03. MATRIMONIO IN CRISI?

            Si direbbe che l'uomo d'oggi abbia sviluppato un'idiosincrasia per il matrimonio. Nei suoi confronti si sente insicuro, perfino deluso, come si vede dall'enorme aumento dei casi di divorzio in tutti i Paesi dell'occidente. Il divorzio facile — lo abbiamo già notato nell'Introduzione — sembra ormai rientrare fra le caratteristiche delle società più avanzate e progressiste. Ma si può pensare al divorzio come un «progresso», un «vantaggio» solo nella misura in cui si ritiene che il matrimonio abbia probabilità di insuccesso (così come si richiedono garanzie per la restituzione del denaro solo quando si teme di non rimanere soddisfatti dalla mercé acquistata). Non c'è dubbio: un mondo che inizia a credere nel divorzio ha cominciato a perdere fiducia nel matrimonio.

Può essere «naturale» che un matrimonio non riesca?

            È evidente che la tendenza al matrimonio è insita nella natura umana. Stando così le cose è difficile supporre che in una situazione normale il fallimento di un matrimonio sia naturale. Se dunque il matrimonio di alcuni non riesce, forse si dovrà ritenere che riguardo al matrimonio quelle situazioni non siano normali. Non dovremo in tal caso concludere che non è tanto il matrimonio a rivelarsi un fallimento per l'uomo, quanto l'uomo a fraintendere il matrimonio? Non può darsi che il colpevole non sia il matrimonio, bensì proprio l'uomo moderno? Credo sia proprio così, perché ci sono almeno tre punti riguardanti il matrimonio mal compresi dall'uomo moderno:

            a) la tendenza (a seguito dello smarrimento della fede religiosa) a esagerare il valore dell'amore umano, ad aspettarsene ciò che ogni credente sa che solo Dio può dare;

            b) la tendenza a creare un nuovo ordine di priorità tra i fini del matrimonio; in concreto, la tendenza a pensare che lo scopo del matrimonio sia in primo luogo l'espressione e la soddisfazione dell'amore e solo secondariamente la procreazione e l'educazione dei figli;

            c) la tendenza a scorgere opposizione tra questi fini, invece di intenderli come complementari.

            E opportuno esaminare ciascuno di questi punti in modo più approfondito.

Ciò che solo Dio può dare

            La speranza suprema dell'uomo è la speranza della felicità. L'uomo è fatto per la felicità, e necessariamente deve cercarla. Ma va incontro a frustrazioni se la cerca dove non può trovarla, se cerca una felicità assoluta là dove può trovarla solo limitata, o se cerca la felicità dove può trovarla, ma non nel modo dovuto.

            Si può essere felici nel matrimonio, ma non in modo illimitato: chiedere al matrimonio una felicità perfetta è chiedergli troppo. Tuttavia l'uomo è un essere assetato di felicità perfetta, perciò è stato detto a ragione che «la donna promette all'uomo ciò che solo Dio può dare». Ogni credente sa che la felicità perfetta che ogni uomo cerca non si può trovare che in Dio. Sa anche che non è possibile vivere perfettamente felici, in modo reale e durevole, in questa vita; la vera felicità ci è riservata solo in Cielo. Ma il non credente, o chi lo è a metà, ha dimenticato tutto ciò. E quando l'uomo comincia a dimenticarsi di Dio perde la speranza nella vita eterna, il suo cuore si attacca alle cose della terra e cerca di soddisfare la sua sete di felicità per mezzo di esse. È uno sforzo inutile, è una sete che non si può soddisfare sulla terra, neppure nel matrimonio, che, fra tutte le cose umane, promette la maggior felicità: ma, in realtà, non può dare tutto. Chi ha chiaro tutto ciò, cercherà la felicità nel matrimonio, ma non si aspetterà una felicità perfetta, perché sa che significherebbe cercare quel che il matrimonio non è in grado di dare. La persona che si dimentica di Dio avrà la tendenza a «deificare» l'amore umano, e, così facendo, avvierà al fallimento quell'unione. Se si spera troppo dall'amore e dal matrimonio, necessariamente si rimarrà delusi. Se si sottopone una caldaia a una pressione eccessiva, la caldaia esplode. Se si gonfia troppo un palloncino, scoppia. Tanti divorzi dei nostri giorni si possono spiegare così. I figli come accessori

            La seconda ragione del fallimento di tanti matrimoni è la tendenza a creare un nuovo ordine di priorità tra i suoi fini. Alcuni fanno dell'amore reciproco il fine principale o finanche esclusivo e sufficiente del matrimonio. La maggior parte delle coppie, al tempo stesso, riduce a uno o due il numero dei figli, considerandoli un fattore di autorealizzazione fra gli altri, così come, in modo altrettanto legittimo, altri preferiscono una o due automobili, una o due case.

            Per molti coniugi oggi i figli sono come gli accessori dell'automobile: optionals. Vengono cioè accettati solo se piacciono e se si ha il denaro sufficiente per pagarli: il matrimonio — come l'auto — funziona anche senza. La Chiesa oppone un chiaro rifiuto a una prospettiva del genere. Solo in casi eccezionali può darsi un matrimonio senza figli. L'intenzionale rifiuto ad avere figli — in tutto o in parte — condurrà infallibilmente a un cattivo risultato. Si tratta di una verità implicita nella dottrina della Chiesa sui fini del matrimonio.

