della loro formazione. Non è forse vero che troppi genitori sembrano spingere i figli per una strada di egoismo, di sciocca vanità, di ambizione personale? Come mai questi genitori non hanno imparato dalla loro stessa esperienza in tanti anni di vita? Perché non riescono a risparmiare ai figli tanti e così evidenti errori di cui loro stessi hanno fatto esperienza?
Quando i figli smascherano la vanità dei genitori
Con il passare del tempo questi giovani saranno forse orgogliosi dei loro genitori e contenti di sé stessi? Saranno ancora riconoscenti verso il padre o la madre? Non lo so. Comunque conosco casi in cui i figli sono giunti alla conclusione (giusta o sbagliata che sia) che il desiderio dei loro genitori di vederli «trionfare» negli studi, nello sport o con l'altro sesso rispondeva alla vanità del padre o della madre più che a un autentico desiderio di vederli maturare e di renderli felici. (Si tenga pure presente ciò che insegnano alcuni psicologi: che il desiderio di un padre di assistere al successo del figlio rappresenta, sia pure talora inconsciamente, il bisogno di compensare gli insuccessi della propria gioventù).
Inoltre saranno contenti di sé stessi questi giovani se, all'età di trenta o quarant'anni, al momento di fare un esame sincero della propria vita, si scopriranno privi d'ideali? Ne dubito.
Potrebbe capitare loro ciò che racconta Julien Green nel suo Journal. A quarantadue anni egli da un lungo sguardo indietro alla sua vita e per mezzo dei suoi ricordi inventa un dialogo con il suo io di venticinque anni prima. Anzi, più che di un dialogo, si tratta di un interrogatorio — una requisitoria — che la sua giovinezza piena di ideali, ormai passata, rivolge alla meschina realtà dei suoi anni maturi: «Mi hai ingannato, mi hai derubato! Dove sono tutti gli ideali che ti avevo affidato? Che cosa hai fatto della ricchezza che avevo messo così scioccamente nelle tue mani? Risponderò io per tè. Avevo fiducia in tè e tu mi hai tradito. Sarebbe stato meglio per me se me ne fossi andato con tutto quello che possedevo e che tu hai dilapidato. Non c'è niente di buono in tè, ti disprezzo».
E Green aggiunge: «Che cosa potrà rispondere in sua difesa l'uomo maturo? Forse parlerà dell'esperienza acquisita, della sua solida reputazione. Rivolterà le tasche, e frugherà disperatamente tra i cassetti della scrivania, alla ricerca di qualcosa che possa giustificare la sua vita. Ma sarà tutta fatica sprecata e non riuscirà a difendersi; credo che infine si vergognerà di sé stesso e della sua esistenza»2.
IDEALI & MODELLI
Quali modelli per gli adolescenti?
Di solito i giovani non si entusiasmano molto per ideali astratti. Cercano piuttosto di identificarsi con alcuni personaggi, o con l'idea che ne hanno: persone che incontrano nella vita reale o personaggi del cinema, della televisione, della letteratura. Alla luce di ciò potrebbero essere utili le seguenti considerazioni:
— la mancanza di autenticità di cui soffre il nostro tempo, tanto pervaso dalle strategie di mercato e dalle public relations, rende difficile distinguere tra realtà e finzione. Di fatto, l'immagine che ci viene data di molte persone — persone in carne e ossa: cantanti, attori, calciatori, piloti e così via — è in gran parte fittizia. L'immagine falsata della vita di una persona realmente esistente può influire di più (e, se ciò che presenta sono difetti anziché valori, può arrecare maggior danno) dell'esempio dato da un personaggio inventato (per esempio in un film), perché il lettore o lo spettatore sanno che quest'ultimo è inventato, mentre possono credere, nel primo caso, che l'immagine corrisponda alla realtà;
— in generale gli eroi del cinema, dei romanzi, dei fumetti, presentano oggi pochi lati positivi rispetto agli eroi di trenta o cinquant'anni fa. A volte, addirittura, gli eroi moderni hanno le caratteristiche dell'antieroe: a parte il coraggio, basato spesso su un certo disprezzo della vita, sono crudeli, senza scrupoli, libertini, egoisti, frivoli, incostanti, vanitosi;
— i genitori che avvertono l'importanza di quest'ultimo punto, farebbero bene ad alimentare nei figli, fin dai dieci-dodici anni, il gusto per le avventure veramente grandi, sia inventate (come per esempio, quelle raccontate da Jules Verne) sia autentiche, come i resoconti delle esplorazioni, dei viaggi spaziali, delle spedizioni scientifiche. In questo modo entreranno in confidenza con le fattezze reali — vittorie e sconfitte, speranze e delusioni, sofferenze e reazioni — di eroi realistici. È meglio che un ragazzo si entusiasmi per la vita e le avventure di un esploratore piuttosto che per un personaggio del mondo del calcio o del cinema. E le ragazze? E vero che si lasciano accattivare più facilmente dall'abbagliante fascino delle star dello spettacolo? Forse; in questi casi è indubbiamente difficile entusiasmarle con eroi ed eroine positivi tratti dalla vita reale. E una speciale sfida per coloro che scrivono: mettere all'opera il loro talento con lo scopo di ideare e presentare, in forma letteraria, artistica o giornalistica, personaggi in grado di conquistarsi l'ammirazione delle ragazze3.
I genitori sono il primo modello
Ogni padre e ogni madre devono sforzarsi di essere per i figli se non un ideale, almeno un modello, anzi una copia del modello vero e proprio che, come vedremo tra breve, si identifica in Qualcun altro. Comunque una «copia», anche con tutti i suoi limiti, può sempre dare una buona idea dell'originale. E chiaro che i genitori non devono cercare di essere l'ideale dei propri figli. Non sono all'altezza, nessuno è in grado di esserlo. Il padre o la madre che cercassero di porsi come ideali agli occhi dei figli tenderebbero a mostrarsi come idoli, come falsi dèi. La successiva e inevitabile disillusione dei figli potrebbe costare molto cara ai genitori, ai figli e alle loro relazioni reciproche.
