Dobbiamo trarre ulteriore profitto da quella precisa domanda cui ci siamo riferiti nel capitolo precedente: «Dov'è il mondo?».
Abbiamo cercato di dimostrare che la mentalità improntata alla lotta per il potere è erronea per l'ecclesiologia del Concilio Vaticano II in relazione all'autorità da una parte, e ai ruoli distintivi del clero e del laicato dall'altra. Ma è erronea anche per un terzo aspetto, ancor più grave: apostolicamente è sterile.
Per quella mentalità la questione importante è: «Come organizzare la Chiesa?», mentre per lo spirito di servizio è: «Come evangelizzare il mondo?». La ristrettezza di vedute del primo criterio è evidente, così come il dinamismo del secondo.
Tuttavia, si sostiene talvolta che una Chiesa riorganizzata e ristrutturata secondo linee più "liberali" offrirebbe una migliore immagine di sé al mondo e faciliterebbe così l'evangelizzazione. Questa tesi viene senza dubbio avanzata perché sembra meglio giustificare fenomeni che paiono caratterizzati da individualismi e ripiegamenti in sé e sono privi di tensione evangelizzatrice, quali il rifiuto del celibato dei preti, la richiesta di ordinazione delle donne, la pretesa di certi laici di accedere al governo della Chiesa... È innegabile che buona parte delle nostre energie negli ultimi venticinque anni è stata sprecata in queste preoccupazioni e altre simili: il dissenso teologico, i "cattolici" per la pillola o l'aborto, i "cattolici" contro il Magistero, il sacerdozio femminile, il "sessismo" nel linguaggio liturgico, la mancanza di democrazia nella nomina dei vescovi... sono le "scottanti" controversie che riempiono troppi dei nostri scritti e dibattiti.
Resta poi da vedere se dietro siffatte questioni vi sia un ardente zelo per la salvezza del mondo o invece velleità per un diverso tipo di Chiesa e, in particolare, per un diverso stile di vita personale. Giudicare le motivazioni soggettive non è mai cosa facile. Più facile, invece, è giudicare l'effetto di tali controversie sugli osservatori esterni, poiché esse riecheggiano nel mondo non cattolico: che impressione vi suscitano?
Non si rischia molto a congetturare: esse lasciano il mondo divertito o stupefatto... ma in ogni caso indifferente a ciò che ritiene lotte intestine ecclesiastiche. Che cosa vi è che possa smuovere il mondo, rivelargli lo spirito di Cristo e attirarlo a lui?
Segni dei tempi
Alcuni difendono la direzione indicata da questi atteggiamenti come richiesta dalle necessità dei tempi; si afferma che una delle principali direttrici tracciate dal Concilio Vaticano II sia quella della necessità di aggiornare la Chiesa e di foggiarla secondo i "segni dei tempi".
Questa breve espressione compare nel paragrafo introduttivo della Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo; probabilmente nessun'altra espressione dei documenti del Concilio è stata tanto spesso citata. "Leggere i segni dei tempi" è diventato per molte persone il principio guida per l'interpretazione e la pratica applicazione del Vaticano II.
I segni dei tempi — ci si dice — indicano che l'uomo moderno vuole più libertà, più uguaglianza, più opportunità per esprimere sé stesso. La Chiesa, pertanto, perderebbe credibilità e ogni possibilità di rivolgersi all'uomo contemporaneo se non apparisse come un'istituzione veramente democratica, con maggiore libertà per l'individuo, maggiore rispetto per i diritti della persona, più limitato esercizio dell'autorità...
C'è da dubitare che coloro che ragionano in questo modo abbiano correttamente inteso il senso in cui il Vaticano II ha invocato i segni dei tempi; come pure c'è da dubitare che l'immagine della Chiesa che vorrebbero veder emergere sia in effetti idonea a darle "credibilità" di fronte all'uomo contemporaneo, a smuoverlo e ad attirarlo.
Trascriviamo il passo della Gaudium et spes in cui appare questa espressione: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto» (GS 4).
Non è dunque il Vangelo a dover essere interpretato alla luce dei tempi, ma esattamente il contrario. I segni dei tempi sono infatti presentati dal Concilio come un punto di partenza o di riferimento, ma vengono indicati non come criterio per una rilettura secolare del Vangelo, bensì per un'interpretazione evangelica dell'uomo contemporaneo.