I «motivi» sono diversi dai «fini»

            Poiché l'uomo contemporaneo ha ben pochi motivi per ritenere che le moderne filosofìe sul matrimonio siano fondate, farebbe bene a riconsiderare l'insegnamento della Chiesa: «II matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per la loro propria natura alla procreazione e all'educazione dei figli»', e la sua insistenza nell'affermare che tale insegnamento corrisponde all'autentica natura del matrimonio. Intanto potrebbe essere utile precisare che la maggior parte di coloro i quali credono che la Chiesa sbagli su questo argomento non hanno ben compreso ciò che in effetti la Chiesa insegna. La Chiesa non parla dei motivi — soggettivi e personali — delle persone che si sposano, ma dei fini — oggettivi — del matrimonio come istituzione. Il motivo principale che spinge la gente a sposarsi è senza dubbio l'amore: «Perché voglio sposarmi con questa persona preferendola a ogni altra? Perché ne sono innamorato». Questo è chiaro. Il desiderio di figli è normalmente solo un motivo secondario, fra i tanti che portano due persone al matrimonio. In qualche caso può anche non essere presente.

            Se dunque sono questi i motivi per sposarsi — anzitutto perché ci si vuoi bene, e secondariamente, semmai, per avere figli —, molte persone saranno facilmente indotte a concludere che la felicità nel matrimonio dipende principalmente o addirittura esclusivamente dall'amore reciproco degli sposi, assai più che dal fatto di avere figli. Ma nessuna speciale evidenza dimostra la correttezza di questa conclusione. In fin dei conti una cosa sono i motivi per sposarsi e un'altra, molto diversa, è la maniera in cui il matrimonio concede la felicità.

Come il matrimonio da la felicità

            Un uomo, o una donna, non ha sbagliato strada se si sposa per amore, o perché spera che il matrimonio possa dargli la felicità. Ma può ingannarsi se fa dipendere la sua speranza di felicità da un solo fattore — l'amore reciproco —, quando invece la Provvidenza ha stabilito che la felicità matrimoniale sia il risultato di due fattori: l'amore e i figli. In altre parole, si può sbagliare strada per non aver capito come il matrimonio deve «funzionare»: per quale via esso può esplicare tutte le sue possibilità, felicità inclusa. Ed è qui che l'insegnamento della Chiesa può aiutare tante persone che si sono fuorviate a ritornare sulla strada giusta.

            Solo l'ignoranza — o qualcosa di peggio — potrebbe presentare la dottrina tradizionale della Chiesa come se fosse frutto di un legalismo medievale, dell'atteggiamento di alcuni chierici celibi e intransigenti che lanciano le loro aspre reprimende contro l'uomo moderno: «Tu cerchi la felicità, una smania moderna che è meglio dimenticare se vuoi essere un suddito fedele della Chiesa. Perché alla Chiesa non interessa la tua felicità. La Chiesa si interessa solo della prole — il numero dei figli — e della legge, l'indissolubilità».

La Chiesa & la felicità umana

            Ma questa sarebbe una forzatura rozza e calunniosa dell'atteggiamento della Chiesa. Essa, sostenendo la dottrina tradizionale sul matrimonio, è cosciente di insegnare la verità consegnatale da Cristo, cioè una verità che non è lecito ignorare, attenuare o tacere. Tuttavia la Chiesa è al tempo stesso pienamente consapevole che la visione del matrimonio che possiede e propone tiene conto di tutti i suoi elementi naturali, e quindi anche della promessa di felicità che il matrimonio offre all'uomo. Quando i suoi figli si sposano la Chiesa è la prima a rallegrarsi, piena di speranza e di gioia. Il divino Maestro è sempre pronto ad accettare l'invito a nozze, per confermare con la sua presenza la gioia di Cana. Ma è a Lui che devono rivolgersi le coppie se vogliono che il vino della loro felicità attuale conservi intatto il buon sapore, fluisca con abbondanza sempre maggiore, non si esaurisca mai ne si muti in aceto [2]. Quando il Signore dice loro che sono «una carne sola» che «non si può separare» (cfr Mt 19, 6), e che devono «crescere e moltipllcarsi» (cfr Gn 1, 28), o quando per mezzo della sua Chiesa insegna, di nuovo con parole del Concilio Vaticano II, che «l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale, generoso e cosciente, sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento» [3], Gesù pensa proprio alla loro felicità: non solo alla loro felicità eterna (benché sia questa che maggiormente importa), ma anche a quella, relativa ma ugualmente autentica, che si può ottenere sulla terra; ed Egli vuole che la raggiungano.