Molti figli, a una certa età, tendono ad «adorare» i genitori, specialmente il padre (forse perché le mamme passano troppo tempo vicino ai figli o perché hanno troppo buon senso per permettere questa deformazione). Fintante che dura, questa idolatria lusinga la vanità del padre. Ma il suo buon senso, così come la sua lealtà verso i figli, farà sì che questa infatuazione perduri il meno possibile; sarà lui stesso, allora, a «smontare» questo falso ideale, prima che sia la vita stessa a farlo. Se un ragazzo vede che il padre gioca a tennis molto meglio di lui, e comincia a credere che giochi meglio di chiunque, è bene che il genitore lo disinganni in fretta, mostrandogli un vero campione di tennis. E se il ragazzo stima il padre dottissimo in fisica o in astronomia, quest'ultimo potrà consigliare al figlio di dare uno sguardo nell'enciclopedia sotto la voce «Premio Nobel».
La tentazione di voler essere considerati come dèi in casa propria è davvero assurda. Tuttavia molti genitori se ne lasciano prendere, perlomeno per qualche tempo: genitori sciocchi, naturalmente; i genitori saggi saltano giù dal piedistallo quanto prima. Questi ultimi non ostenteranno certo i propri limiti e difetti, ma neppure cercheranno di nasconderli ipocritamente agli occhi dei figli. Questa sincerità da parte dei genitori è molto importante. Fa capire che i genitori non guardano a sé stessi, ma mirano a un ideale molto più alto.
L'unico ideale è Cristo
I genitori e gli educatori devono stare costantemente all'erta perché l'idealismo degli adolescenti non venga contaminato da falsi ideali e idoli privi di valori, o fuorviato da mete personalistiche, che in realtà sono al servizio dell'egoismo e portano alla delusione. Quali sono, dunque, gli ideali autentici da prospettare ai giovani?
Sono gli ideali cristiani, o, più esattamente, l'unico ideale cristiano: Cristo. Se Cristo diventa davvero l'ideale di una persona, tutti gli altri ideali umani — autentici e nobili —, incentrandosi in Lui, si svilupperanno, si purificheranno, saranno stimolati, troveranno espressione e appoggio. Senza Cristo al centro, gli altri ideali umani cadono.
Mi domando se l'affermazione che l'ideale in grado di animare realmente l'adolescente è Cristo produca stupore o sembri insufficiente o forse troppo teorica. Se davvero produce stupore, è una misura di quanto abbiamo spersonalizzato, disincarnato e raffreddato la nostra religione. Non è possibile ridurre la religione a una specie di trattativa commerciale — il Paradiso in cambio dell'osservanza di alcune regole e dell'accettazione di un dato sistema di vita —, mentre dovrebbe essere un fatto di amore verso una Persona, Gesù Cristo (e, in Lui, il Padre e lo Spirito Santo); un amore che comincia su questa terra — cercandolo, amandolo, servendolo, tornando a Lui, facendolo conoscere —, in una vita che è come una specie di fidanzamento, e che raggiunge il completamento, la piena unione, nell'eternità.
Se, nonostante tutto, l'ideale di Cristo, di cui la gioventù e anche noi adulti abbiamo bisogno, continua a sembrarci teorico e irreale, abbiamo una prova della poca confidenza e amicizia che c'è tra noi e Lui. Una piccola considerazione dovrebbe aiutarci a capire dove abbiamo sbagliato.
Dubitiamo veramente che Cristo possa attirare i giovani d'oggi? Come lo conosciamo poco, allora! E come conosciamo poco i giovani! Proprio ai nostri giorni, fenomeni ai margini della fede, come il «Jesus Movement» negli Stati Uniti, ci devono far pensare che tantissimi giovani — inclusi molti che dicono di rifiutare le religioni definendole «istituzionalizzate» — si sentono fortemente attratti dalla conoscenza meramente umana della figura di Gesù.
Che cosa succederebbe se lo conoscessero meglio? Alcuni certamente perderebbero il loro entusiasmo, perché il vero Gesù è molto esigente, dato che è Dio. Ma molti altri, più generosi, consapevoli che ogni grande ideale esige sacrificio, andrebbero a Lui, perché Gesù Cristo attrae anche con le sue esigenze.
Anche su un piano meramente naturale un genitore o un buon educatore sanno vedere nell'idealismo della gioventù il desiderio di cose grandi e, talvolta, l'inquietudine che esso provoca. I genitori cristiani faranno in modo che quest'idealismo sia il trampolino per far giungere il giovane a Cristo.
Il concetto si può forse spiegare in sintesi attraverso una frase che monsignor Escrivá ripeteva in continuazione: occorre educare i figli in modo che, nella prima giovinezza o durante l'adolescenza, il loro cuore batta per un solo ideale: cercare Cristo, incontrarlo, seguirlo, conoscerlo, amarlo.
AVERE CRISTO COME IDEALE
Che cosa vuoi dire, in pratica, avere Cristo come ideale?
Ecco quattro importanti condizioni:
1. essere amici di Cristo;
2. essere leali a Cristo;
3. essere orgogliosi di Cristo; e (di conseguenza)
4. avere il desiderio di farlo conoscere ad altri.
Vediamo che cosa implica ciascuna di queste tappe e come i genitori possono aiutare i figli a raggiungerle.
Essere amici di Cristo
Tutti i giovani hanno i loro eroi, i loro modelli, reali o immaginari. Non c'è ragazzo o ragazza che non abbia i suoi preferiti. Li ammirano, leggono tutto di loro, si eccitano alla sola eventualità di vederli in carne e ossa. E ciò è vero benché di solito li possano guardare solo a distanza, senza neanche la possibilità di rivolger loro la parola e tantomeno di diventarne amici.