Il Concilio Vaticano II non ha mai pensato che l'uomo moderno non fosse maturo per il Vangelo. L'uomo è sempre maturo per il Vangelo. Il Vangelo è la buona novella per tutti gli uomini.
Il criterio dei "segni dei tempi" suggerisce di guardare all'uomo contemporaneo e di esaminarne la situazione esistenziale, in modo da vedere quale delle sue aspirazioni — lo struggente desiderio di valori che non possiede — può essere soddisfatta al massimo livello in Cristo.
È vero che l'uomo moderno vuole la libertà; tutti gli uomini di ogni tempo hanno desiderato la libertà. La legge di Cristo è la legge della libertà, e tocca ai cristiani mostrare al mondo che abbiamo trovato la libertà proprio nella legge di Cristo. Al tempo stesso, dobbiamo incoraggiare l'uomo moderno a domandarsi da che cosa vuole esser libero e per qual -fine; e vedere poi se accetta la libertà nei termini di Cristo e della sua legge. Noi cristiani sappiamo che non è possibile trovarla altrove.
È altrettanto vero che l'uomo moderno vuole l'uguaglianza. Anch'essa può essere trovata in Cristo, nella comune dignità di essere figli del medesimo Padre, nella fruizione dei nostri diritti, dono divino, sotto una guida e autorità che vengono da Dio.
Il desiderio della libertà e dell'uguaglianza: tutto qui il risultato della nostra analisi sull'uomo moderno? È indispensabile una più approfondita lettura dei segni dei tempi se vogliamo comprendere la situazione peculiare dell'uomo contemporaneo, e in che modo noi cristiani siamo chiamati a comunicargli il Vangelo.
Un brutto momento?
Lo stesso Concilio, quando all'inizio degli anni 60 lesse i segni dei tempi, ne trasse un'immagine dell'uomo moderno come di un essere profondamente insoddisfatto. L'uomo moderno "spesso appare più incerto di sé stesso" (GS 4); giace nelle strette di un "turbamento" spirituale; "soffre in sé stesso una divisione" (GS 10); è "tormentato tra la speranza e l'angoscia" (GS 4); "ciascun uomo rimane a sé stesso un problema insoluto, confusamente percepito" (GS 21); ma il mondo stesso "lo costringe a darsi una risposta" (GS 4).
Nel tempo trascorso dal Concilio Vaticano II la società moderna ha effettivamente mostrato sempre più segni di logoramento: droga, sequestri, pornografìa, teppismo, crescente criminalità, terrorismo internazionale... All'uomo moderno sta succedendo qualcosa; gli sta succedendo molto in fretta, ed egli stesso comincia ad avvertire che ciò che accade non è affatto buono.
Sotto questi segni di irrequietezza si percepisce nell'uomo contemporaneo una profonda insoddisfazione, un senso di privazione. Qualcosa viene a mancare nella sua vita: vitali valori umani. Tra le privazioni che l'uomo contemporaneo sperimenta ne vorrei indicare tre di particolare rilievo: la perdita della sicurezza, della solidarietà e della gioia. Il suo modo di concepire la vita
— verso sé stesso e gli altri — diviene sempre più scettico e negativo:
— la vita è un cammino senza senso: non c'è meta e, se anche ci fosse, nessuno sarebbe in grado di dire come raggiungerla;
— la vita è una lotta: non c'è onestà ne lealtà; non è possibile fidarsi degli altri;
— la vita è una truffa: promette la felicità, ma non adempie la sua promessa.
È un brutto momento per l'uomo di oggi. Ma è un buon momento per l'evangelizzazione. Quanto più l'uomo è prossimo alla disperazione, tanto più (forse senza saperlo) è aperto a un messaggio di speranza.
Questa situazione — mancanza di sicurezza, di solidarietà, di gioia — è propria dell'uomo del ventesimo secolo? No; ha avuto senza dubbio dei precedenti storici: ne ha avuto uno precisamente duemila anni fa.