Dall'amore coniugale all'amore familiare

            Fa parte dell'ordine naturale che l'uomo veda una promessa di felicità nel matrimonio. Ebbene, se — come insegna la Chiesa — fa altresì parte dell'ordine naturale che il fine del matrimonio sia, prima e più dell'amore reciproco, la procreazione, ne segue (a meno che la natura ci inganni o sia piena di incongruenze) che con tutta probabilità la felicità nel matrimonio dipende, di norma e a lungo termine, più dall'avere ed educare figli che dall'amore vicendevole tra moglie e marito. Dipenderà certo da entrambi i fattori, ma l'insegnamento della Chiesa pare suggerire che, alla lunga, a influire di più sulla felicità di un matrimonio sono i figli.

            Ad alcuni questa conclusione sembrerà paradossale. Certo qualcuno dirà che è assurda, perché equivale ad affermare che una realtà fisiologica (la procreazione) è più importante di una realtà spirituale (l'amore). In effetti, però, non equivale a niente di simile, ma a qualcosa di molto diverso: vale a dire che nel matrimonio l'amore, certamente molto più grande del semplice amore fisico, è più grande anche del semplice amore coniugale; cioè che l'amore nel matrimonio non è concepito per limitarsi al mero amore di due persone tra loro (e non è probabile che sopravviva se di fatto si limita a questo). E concepito per dilatarsi, per estendersi, per andare oltre. L'amore matrimoniale è proprio destinato a convertirsi in amore familiare. L'amore fra marito e moglie è destinato a crescere e, crescendo, a raggiungere e abbracciare altri, che saranno appunto il frutto di quell'amore. «Il vero amore reciproco trascende la comunione di vita tra marito e moglie, e si estende ai suoi frutti naturali, i figli» [4].

Felicità calcolata

            Siamo così giunti al terzo punto della nostra considerazione. Un'epoca che non vede nei figli la conseguenza naturale dell'amore coniugale può finire per vederli come nemici di quell'amore. Per questo motivo ho detto che la terza ragione del fallimento di molti matrimoni dei giorni nostri è l'attuale tendenza non solo ad anteporre l'amore reciproco alla prole, ma a scorgere una reale opposizione tra questi due fini del matrimonio, anziché vederli come complementari.

            Influenzate da una concezione egoistica della vita e dalla propaganda contro la natalità, molte persone finiscono col credere che la felicità umana, nel matrimonio, dipenda essenzialmente dall'amore, e semmai solo in modo marginale dalla paternità. Quanti di costoro si rendono conto che questa idea è, ne più ne meno, il primo di una serie di passi che — basandosi su una filosofia animata da forza e direzione ben precise — li condurrà molto più lontano di quanto avevano previsto?

            Esaminiamo un poco più attentamente questo primo passo della filosofia antinatalista, e vedremo con che facilità conduca ai passi successivi: passi su una strada degradante di calcoli anziché su un itinerario ascendente d'amore.

            Il primo principio della moderna «filosofia» del matrimonio afferma che l'amore rappresenta il motivo sufficiente ed essenziale del matrimonio, e che quindi i figli vanno considerati un possibile aiuto, ma anche un possibile ostacolo, all'amore tra gli sposi. Infatti i figli portano con sé le loro esigenze, mentre oggi va diffondendosi un concetto dell'amore che non vuole essere costretto a subirle. Quando prevale una mentalità del genere, quando si pensa all'amore solo in termini di soddisfazione personale (e non come donazione di sé e di elevazione verso un ideale, con la lotta e il sacrificio che tutto ciò comporta), allora qualche vago desiderio di paternità può non bastare a compensare gli «svantaggi» che i figli comportano. Tutto ciò risulta specialmente vero nel caso delle donne, tra le quali si manifesta una tendenza crescente a ritenere che i pesi della gravidanza e della maternità siano un prezzo troppo alto da pagare rispetto alle possibili soddisfazioni che se ne possono ricavare.

            La felicità è il risultato della donazione generosa a qualcosa o a qualcuno cui vale la pena dedicarsi. È il risultato del saper dare sé stessi anche se costa, e senza preoccuparsi del costo: la felicità non è un bene che si possa comperare col denaro, ne ottenere col calcolo. Ciò nonostante la moderna visione del matrimonio va riempiendosi di ogni sorta di calcoli: quasi tutti freddi e, per la maggior parte, tanto errati quanto egoistici.

            Il primo calcolo, come abbiamo visto, è che due persone si bastano a vicenda per essere felici. Il secondo calcolo è che un determinato numero di figli, uno o due, può accrescere questa felicità; così come può disturbarla... Un terzo calcolo, che per molti va acquistando la forza di un dogma, è che superare un certo numero di figli (due o tre al massimo) si opporrà infallibilmente all'amore e alla felicità nel matrimonio. Se però si conclude che un determinato numero di figli — quattro per esempio — si opponga ali 'amore, si finirà facilmente col pensare che qualunque numero di figli — anche uno solo — sia un nemico. Ecco la logica della mentalità antinatalista.