Crediamo dunque veramente che Gesù — perfetto Dio e perfetto uomo — non possa attrarli? Se di un eroe, di una «superstar» hanno bisogno, è proprio di Gesù. Non una triste parodia da palcoscenico, ma la straordinaria e tremenda realtà del Dio-uomo che da la sua vita per amore di ciascuno di noi.
Se manca la lettura costante della vita di Gesù, come possiamo conoscerlo e amarlo ogni giorno di più? Se una persona dice: «II Vangelo? Sì, l'ho già letto, lo conosco», bisogna rispondere che non basta una sola lettura, e neanche cento, per conoscere la vita di Dio fatto uomo: si può sempre conoscerlo meglio, ed essere sempre più attratti da Lui.
Inoltre Gesù, che è tanto straordinario, vive. Possiamo parlare con Lui: in ciò consiste l'orazione — «conversazione con il Grande Amico che non tradisce mai»4 — che è il mezzo essenziale per alimentare l'amicizia con Lui. Bastano cinque minuti ogni giorno, con parole personali, con fede, sapendo che Gesù ci vede e ci ascolta, ci comprende e ci ama. Nella nostra preghiera dobbiamo parlare e ascoltarlo. E dobbiamo riceverlo nell'Eucaristia per essere nutriti da Lui. Accostarsi all'Eucaristia significa permettere che Dio stesso «lavori» in noi comunicandoci la sua vita, rafforzando il nostro amore e la nostra unione con Lui.
E difficile ottenere tutto ciò da un adolescente? Non credo. Dipenderà in primo luogo dall'aria che il ragazzo o la ragazza respirano in famiglia. I genitori potrebbero essere «praticanti» cattolici, o perfetti parrocchiani, ma se il figlio non vede, se non si convince che la religione rappresenta per i genitori soprattutto una profonda amicizia — con Qualcuno con il quale egli non è ancora molto in confidenza —, è difficile che possa entusiasmarsene.
Le cose cambiano se i figli cominciano a capire che quando i genitori pregano stanno davvero parlando con Dio. L'esempio dei genitori che si soffermano in chiesa per alcuni minuti dopo la Messa, per ringraziare, che si comunicano e che dimostrano di far tesoro di quei momenti di particolare intimità col Signore, è più istruttivo di un intero corso scolastico di religione. E bene che vi siano pratiche di pietà in famiglia e che i figli vi partecipino liberamente. Occorre però spiegarne loro il significato, affinchè le vivano veramente convinti. Parteciperanno meglio, per esempio, alla recita del santo Rosario, se si spiegherà loro che quella pratica ha una stretta connessione col Vangelo; ovvero, secondo le parole di Paolo VI, che è un modo di contemplare «i misteri — i fatti — della vita di Cristo visti attraverso il Cuore di Colei che fu più vicina al Signore»5.
Essere leali a Cristo
Dicevo che bisogna essere leali con Cristo. Se c'è vera amicizia è anche più facile essere leali. E l'espressione fondamentale dell'amicizia è il perdono: da una parte saper perdonare, e in questo nostro Signore, che è Dio, è instancabile; dall'altra saper chiedere perdono, cosa che noi, in quanto uomini che continuamente lo offendono, dobbiamo fare spesso.
Quindi le prime espressioni di lealtà sono il repentino pentimento dopo ogni nostra mancanza e, quando è necessario, la Confessione. Attraverso questi semplici passi l'amore rinasce. C'è bisogno d'insistere su quanto sia importante che i figli vedano i genitori accostarsi con frequenza alla Confessione?
Oggi che si parla tanto di libertà, specie tra i giovani, è bene ricordare che la libertà consiste nella capacità che abbiamo di dire di sì o di no; e che ogni volta che diciamo di sì a qualcosa, diciamo di no al resto. Sbagliamo nel dire sempre di sì a noi stessi, come per affermare o difendere la nostra personalità: alla fin fine dire di sì a noi stessi significa assentire al nostro egoismo, che non è certo segno di forte personalità, bensì di debolezza e auto-indulgenza. Invece si deve imparare a dire di sì agli altri, a tutte le esigenze nobili che nascono dal nostro rapporto con loro. E importante soprattutto saper dire di sì a Dio, che è amore; e continuare a dire di sì, anche quando costa sacrificio; questa è lealtà.
Sarebbe molto utile ai giovani sapere che è questa l'alternativa di ogni problema morale: essere leali, o sleali, con Cristo. Li aiuterebbe molto sentirsi dire che la vita di ognuno di noi è scandita da quest'alternativa; che è la storia delle nostre scelte. E che la salvezza dipende dalla nostra capacità di cancellare gli atti di slealtà con un gran numero di atti di lealtà.
Essere orgogliosi di Cristo
«Vi state preparando a vivere una vita cristiana in mezzo a un ambiente pagano», sono solito dire ai giovani. Infatti, l'ambiente sociale e morale che li circonda è oggi praticamente pagano. Andare contro corrente, contro le mode culturali, costa sacrificio, e può essere forte la tentazione di cedere, di tacere, di nascondere la propria condizione di cristiani per rispetto umano; in breve, di vergognarsi della propria fede, che poi significa vergognarsi di Cristo.
San Paolo, in un'altra epoca pagana, provava la stessa tentazione o, almeno, vedeva che i cristiani possono essere vittima, e li incoraggiava con il suo tipico slancio: «Non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16). San Paolo, che non aveva vissuto con Cristo durante la vita di nostro Signore sulla terra, ma che tanto a lungo si era intrattenuto con Lui nell'adorazione e nella contemplazione, si ricordava di quelle parole del Signore: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Me 8, 38). Non si vergognava di Cristo e della sua dottrina, si sentiva anzi felice e orgoglioso di seguirlo. Se insegneremo ai giovani a conoscere Cristo, essi sentiranno facilmente lo stesso santo orgoglio di seguirlo.
Ecco una lista di manifestazioni di questo santo orgoglio. Un cristiano dev'essere orgoglioso dell'amicizia di Cristo, dei suoi insegnamenti e del suo esempio.
Orgoglioso dell'amicizia di Cristo. Ecco come dovrebbe sentirsi ogni cristiano: fiero dell'amicizia che Cristo ha per lui. Ma anche orgoglioso di manifestare quest'amicizia con atti concreti; quindi orgoglioso della sua vita di pietà, ovvero del devoto compimento delle pratiche religiose: non si vergognerà, per esempio, di andare a Messa e di seguirla con attenzione, senza distrarsi. Non si vergognerà di recitare le preghiere, o di fare una visita al santissimo Sacramento, anche se i compagni che sono con lui ostentano meraviglia. E tutto ciò senza bigotteria e senza complessi, ma con semplicità e giusto orgoglio. Come un figlio orgoglioso dei genitori e dei fratelli che, quando è lontano da casa per ragioni di studio o di lavoro, scrive, telefona e compra loro piccoli regali senza curarsi del giudizio dei colleghi.
Orgoglioso della dottrina di Cristo. Perché è la dottrina che ci rende liberi: «Conoscerete la verità», ha detto Cristo, «e la verità vi farà liberi» (Gv, 8, 32).
In un mondo sempre più dominato dall'odio, dall'egoismo, dalle passioni sfrenate, non dev'essere difficile — non lo è nella mia esperienza — appassionare i giovani alla nobiltà della vita cristiana. Meditiamo queste parole di monsignor Escrivá: «La nostra condotta deve essere tale che gli altri possano dire, vedendoci: ecco un cristiano, perché non odia, perché sa comprendere, perché non è animato da zelo fanatico, perché domina i suoi istinti, perché si sacrifica, perché manifesta sentimenti di pace, perché ama»6. Spiegheremo ai giovani che tale programma si basa su un'autentica e costante ribellione (la più grande, secondo Escrivá, che si offra a un uomo e l'unica che valga davvero): la ribellione di ciascuno contro i propri egoismi.
Insisto: se, per esempio, in tema di purezza si parla con chiarezza e in termini positivi, la mia esperienza è che i giovani capiscono senza difficoltà la patetica ipocrisia di chi considera ogni restrizione in materia sessuale come un segno di mentalità vittoriana. Comprendono che chi assume un tale atteggiamento, anziché essere più «libero» e «maturo», da prova di essere più debole e schiavo delle passioni, perciò incapace di amare. E comprendono inoltre che la purezza è «affermazione gioiosa», come diceva il fondatore dell'Opus Dei; che è condizione della libertà, della grazia e dell'amore; e che vale la pena di lottare, rivolti a un amore nobile, per conseguirla.
Nel caso delle ragazze tutto ciò può avere particolare importanza. La modestia è qualcosa di innato nella natura femminile; quindi una ragazza o una donna che rinuncia alla propria modestia dovrà necessariamente andare contro la sua natura. Quando una donna si comporta così— come avviene spesso oggi — la conseguenza è che gli uomini non la rispettano più. La guardano, ma non l'ammirano; i loro sguardi esprimono mero desiderio, ben diverso dal rispetto. Ciò che invece un uomo cerca in una donna — un uomo che lo sia davvero, non un uomo in cui prevalga l'animalità — è qualcosa di più della mera attrazione fisica: cerca delicatezza, grazia, tenerezza, sensibilità, comprensione, personalità, riserbo. Sono queste le qualità che può ammirare, e, se non le trova, l'attrazione per le qualità fisiche degenera in mero desiderio, e l'atteggiamento verso la donna, in quanto persona, si trasforma in disprezzo.
È tanto difficile per una ragazza capire che c'è una bella differenza tra l'esser guardata e l'esser ammirata? O che se, a causa del suo comportamento o del suo modo di vestire, si fa desiderare in un certo modo, non si fa rispettare, anzi ottiene l'opposto? Una madre che ama davvero sua figlia non dovrebbe avere problemi a spiegarle tutto ciò. Facendo in modo che le sue parole siano seguite dalla pratica, una madre può facilmente insegnare alla figlia che la modestia è la sincera espressione della volontà della donna di essere trattata come persona e non come oggetto.
Queste riflessioni dovrebbero aiutarci a riscoprire quanto sia ammirevole la morale cristiana, vista come sostegno e difesa dei valori umani. Non è naturale sentirsi orgogliosi di tali criteri morali, che formano il fondamento della nobiltà umana?
Naturalmente la verità di Cristo, che ci fa liberi, non riguarda solo la sfera della sessualità. Perché non sentirsi orgogliosi anche della dottrina di Cristo che ci fa conoscere noi stessi, che ci aiuta a vincere il timore, a riconoscerei peccatori e, in questo modo, ci fa evitare la superbia, rendendoci umili, aperti, comprensivi con gli altri?
Saremo orgogliosi della dottrina di Cristo che ci insegna che il mondo è buono — in quanto mezzo, non in quanto fine —, che ci mette in guardia contro la tentazione di cercare un paradiso in terra, edonista, materialista, marxista o comunque sia. La dottrina di Cristo, ricordandoci che il nostro vero e ultimo tesoro sta in Paradiso con Lui, e invitandoci continuamente a mettere il nostro cuore in Dio, ci aiuta ad amare di più, a superare l'avidità, l'invidia, rendendoci così più capaci di attenzioni per il bene — anche materiale—degli altri. Nessuno infatti deve superare il cristiano nella preoccupazione per il prossimo. Anche ciò fa parte dell'ideale che Cristo insegna.