            Due persone che cominciano credendo di essere fatte l'una per l'altra, possono finire per credere di non essere fatte per nessun altro, e di non avere bisogno di nessun altro; che qualsiasi altro — anche un figlio, anzi specialmente un figlio — può diventare un rivale del loro amore. L'uno o l'altro (o entrambi) possono paventare e rifiutare la possibilità che un figlio assorba parte dell'amore che finora hanno ricevuto in esclusiva dal coniuge. È vero, in effetti, che la maggior parte delle persone sposate provano una reazione di gelosia, quando diventano genitori, constatando di non essere più l'oggetto unico e esclusivo dell'amore del coniuge. E cosa normale e naturale provare un sentimento del genere, come è normale e naturale vincerlo. Non è invece naturale evitare di generare figli per paura che il coniuge dedichi loro il suo affetto; è l'espressione di uno spirito possessivo, egoista e calcolatore, cioè l'antitesi del vero amore.

            L'amore sessuale e la procreazione sono uniti, nei disegni di Dio, per costituire un forte supporto naturale al matrimonio e alla felicità. L'uomo, invero, può separare ciò che Dio ha unito. Ma tale anti-naturale separazione può lasciare il matrimonio senza sostegni. E un matrimonio privato del suo sostegno naturale crolla inevitabilmente.

            Chi crede che la mentalità antinatalista favorisca il matrimonio e l'amore farebbe bene a valutarne le possibili estreme conseguenze. Esse sono state ben parodiate da Aldous Huxley nel romanzo II mondo nuovo, satira di una società futura e senz'anima, che oggi appare molto meno lontana e impossibile di quanto sembrasse cinquant'anni fa.

            Quella visione di un futuro felice, «liberato» — l'amore e il sesso identificati (o, meglio, l'amore sommerso nell'istinto animale incontrollato); il matrimonio abolito; i figli (il capitolo «ripopolamento») ridotti a un processo di laboratorio nelle mani sicure ed esclusive dello Stato — non è altro che la proiezione logica e ultima, per fantastica che possa sembrare, della filosofia del birth-control (controllo delle nascite).

Opposizione tra i fini?

            Quando la Chiesa insegna che l'amore coniugale «è ordinato alla procreazione» [5], sarebbe un grave errore interpretare questa subalternità dell'amore nei confronti della procreazione come se implicasse un atteggiamento ostile verso l'amore.

            La Chiesa non oppone un fine del matrimonio all'altro. È l'uomo moderno a farlo. La Chiesa vede l'intima armonia tra tutti gli aspetti naturali del matrimonio, vale a dire sia quelli oggettivi sia quelli soggettivi che spingono gli sposi a cercare in esso un amore e una felicità autenticamente nobili e umani [6]. Dire che una cosa è ordinata all'altra significa fornire la chiave interpretativa della sua vera natura. Perciò quando la Chiesa insegna che l'amore reciproco nel matrimonio è subordinato alla procreazione, lungi dal disprezzare l'amore umano, ci offre la chiave dei piani disposti dalla natura affinchè si compiano, nel matrimonio, le grandi promesse dell'amore umano.

Il più grande progetto dell'amore: i figli

            La natura stessa ha previsto che l'amore coniugale sia fecondo [7]. In altre parole la fecondità è qualcosa di naturale per l'amore; è qualcosa cui l'amore anela naturalmente, al punto da sentirsi frustrato se non può dare frutto.

            L'amore ispira sempre, è capace di grandi sogni, anche quando non è corrisposto. Tanto più l'amore corrisposto e condiviso — l'amore che si è incontrato con l'amore — non si limita a sognare, ma aspira a concepire e realizzare cose grandi.

            L'amore fa in modo che una giovane coppia innamorata si appassioni anche di cose in cui gli altri trovano solo stanchezza e abitudine. Agli innamorati basta, per illuminarsi, anche il solo fatto di potere fare insieme quelle cose, perché ciò che fanno o scelgono rappresenta il frutto di una decisione d'amore, l'unione di due volontà che si vogliono bene. Così, mentre il giorno delle nozze si avvicina, sono felici di fare insieme tanti progetti — senza grande importanza e forse in sé banali — che rappresentano piccoli mattoni della loro nuova vita. Scelgono insieme con entusiasmo la casa in cui andranno a vivere, i mobili con cui arredarla, il colore delle tende.

            Come potranno, allora, non appassionarsi al più grande progetto che la natura ha riservato a loro, e solo a loro, che sarà frutto esclusivo della loro unione? A un progetto che non si riduce a qualche scelta materiale — un televisore, un'automobile — bensì è vera e propria creazione, da parte loro (con la collaborazione di Dio), di nuovi esseri viventi, i figli? Altre coppie avranno magari una casa simile, o sceglieranno modelli di televisori e di automobili identici o migliori; ma nessuno potrà avere gli stessi loro figli.

            E come potranno non vedere nel progetto dei figli la più grande e la più incantevole di tutte le loro aspirazioni, considerando che è l'unico frutto diretto della loro intima unione coniugale, frutto dell'unione non solo delle volontà, ma anche dei corpi? E, comprendendo tutto ciò, come potranno non rendersi conto della grandezza e sacralità del piano divino del matrimonio?