Orgoglioso dell'esempio di Cristo. Dicevo che il cristiano dev'essere orgoglioso dell'esempio di Cristo, della sua donazione all'umanità e orgoglioso di imitare quell'esempio di donazione e di servizio. Volendo imitare il comandamento nuovo dell'amore reciproco — «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35) — si devono tener presenti anche queste altre parole di Gesù: «II Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mt 20, 28). Servire gli altri è un grande ideale. Ma sono pochi oggi coloro che si sentono attratti e disponibili a servire il prossimo. La stessa parola «servire», in contesti differenti, assume un aspetto negativo: servitù, servizio domestico. Malgrado ciò, è un ideale con un grande potere attrattivo per i giovani della nostra epoca. Quanto sia vero lo dimostrano i servizi di volontariato giovanile che abbondano come non mai: campi di lavoro, opere di soccorso, scuole rurali e così via.
Le madri, dedicandosi alla loro famiglia, danno un esempio meraviglioso di servizio. Se a ogni figlio o figlia viene assegnato in casa un compito adatto alla sua età, è facile far loro comprendere che svolgendolo bene stanno servendo gli altri, che è una maniera di amarli. Anche quando a volte arricciano il naso, perché costa un po' di sacrificio, sarà facile indurii a comprendere che l'amore richiede donazione di sé, ma non per questo deve cessare d'essere un amore sorridente, un servizio prestato con gioia. Se i genitori sapranno sorridere sempre nella loro dedizione alla famiglia, essa diventerà una meravigliosa scuola di cristianesimo.
Il lavoro è un ideale di servizio
A volte si incontrano madri cristiane, completamente dedite alla famiglia, che però sembrano incapaci di apprezzare, e di sicuro non incoraggiano, il desiderio di servire che si manifesta nelle loro figlie. Si mostrano poco contente se una figlia vuoi fare l'infermiera, se un'altra vuole occuparsi di lavori domestici, se desiderano diventare maestre di scuola. Meno male che la volontà delle ragazze, in questi casi, è più forte dei pregiudizi materni. In effetti ci sono professioni che esigono in modo speciale lo spirito di servizio, ed è importante aiutare i giovani ad apprezzare tale aspetto se intendono intraprendere queste carriere. Certamente la professione del medico è quella in cui maggiormente si può esercitare il servizio al prossimo, ma viviamo in un'epoca in cui la natura stessa della medicina è minacciata da movimenti contrari alla vita (aborto, contraccezione, sterilizzazione, eutanasia). È necessario e urgente rivendicare il senso autentico della professione medica come professione al servizio della vita. I medici possono fare molto con la loro partecipazione a corsi di orientamento professionale, comunicando ideali nobili e autentici ai giovani che intendono seguire quegli studi.
Parliamo adesso del servizio militare. Nei Paesi dove la leva è obbligatoria risulta senza dubbio più difficile per i giovani apprezzare la nobiltà di servire la propria patria. Tuttavia non è un'esagerazione affermare l'importanza di questo disinteressato spirito di servizio all'interno delle forze armate.
Che cosa si potrebbe dire poi del servizio pubblico, dell'attività politica? Quest'ultima e forse, malgrado la sua importanza, la meno cristianizzata. È chiaro che per politica cristiana non intendo una politica di destra o di sinistra, ma unicamente una politica di servizio al bene comune. La politica, nella misura in cui i politici rispettano l'ideale di servire e — se ne hanno l'autorità — di comandare per servire, è senz'altro una professione nobile.
E un'ambizione difficile? Senz'altro, ma non impossibile. Pensare altrimenti significherebbe nutrire un'ingiustificata sfiducia nell'idealismo dei giovani che formeranno le future generazioni di politici. Equivarrebbe a dire che l'ansia di potere — l'aspirazione a posizioni d'autorità per desiderio di autoaffermazione — prevarrà necessariamente sul loro disinteresse, sulla loro lealtà, sulla loro nobiltà. Perché mai dovremmo pensare così? Non abbiamo il diritto di sostenere una visione tanto deterministica e pessimistica. Se avranno amore di Dio, saranno i migliori servitori del bene comune.
In sintesi, di ogni professione dovremmo sottolineare e mettere in risalto l'aspetto di servizio nei confronti degli altri e della società. Allo stesso tempo dovremmo puntualizzare che il cristiano che vuole imitare Cristo ha più motivi di qualunque altra persona per introdurre nella sua professione il desiderio nobile di servire.
L'ideale nello studio
Questa sezione si può concludere con un riferimento più concreto al tema dello studio. Pochi ragazzi sono «sgobboni» per natura; a quasi tutti costa molto studiare. E, dal momento che se non studiano non matureranno e non potranno guadagnarsi da vivere, è chiara l'opportunità di spingerli allo studio.
È vero. Ma dobbiamo fare attenzione a come li «spingiamo», perché in genere i risultati ottenuti a forza di spintoni non sono duraturi. Si può spingere e far muovere un'automobile anche a motore spento. Ma appena la spinta cessa, anche l'auto si ferma. Bisogna invece far girare il motore, e l'auto si muoverà da sé. Spingere può servire, ma solo se il motore è collegato.
Qualcosa di simile accade nei riguardi degli studenti. La minaccia di un castigo, la prospettiva di passare l'estate a studiare in città, l'aiuto di una guida durante i corsi scolastici, possono rappresentare uno stimolo temporaneo. Ma nessuno di questi provvedimenti arriva al cuore del problema: una volta passato il pericolo o superato lo scoglio la pigrizia può imporsi di nuovo e lo studio ricomincerà a zoppicare o a fermarsi del tutto.
Gli studenti più giovani non hanno in effetti bisogno di stimoli esterni, quanto di motivazioni inferiori, cioè di capire perché devono studiare bene. Se la motivazione è calzante, potrà dare un impulso decisivo al loro studio.
Voglio però sottolineare che la spinta allo studio dev'essere fondata su motivi seri e duraturi e, se possibile, nobili. Promettere ricompense materiali non è una cosa buona, e non basta neppure ripetere — sia in tono di minaccia, sia in tono cordiale — frasi come: «Se non impari a studiare non sarai mai un uomo. Non saprai lavorare. Non potrai mantenere una famiglia». Non basta. Devono essere gli ideali a spingere gli adolescenti a studiare, fin dai primi anni.
La meta principale da proporre loro è rendersi graditi a Dio. Dio vuole da ciascuno di noi il compimento dei doveri del nostro stato. Il compito dello studente è studiare; pertanto, quando studia, compie la volontà di Dio. Ed è opportuno che ne sia cosciente: tenendo, per esempio, un piccolo crocifisso davanti a sé mentre studia, sulla scrivania oppure tra le pagine del libro di testo. È importante che studi per amore, per fare piacere al Dio che ama. In questo modo per lui un 'ora di studio, invece di essere un'ora di fastidio, sarà un'ora di amicizia, «un'ora d'orazione»7.
Inoltre nello studio c'è anche un motivo apostolico: il ragazzo o la ragazza devono sapere che possono offrire a Dio il loro studio a beneficio degli altri. Ma è anche importante che capiscano che la preparazione attuale è la base della loro futura professione. Stanno preparandosi a diventare qualcuno su cui Dio potrà contare più in là: durante gli anni dell'università, quando formeranno una famiglia, nella vita professionale; in questo modo il solido prestigio professionale che avranno acquisito e lo spirito di servizio li aiuteranno a rendere Cristo presente nelle più diverse attività umane, con i nobili valori e ideali ispirati dalla sua presenza.
Far conoscere Cristo
I giovani così formati non saranno sulla difensiva riguardo al loro cristianesimo. Orgogliosi di Cristo e di tutto ciò che Egli chiede per il bene loro e di tutti, avranno il desiderio di farlo conoscere, di estendere a molti la fede, di contagiare la gioia che nasce dall'amicizia con Lui. In una parola, faranno apostolato. Ciò non significa invadenza nella vita altrui, o mancanza di rispetto per la libertà o i diritti del prossimo. Sarà invece un modo per risvegliare l'attenzione degli altri con l'esempio di una vita allegra, limpida, generosa, per attrarli verso realtà grandi e nobili.
Monsignor Escrivá diceva spesso che noi cristiani dobbiamo agire nel mondo con «complesso di superiorità». Ciò non implica disprezzo per gli altri, ma, al contrario, il desiderio che aprano gli occhi, guardino avanti per vedere le cose grandi operate da Dio, che noi conosciamo e vediamo nonostante le nostre miserie e in virtù della sua misericordia. Ricordo una vecchia battuta inglese sulla differenza tra i laureati dell'università di Cambridge e quelli di Oxford. I laureati di Cambridge danno l'impressione di sentirsi i padroni del mondo, quelli di Oxford danno l'impressione che non importi loro un bei niente dei padroni del mondo. Mi viene spontaneo aggiungere, in tutta franchezza, che noi cristiani dovremmo dare l'impressione di conoscere Chi possiede il mondo: «Mio padre, che è Dio. So che è mio padre e so di essere suo figlio ed erede. Tanti altri, attorno a me, che sono o potrebbero essere figli ed eredi di Dio, sembra non lo sappiano. Facciamo in modo che si sveglino!».
& GLI ALTRI?
C'è un ulteriore aspetto su cui dobbiamo riflettere: nei confronti degli altri, quale sarà l'atteggiamento del cristiano che fin dall'adolescenza si sia impegnato a vivere così, custodendo e alimentando ideali autentici? Ci sarebbero molte cose da dire a questo proposito, ma in questa sede voglio porre l'accento su un particolare punto: il suo atteggiamento nei confronti degli altri dovrà essere in larga misura di stupore. Il cristiano dovrà mostrarsi sorpreso, sinceramente stupito di fronte alla mancanza di ideali delle persone che gli stanno vicino, o dei falsi ideali che perseguono.
Sorpresa
Mostrarsi sorpresi. Credo sia opportuno soffermarci un poco su questa reazione, su questo atteggiamento di sorpresa, perché è un fattore di grande importanza sia per la difesa dei propri ideali cristiani, sia per comunicarli agli altri.
Un segno di debolezza di fede e di ideali riscontrabile in molti cristiani di oggi è il loro mostrarsi poco o niente affatto sorpresi di fronte a fatti comuni, idee o atteggiamenti che non hanno nulla di cristiano e neppure di umano. Evidentemente questa carenza di reazione psicologica, quest'incapacità di opporsi con intima indignazione a certi errori o a certe aberrazioni, indebolisce sia la loro difesa nei confronti di essi, sia la loro capacità di convincere gli altri della obiettiva malvagità di tali cose.
Ricordo che, durante i miei primi anni di insegnamento, mi dissero che il docente, con un sincero atteggiamento di sorpresa, talvolta ottiene nel ragazzo un mutamento di condotta molto più rapido che con una spiegazione razionale. Per esempio, con una frase come: «E possibile che un ragazzo di dieci anni faccia cose del genere?». Nonostante la validità di quest'idea, i risultati della sua applicazione sono stati inferiori alle mie aspettative, almeno con ragazzi di quell'età. Infatti ho potuto più volte costatare che per quanto uno assuma un volto stupito davanti al bambino, il ragazzo restituisce imperturbabile lo sguardo, come per dire: «Vediamo un po' quando lei imparerà che un ragazzo a dieci anni è capace di fare questa e molte altre cose». Può anche non far caso alla faccia stupita, è possibile addirittura che lo diverta. Comunque penso che non fosse la tecnica a essere sbagliata, ma l'età del ragazzo. Il trucco del volto stupito, che forse è mutile con un ragazzo di dieci o undici anni, può rivelarsi efficace con uno più grande, specialmente con gli adolescenti: costoro, tra i quattordici e i diciott'anni, sono molto sensibili al giudizio altrui e hanno il terrore di cadere nel ridicolo.