            «L'unico matrimonio cristiano è quello di due esseri generalmente giovani, nel pieno della vita, in possesso dell'integrità delle loro forze, che si danno l'un l'altro senza riserve, per realizzare insieme l'opera più grande sul piano dei valori naturali: l'opera del loro perfezionamento e l'opera della famiglia, che si corona di figli, nei quali i genitori si ritrovano, si continuano, ed esprimono la loro unità» [8]. «Gli sposi che si amano, amano tutto ciò che li avvicina e li unisce. Nulla appartiene tanto a entrambi quanto un figlio. Possono mettere i beni in comune, possono avere lo stesso cognome, possono andare d'accordo per carattere, possono avere interessi che li legano, ma nulla può unirli tanto quanto un figlio... Gli sposi continuano ad amarsi nel figlio, ritrovano in lui non solo sé stessi, ma la loro unione, l'unità che cercano di realizzare in tutta la vita. Ciascuno riconosce nel figlio un essere nuovo che gli deve tutto e che egli ama di un amore che non si disgiunge da quello cui il bambino deve la vita. Il matrimonio trova così, nella paternità e nella maternità, la sua fioritura perfetta. Il bambino sancisce l'arricchimento dell'anima che gli sposi cercano nella loro unione» [9].

            Ecco perché una giovane coppia innamorata — se concepisce il matrimonio come qualcosa di più della mera soddisfazione dell'istinto — non si accontenta di un'unione sterile. Se il frutto naturale dell'amore coniugale sono i figli, l'amore coniugale che non da tale frutto — pur avendone la possibilità — resta frustrato, e può ben presto ammalarsi e morire. A minacciarlo sarà l'asfissia, conseguenza dell'ambiente chiuso e innaturale entro cui — dopo essersi egli stesso privato del soffio della vita — sarà costretto a sopravvivere.

            Se la natura ha previsto che l'amore coniugale sia fecondo, possiamo attribuirle anche il disegno che la crescita dell'amore sia normalmente ordinata alla crescita della fecondità.

            I coniugi che desiderano accrescere il loro amore, ma allo stesso tempo ne trascurano o inibiscono la fecondità, stanno snaturando il loro matrimonio. Non hanno compreso in che modo il matrimonio può normalmente dare la felicità, e non è probabile che la trovino per altre vie. L'amore, senza la protezione e la forza che vengono dai figli, soccombe facilmente alle difficoltà della vita.

Tutti i matrimoni attraversano una crisi

            Non penso sia difficile seguire il piano della natura, che ha designato i figli non solo come frutto, ma anche come protezione dell'amore reciproco degli sposi, e baluardo della loro felicità matrimoniale.

            Ogni matrimonio arriva a un momento critico, una svolta aperta verso un bene più definitivo e più pieno o verso il male. Questo momento può giungere molto presto, quando l'amore facile e romantico svanisce, il che può anche avvenire nel giro di un paio di anni dalle nozze.

            Se una coppia non riesce a superare bene questo periodo critico, il matrimonio si avvierà lungo una parabola discendente.

            L'intesa e il rispetto reciproci diminuiranno; le discussioni e i litigi diventeranno più frequenti; avrà inizio un processo di progressivo allontanamento fra i due coniugi che dieci o quindici anni dopo potrà sfociare in una rottura definitiva e irreparabile.

Una doppia necessità

            Se un matrimonio vuole sopravvivere a questo periodo di crisi, ritengo occorra soddisfare una duplice necessità. Quando giunge il tempo della prova ogni coniuge ha bisogno, in primo luogo, di un motivo valido che lo aiuti a essere leale verso l'altro, malgrado i difetti di lui o di lei: un motivo sufficiente a farlo perseverare nel compito di apprendere ad amare l'altra persona.

            Ciascuno ha bisogno, in secondo luogo, di un motivo ancora più forte per migliorare personalmente, per diventare meno egocentrico, più amabile. È facile scorgere nei figli lo speciale modo in cui la natura provvede a entrambe le necessità.

Continuare ad amare anche nelle difficoltà

            Consideriamo il primo punto: la necessità di perseverare nell'amore quando amare si fa difficile.

            In Cielo Dio e i santi amano senza sforzo. Ma la terra non è il Cielo e quaggiù l'amore poche volte è facile; e, se lo è per qualche tempo, tale facilità non dura a lungo. È vero che deve esistere un enorme fondo di bontà in ogni essere umano, dal momento che Dio ama ciascuno di noi di un amore immenso, e Dio ama solo ciò che è buono. Ma noi non siamo Dio, e a volte ci riesce difficile scoprire gli aspetti buoni degli altri. Molto spesso ci è più facile vederne i difetti che apprezzarne le virtù. Ciò avviene in particolare quando due persone sono in un rapporto così intimo e costante come è il caso del matrimonio. E avviene soprattutto se in questo rapporto sono rimaste sole. Due persone che si ritrovano costantemente faccia a faccia si scopriranno molti più difetti di quanti ne vedono due persone che insieme guardano i figli.

            Quando cominciano a evidenziarsi le piccole difficoltà, il pensiero dei figli — se ce ne sono — diventerà in modo naturale il motivo principale perché il marito o la moglie decidano di essere fedeli agli impegni matrimoniali.