Riscoprire il senso del ridicolo
Intendiamoci bene: quando parlo di apostolato, di estendere ad altri la dottrina e l'amore di Gesù, e di dimostrarci stupiti davanti all'errore e l'ignoranza altrui, non parlo di un trucco, ma di una reazione reale: sorprendersi davvero di fronte a fatti che sono realmente sorprendenti.
Dobbiamo recuperare un terreno che abbiamo perduto inspiegabilmente, trascurando il vantaggio psicologico sull'avversario offerto dalla sorpresa, al punto che molta gente oggi si «sorprende» se uno va a Messa, o se non ha letto l'ultimo best-seller osceno o se non ha visto l'ultimo film pornografico.
Da ciò si comprende l'urgenza di recuperare non solo il senso del peccato, ma anche il senso del ridicolo. Altrimenti certa gente finirà per pensare: «So di non far bene leggendo o vedendo quella roba, ma se non lo facessi mi renderei ridicolo», non rendendosi conto che così facendo non solo offende Dio, ma cade veramente nel ridicolo. È certo più importante convincere una persona che sta peccando, ma è più facile, all'inizio, fargli capire che si sta rendendo ridicola, perché è vero. Dobbiamo sorprenderci e mostrare la nostra sorpresa.
Come dicevo un momento fa, la nostra sorpresa può essere la miglior difesa contro il possibile indebolimento della nostra fermezza nei princìpi e nella condotta. Dopo tutto, se una persona non si sorprende dell'assurdità delle scelte e degli atteggiamenti — di povertà intellettuale e degradazione umana — assunti da alcuni cristiani, nel migliore dei casi finisce per accettarli come ragionevoli e rispettabili. Ma, allo stesso tempo, la nostra sorpresa può costituire un salutare scossone per questi cristiani incoerenti, può essere necessaria a far sì che la loro mente offuscata ricominci a vedere con chiarezza e che finiscano per comprendere fino a che punto si sono ingannati e resi ridicoli.
È davvero sorprendente che una persona affermi di non credere in Dio, o che sostenga, come se fosse ragionevole, che il mondo è sorto dal nulla. Però sarebbe ancora più sorprendente se considerassimo questa posizione intelligente e ragionevole e cominciassimo a prenderla sul serio. Non è una posizione seria, è assurda. Quindi la nostra reazione spontanea dev'essere il sorriso. Dopo, per chiarezza, proveremo a mettere a fuoco il tema in un modo più maturo. In una parola, proveremo a far sì che il nostro interlocutore pensi.
È sorprendente che una persona che si dichiara cristiana non preghi o non vada a Messa la domenica, o, se anche ci va, lo faccia come per compiere un obbligo senza senso, e senza rendersi conto di ricevere un dono di Dio. E assurdo.
E sorprendente che una persona si senta più «liberata» perché non rispetta alcun limite in campo sessuale: è assurdo, perché così diventa chiaramente schiava delle sue passioni.
E sorprendente che una persona assista a uno spettacolo pornografico, giustificandosi con il «valore artistico» che quell'opera dovrebbe avere secondo quanto gli hanno detto o ha letto. E darsi l'aria di essere uscito più colto o più raffinato da quello spettacolo è davvero assurdo e patetico.
Sorprende che una persona difenda l'aborto in nome dell'umanitarismo, o che affermi che si tratta di un «diritto» della donna sul suo corpo. Assurdo.
Sorprende un comunista che si presenti come difensore della libertà o della democrazia. Basta pensare alle libertà democratiche in Unione Sovietica per definirlo, se non ipocrita, almeno commediante. È assurdo.
Qualunque cristiano mediamente formato saprà vedere in questi esempi o in altri simili ciò che vi è di equivoco o di peccaminoso. Tuttavia molti non si rendono conto di quanto siano poveri e falsi, ridicoli e assurdi questi atteggiamenti. Chi ha Cristo come ideale e amico se ne renderà conto e si meraviglierà. E la sua sorpresa scuoterà molti.
Conosco parecchi casi. Il ragazzo che sente un compagno vantarsi di non andare mai a Messa, e che reagisce dicendo: «È possibile che tu non vada a Messa? Che non t'importi di ricevere la santa Comunione? Che davvero non ti confessi da sei mesi?». E l'espressione sorpresa — genuina, non fittizia — può risvegliare molto bene la coscienza di quell'amico. Infatti questi giovani che dicono di credere poco hanno ancora la fede, anche se è un po' intorpidita, e ciò che può scuoterli, o almeno cominciare a farlo, non saranno tanto le argomentazioni quanto la meraviglia: «Ma sei matto?». E l'amico comincerà a pensare: «Forse ha ragione. Forse sono davvero matto».
«E mai possibile che tu sia andato a vedere quel film? Non ti rendi conto che se continui così distruggerai la tua vita? Non vedi che stai diventando schiavo di queste cose? Non pensi che non potrai avere un matrimonio felice, perché nessuna ragazza decente ti vorrà?». Ciascuna di queste affermazioni sarà un'autentica mazzata, perché in cuor loro sanno che sono tutte vere.
E l'egoista soddisfatto di sé si sentirà dire: «Non vuoi servire? Pensi solo ai fatti tuoi? Che vita triste!».
E il marxista: «Sono d'accordo con tè che occorre realizzare una società più giusta. Ma non la si costruisce certo a forza di seminare violenza e odio. E poi, ti basta davvero essere uno schiavo dello Stato — un pezzo di materia, null'altro — in un mondo in cui niente vale, perché niente ha un destino personale? Realmente ti soddisfa un ideale tanto povero? Che meschinità, che assurdità!».