            «Nella buona e nella cattiva sorte», si erano promessi anni prima... Sorte ben cattiva sarebbe per i figli se i genitori non imparassero a restare uniti. «Nella ricchezza e nella povertà»... e poveri bambini, se vivessero in una famiglia disunita o divisa. Possono esservi motivi più forti che la responsabilità e l'amore verso i figli per spingere una coppia, e incoraggiarla, e obbligarla a essere fedele, quali che siano il costo, i sentimenti, lo stato dei nervi, gli sforzi — anche eroici — che saranno necessari? Certo, questi sforzi li faranno soffrire; ma devono avere chiaro che se non sono disposti a compierli, i loro figli soffriranno molto di più.

            Ecco il primo motivo, ed ecco come la natura vi fa fronte. «Per il bene dei nostri figli dobbiamo imparare a convivere. Pertanto lotterò con tutte le mie forze per continuare ad amare mio marito o mia moglie. E, con la grazia di Dio, ci riuscirò».

Migliorare attraverso il sacrificio

            II marito o la moglie che reagisce in questo modo sta già migliorando. E questo ci porta direttamente al secondo punto. Se si vuole che l'amore sopravviva nel matrimonio, ogni coniuge deve imparare ad amare l'altro così com'è, anche con i suoi difetti. Se invece si vuole non soltanto che sopravviva ma che si accresca, ciascuno dev'essere anche in grado di scoprire nell'altro virtù: virtù nuove o virtù aumentate.

            Se si vuole che l'amore cresca nel matrimonio, l'altro deve apparire ogni volta più amabile. E non potrà apparire così se non sta migliorando, se di fatto non sta diventando una persona migliore. Sul piano naturale è la generosità, la donazione di sé, a far sì che una persona migliori e divenga più amabile. Ed è l'egoismo, invece, a uccidere l'amore in una persona e in quanti le stanno accanto.

            La persona innamorata dev'essere capace di sacrificarsi per la persona amata, se vuole arrivare a essere essa stessa più amabile. Chi è incapace di sacrificarsi è altrettanto incapace di dare o di ricevere (o di custodire) amore.

            E bene che ciascuno si sacrifichi per l'altro. Ma c'è da dubitare, sul piano naturale, che un marito o una moglie possa, da solo, ispirare indefinitamente generosità e sacrificio al coniuge.

            Abbiamo detto che la persona innamorata deve sapersi sacrificare per la persona amata, se vuole arrivare a essere più amabile. Bisogna a questo punto aggiungere che «la persona amata», nei piani della natura riguardo al matrimonio, include i figli. I figli possono e sogliono ispirare ai genitori una disponibilità al sacrificio a cui probabilmente nessuno dei due, da solo, potrebbe condurre l'altro. «L'uomo vince sé stesso più facilmente se lo fa per il figlio. L'amore paterno è la forma d'amore più spontaneamente disinteressata» [10]. Per questa via, nel sacrificare -sé stesso per i figli, ogni genitore migliora di fatto e arriva a essere, anche agli occhi del coniuge, una persona veramente più amabile: «Per i figli gli sposi arrivano a superare sé stessi e accrescono la loro felicità. La condizione della magnanimità è superarsi. I figli, soprattutto, stimolano i genitori alla magnanimità»".

Ogni matrimonio richiede sacrificio

            Se invece gli sposi non sanno far ricorso alla capacità di sacrificio che è inclusa nell'istinto paterno e materno, è più probabile che finiscano, nel migliore dei casi, come persone realizzate a metà, amabili a metà. E non è detto che ciò sia sufficiente perché il matrimonio sopravviva. Fatto sta che il sacrificio è vitale per il matrimonio. In particolare tutto il sacrificio che i figli richiedono ai loro genitori, fin dalla più tenera età, è per natura un fattore finalizzato alla crescita, alla maturazione e all'unione dei coniugi.

            È bene che marito e moglie si sacrifichino l'uno per l'altra; ma è ancora meglio che, insieme, si sacrifichino per i figli. Il sacrificio condiviso è fra i migliori vincoli d'amore.

Quando l'amore è privato delle basi

            Uno degli errori più evidenti, più frequenti e più tristi di tante giovani coppie che si sposano oggi consiste nella decisione di procrastinare la nascita dei figli per alcuni anni (due, tre, cinque). Ne risulta che proprio nel momento in cui la favola bella comincia a dissolversi, quando l'amore si imbatte in difficoltà e ha bisogno di una base, il fondamento principale che la natura aveva pensato (o, meglio, «pianificato») — i figli — non esiste [12].

Una vita egoista non da la felicità

            50 che molte giovani coppie vogliono spassarsela per alcuni anni. Si considerano troppo giovani per adattarsi alla vita di famiglia, e preferiscono combinare quelli che considerano i vantaggi della vita matrimoniale con le attrattive della vita sociale cui sono abituati. Ma si può davvero considerare naturale un simile approccio al matrimonio? Non mira troppo a ciò che il matrimonio offre sotto forma di soddisfazione, e troppo poco a ciò che implica in termini di impegno? Non ci sarà troppo egoismo a due in questa scelta? Alla fin fine «spassarsela» insieme è un ideale abbastanza povero da vivere e di cui partecipare; e certo incapace di cementare nell'amore due persone per tutta la vita.

            Si ha talora l'impressione che molte giovani coppie di oggi progettino un matrimonio in cui la necessità del sacrificio sia ridotta al minimo, o, se possibile, del tutto eliminata. Quel che è triste, di due persone che desiderano un matrimonio senza sacrificio, è che, prima o poi, perderanno il rispetto reciproco che avevano all'inizio.

Quando si è maturi per creare una famiglia?

            Altre coppie sostengono che alcuni anni di vita matrimoniale trascorsi assieme le aiuteranno a maturarsi, e che così si troveranno meglio preparate per cominciare a educare una famiglia.

            Ma c'è da chiedersi che cosa vi sia in questa vita in comune — in cui responsabilità e sacrifici sono ridotti al minimo — che realmente vada maturandoli. Il momento in cui due coniugi sono meglio preparati a cominciare una famiglia è proprio quando si sono appena sposati. L'amore fiducioso e facile che ancora li accompagna in quei primi anni di vita matrimoniale li aiuterà ad affrontare più prontamente e più allegramente i sacrifici che i figli esigono. Quell'amore romantico e idealista rientra nei disegni della natura per rendere più facile il processo mediante il quale una coppia matura nel sacrificio. Più avanti non sarà altrettanto facile ottenerlo, e il tentativo potrebbe risolversi in un insuccesso. Se rimandano i primi figli a più avanti, quando la favola bella sarà finita, l'impegno e il sacrificio richiesti dai figli potranno risultare troppo pesanti, proprio perché non sono maturati abbastanza.

            Se due giovani si innamorano, ma non vogliono formare una famiglia, sarebbe meglio per loro non sposarsi. Hanno troppe probabilità di insuccesso. È come cercare di mettere in moto un'automobile il cui impianto di raffreddamento sia difettoso: magari l'automobile camminerà per un po', ma alla fine il motore si brucerà.

Il più esperto pianificatore familiare

            II nostro sarebbe un mondo piuttosto strano e curioso se la natura non fosse, di fatto, il migliore e più saggio pianificatore familiare. In fatto di pianificazione familiare ha certo la più lunga esperienza. I risultati della programmazione familiare moderna — artificiale e antinaturale — sono fin troppo chiari: sempre più matrimoni che si sgretolano, focolari che si spengono, persone che si isolano.

            Le giovani coppie che sono tentate di credere più ai demografi, ai politici o ai sociologi che alla natura, che si sentono tentate di cedere alle pressioni sociali o al desiderio di una vita facile anziché assecondare il loro istinto di paternità, farebbero bene a chiedersi se davvero sono convinti — guardando l'evidenza dei fatti — che la moderna pianificazione familiare tenda a produrre matrimoni più felici, o se piuttosto il piano della natura non sia più previdente e non offra migliori garanzie per una vita matrimoniale e un amore coniugale più forti e durevoli.

Auto-realizzazione nel matrimonio

            Chi sostiene che il fine principale del matrimonio è il «reciproco arricchimento» degli sposi «nella realizzazione della loro personalità», attraverso «la complementarità del loro reciproco amore», eccetera, dovrebbe essere in grado di dire anche che cosa sono questo arricchimento e questa realizzazione. Probabilmente si intende che il fine del matrimonio è rendere gli sposi umanamente migliori, più maturi [13]. Ma bisogna capirsi sul significato di queste parole: in che cosa consiste la maggiore maturità, l'arricchimento umano? In una maggiore capacità di comprensione e di dedizione? In un maggiore spirito di sacrificio? In un più sviluppato autocontrollo? O piuttosto — dando per scontato che non si voglia sostenere che consiste in una maggiore dipendenza meramente fisica e sessuale — in una maggiore preoccupazione per sé stessi, accompagnata da indifferenza per gli altri?

            Vale la pena di tornare a meditare le parole di Paolo VI: «E prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire nello stesso tempo sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato a mantenersi e a crescere mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana, di modo che gli sposi diventino un cuor solo e un'anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana» [14].

Pressioni dittatoriali

            Torniamo all'idea suggerita all'inizio: non è che il matrimonio sia inadatto all'uomo moderno; semmai è l'uomo d'oggi che inquadra male il matrimonio. Ne abusa, e pertanto esso non funziona come dovrebbe.

            Troppo a lungo alcune persone hanno gridato: «Abbiamo il diritto di essere felici nel matrimonio senza dover sopportare i precetti della Chiesa». Cominciamo a sentire un suono amaro di disperazione in quel grido, perché sono proprio quelli che più trascurano le leggi della Chiesa a trovare meno felicità nel matrimonio.

            Oggi vengono imposti molti precetti e indicazioni quasi dittatoriali sul modo di vivere il matrimonio, ma non da parte della Chiesa. Vengono dallo Stato, dai pianificatori sociali, dagli esperti di economia, dagli avvocati, dai fautori di un edonismo che vuole invadere tutto, dai filosofi di un libertinismo nichilista.