Salvare l'idealismo dalla bancarotta
Ricordiamo, per terminare, le parole di monsignor Escrivà che introducono il capitolo: «I giovani hanno sempre posseduto una grande capacità di entusiasmo per le cose nobili, per gli ideali più alti, per tutto ciò che è autentico». Per tutto ciò che è autentico! Cristo è autentico, anche se noi cristiani talvolta non lo siamo. Il cristianesimo è un ideale autentico, un ideale che colma e supera tutti i desideri nobili del cuore umano. E la sua autenticità deve a maggior ragione evidenziarsi, in tutta la sua colossale attrattiva, in un mondo come il nostro in cui pullulano «ideali» la cui falsità si fa ogni giorno più palese.
Forse in tempi ormai trascorsi molti uomini non trovavano la piena verità (la verità di Cristo) o non accettavano il vero ideale — Cristo — perché si erano fermati a metà strada. Non avevano mai provato ad andare oltre ideali parziali ed esclusivamente umani. E sono rimasti là, in una posizione che combina una certa facilità (dal momento che di solito un ideale incompleto non richiede un eccessivo sforzo che coinvolga allo stesso tempo tanti aspetti diversi) con una certa sincerità, perché le loro menti erano attirate da quella parte di verità insita in quegli ideali, e che, se non si guardano abbastanza in profondità, sembrano avere le caratteristiche di ideali autentici e onnicomprensivi. E in questo modo molti uomini — sinceri, senza dubbio, sebbene non molto profondi — erano idealisti. Idealisti ed entusiasti di ideali di uguaglianza, di libertà, di fraternità, d'indipendenza del loro Paese, di emancipazione degli schiavi e così via.
Questi ideali erano genuini, per quel che erano. E la loro parziale autenticità è stata spesso sufficiente a catturare i cuori della gioventù. Ma oggi l'autenticità sembra ovunque sull'orlo della bancarotta. I nomi nobili degli ideali umani del passato sono sbandierati come mai prima d'ora. Ma con un contenuto e un significato così povero, così degradato e, a volte, così anti-umano, che non sembra possibile per chiunque continuare a crederci anche avendone il desiderio.
Quando in effetti gli «ideali» presentati all'uomo sono: invece dell'amore, il sesso; invece della libertà, il libertinaggio e l'egoismo; invece del diritto al pieno sviluppo della propria personalità, il disprezzo per il criterio e il diritto degli altri; invece dell'indipendenza e della maturità individuale, il ripudio di ogni autorità e l'incapacità di servire; invece della responsabilità o della partecipazione democratica, le proteste sterili e vuote; invece della giustizia politica o sociale, la violenza e l'odio; quando è questo tutto ciò che ci viene offerto, che cosa manca per dichiarare la completa bancarotta dell'idealismo umano?
Non saremo noi cristiani, comunque, a farlo. Possiamo salvare l'idealismo dalla bancarotta. Se i giovani — e in qualche modo tutti gli uomini — cercano ideali autentici, il momento non potrebbe essere più propizio. Tutti gli ideali meramente umani sono falliti o sono rimasti vuoti di contenuto. Ora occorre mettere allo scoperto la falsità e l'ipocrisia degli «ideali» libertini, materialisti o marxisti. Questo è il compito a cui siamo chiamati noi cristiani. E sarà più facile se avremo più fede, più audacia, un più acuto senso del ridicolo. Allora un intero mondo di giovani e adulti non avrà altra alternativa (non vorrà, ritengo, altra alternativa) che rivolgersi all'unico ideale autentico, l'unico davvero completo, l'unico in grado di soddisfare ed entusiasmare, di richiamare e unire, di purificare ed elevare tutti gli uomini: Cristo.
NOTE
[1] Perché un matrimonio si mantenga felice con il passare degli anni, gli sposi devono continuare a vedere nel coniuge qualcosa di ideale. Tuttavia nessun uomo, nessuna donna possono rappresentare un ideale perfetto per l'altro: ognuno ha i suoi difetti. La scoperta inevitabile dei difetti dell'altro non porta necessariamente alla fine dell'amore; piuttosto lo modererà, cioè si comprenderà che solo Dio è perfetto. Nonostante tutto marito e moglie devono continuare a essere, l'uno per l'altra, l'ideale della propria vita.
Il grande nemico è la superbia, che, da un lato, non ci fa vedere i nostri difetti e invece mette in evidenza — esagerandoli — quelli degli altri, e dall'altro gonfia i nostri meriti e ci nasconde quelli degli altri. 1 coniugi, per amarsi ogni giorno di più, devono imparare a essere umili, con l'aiuto della grazia di Dio. L'umiltà fa sì che ciascuno veda con più chiarezza i propri limiti anziché quelli del coniuge e, nello stesso tempo, noti più le virtù dell'altro che le sue. In questo modo, ogni coniuge si renderà sempre più conto di godere di un amore di cui non è degno: l'ideale allora non potrà morire.
[2] Julien Green, Journal, III.
[3] E le vite di santi? Senz'altro sono un'ottima lettura, anche per i ragazzi di undici-dodici anni. Se poi risulta difficile trovare vite di santi capaci di risvegliare l'interesse e l'entusiasmo degli adolescenti, la colpa non è certo dei santi, ma dei loro biografi che, nella maggior parte dei casi, presentano la santità come qualcosa di staccato dalla realtà, dalla vita quotidiana, e, stranamente, sembrano incapaci di cogliere e presentare le virtù normali e gli aspetti umanamente ammirevoli ed emozionanti di queste persone.
[4] Josemaría Escrivá, Cammino, Edizioni Ares, Milano 1990, n. 88.
[5] Paolo VI, Esort. ap. Marialis cultus, n. 47.
[6] Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, n. 122.
[7] Josemaría Escrivá, Cammino n. 335.