            Non sembri strano che tali progetti sul matrimonio — progetti imposti dagli uomini — finiscano per fallire, perché il matrimonio non è un'idea dell'uomo, ma di Dio [15].

            Chiunque, pertanto, ha il diritto di aspettarsi la felicità dal matrimonio, ma solo nel tipo di matrimonio che la natura ha istituito, e solo quando tale matrimonio è vissuto, con la grazia di Dio, in accordo con i suoi disegni e le sue leggi. Non voler rispettare quei disegni e quelle leggi equivale a snaturare ciò che era fatto per aiutare l'uomo a essere felice e salvarsi, per trasformarlo, presto o tardi, in fonte di infelicità e frustrazione.

            Il matrimonio è in crisi e sembra che in molte società «civili» sia in declino. Esistono tuttavia molte eccezioni: tanti matrimoni felici che sono anche focolari luminosi perché i genitori non hanno frustrato i nobili sentimenti di paternità che la natura ha loro dato. Hanno anzi saputo soddisfarli con animo generoso, ricordando che «l'amore coniugale buono aspira alla gloria della fecondità con animo forte. Ma la gloria della fecondità non si trova in una fecondità con il contagocce. È in una fecondità abbondante, che desidera tale abbondanza, e se ha bisogno di motivi, non è per non avere figli, ma per limitare il loro numero»"'. Sono sempre più i coniugi che comprendono la grandezza del piano divino di cui Dio li ha fatti partecipi chiamandoli al matrimonio. E così, rafforzati dalla sua grazia, sanno far fronte ai sacrifici — sacrifici d'amore — di cui l'amore ha bisogno per sopravvivere[17].

 

NOTE

[1] Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et spes, n. 50.

[2] «L'uomo non può trovare la vera felicità — alla quale aspira con tutto il suo essere — se non nel rispetto delle leggi iscritte da Dio nella sua natura e che egli deve osservare con intelligenza e amore» (paolo vi, Enc. Humanae vitae, n.31).

[3] Cfr Cost. Gaudium et spes, n. 48.

[4] Colloqui con Monsignor Escrivà, Edizioni Ares, Milano 1987, n. 94.

[5] Cfr Cost. Gaudium et spes, n. 48.

[6] Cfr Enc. Humanae vitae, n. 8.

[7] Cfr ibidem, a. 9.

[8] Jacques Leclercq, Le Marriage chrétien, p. 169.

[9] Ibidem, p. 247.

[10] Ibidem, p. 241.

[11] Ibidem, p. 257.

[12] «Gli sposi devono costruire la loro convivenza su un affetto sincero e limpido e sulla gioia di mettere al mondo i figli che Dio da loro la possibilità di avere, sapendo all'occorrenza rinunciare a comodità personali e avendo fede nella Provvidenza divina» (Josemarìa Escrivà, E Gesù che passa. Edizioni Ares, Milano 1988-, n. 25).

[13] Che il matrimonio debba comportare arricchimento e maturazione dei coniugi è quanto la Chiesa insegna esplicitamente; sempre, com'è ovvio, intendendo tale maturazione come, soprattutto, maturazione nella vita che importa radicalmente: la vita cristiana di grazia e santità. Vengono a proposito le parole pronunciate da Pio XI nell'enciclica Casti connubii: «Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l'assiduo studio di perfezionarsi a vicenda in un certo senso verissimo, come insegna il Catechismo Romano (p. II, cap. 8, q. 13), si può dire anche primaria cagione e motivo del matrimonio; purché s'intenda per matrimonio, non già nel senso più stretto l'istituzione ordinata alla retta procreazione ed educazione della prole, ma in senso più largo la comunanza, l'uso e la società di tutta quanta la vita» (n. 9).

[14] Cfr Enc. Humanae vitae, n. 9.

[15] Quella che è stata chiamata la «Magna Carta del matrimonio cristiano», l'Enciclica Casti connubii di Pio XI, comincia l'esposizione della dottrina cristiana sul matrimonio con queste parole: «Resti anzitutto stabilito questo inconcusso e inviolabile fondamento: che il matrimonio non fu istituito ne restaurato dagli uomini, ma da Dio Autore della natura e da Gesù Cristo Redentore della medesima natura fu presidiato di leggi e confermato e nobilitato: le quali leggi perciò non possono andar soggette a verun giudizio umano e a veruna contraria convenzione nemmeno degli stessi coniugi. Questa è la dottrina della Sacra Scrittura, questa la solenne definizione del Concilio Indentino [...]» (n.3).

[16] Jacques Leclercq, op. cit., p. 261.

[17] «Gli sposi cristiani, dunque, docili [alla voce di Cristo], ricordino che la loro vocazione cristiana iniziata col Battesimo si è ulteriormente specificata e rafforzata col sacramento del Matrimonio. Per esso i coniugi sono corroborati e quasi consacrati per l'adempimento fedele dei propri doveri, per l'attuazione della propria vocazione fino alla perfezione e per una testimonianza cristiana loro propria di fronte al mondo. A essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità e la soavità della legge che unisce l'amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all'amore di Dio autore della vita umana» (Enc. Humanae vitae, n. 25).