Qualche riflessione s'impone. È luogo comune tra i pensatori e gli studiosi contemporanei affermare che la civiltà occidentale è in grave crisi. Paradossalmente, in taluni ambienti ecclesiastici, sembra esservi timore a riconoscere che la Chiesa stessa potrebbe essere coinvolta nella crisi che la circonda. Alcuni pensatori cattolici affermano perentoriamente che non si percepiscono segni di crisi nella Chiesa. Altri ammettono che vi è crisi nella Chiesa, e la spiegano semplicemente come un riflesso della crisi in cui si dibatte la cultura laica.
È possibile che il mondo in crisi coinvolga la Chiesa. Ma è ancor più certo che la Chiesa è chiamata a evangelizzare il mondo, e che le si offre una singolare occasione quando il mondo è in crisi. A un mondo in situazione analoga — materialmente potente, ma spiritualmente vuoto — Cristo inviò i suoi apostoli. E la giovane Chiesa dei primi secoli fu abbastanza forte e vigorosa da proteggere non solo sé stessa dai pericoli esterni, ma anche evangelizzare dall'interno la circostante civiltà pagana.
Il mondo pagano di duemila anni fa era pronto per l'evangelizzazione ne più ne meno del nostro. A prima vista quel mondo poteva sembrare chiuso al messaggio di Cristo, che lo chiamava a uscire dalle tenebre e a entrare nella sua meravigliosa ma esigente luce (cfr 1 Pt 2,9). Ma i primi cristiani, tutti apostoli, posero i loro concittadini pagani innanzi alle loro tenebre e li guidarono ad accogliere liberamente le esigenze della luce evangelica.
Che cosa conferiva tanta capacità di convincimento — di evangelizzazione — alla vita e alla leadership dei primi cristiani? Sulla base della loro fede e preghiera, una combinazione di certezza, unità e gioia: la certezza nella verità di Cristo, l'unità sotto il vincolo dell'amore e dell'autorità di Cristo, la gioia nella misericordia e nella grazia di Cristo.
Certezza, unità, gioia: le stesse qualità che tanto mancano nel moderno mondo secolarizzato. Qui possiamo davvero leggere i segni dei tempi e cogliere la sfida che esso ci pone. Se i cristiani di oggi sapranno vivere e dimostrare le medesime qualità dei loro fratelli dei primi secoli, anche i pagani contemporanei saranno condotti a Cristo.
Certezza
Quei cristiani che sono insicuri della loro fede non evangelizzeranno il mondo. È missione dei cristiani guidare il mondo, ma leaders incerti non sono in grado di guidare nessuno. Chi mai seguirebbe una guida che si mostrasse insicura della meta o del cammino, che non si fidasse delle istruzioni ricevute e alle quali dovrebbe attenersi, incerta dunque dei suoi stessi superiori?
Perché i pagani dovrebbero essere persuasi dall'immagine di una Chiesa in cui nulla fosse certo, nella quale sentissero dire: «Siete "liberi" di pensare e di fare ciò che volete»? Essi posseggono già quella "libertà", e incominciano a rendersi conto che pensare e fare ciò che si vuole può portare facilmente al disgusto: essi avvertono di essere in trappola e i cristiani sono chiamati a tirarli fuori.
È falso ritenere che l'uomo moderno rifugga dall'autorità. Come l'uomo d'ogni tempo, egli vuole un'autorità credibile. Quando vede che i cristiani seguono l'autorità della Chiesa con fiducia e volentieri — poiché vi ravvisano l'autorità di Cristo, nel quale hanno fiducia e che amano — è probabilmente indotto a pensare che il cammino all'apparenza duro che i cristiani cercano di seguire effettivamente è la buona novella.
Ciò non vuoi dire che l'immagine dell'autorità nella Chiesa non esiga miglioramenti. Se vi sono stati accenni di dominio, sfruttamento o irresponsabilità nell'esercizio dell'autorità ecclesiastica, essi devono oggi scomparire. L'autorità come servizio: è questa l'immagine che occorre presentare e la realtà da vivere.
Ma l'autorità deve permanere; in altre parole, deve essere esercitata. Solamente allora può riflettere l'immagine di Cristo, che ci guida nella verità e nell'amore e seguiamo in piena certezza.
La buona novella deve possedere certezza perché sia buona e possa destare attenzione. Le notizie non sicure — buone per la chiacchiera — interessano parzialmente; devono essere accertate prima di suscitare vero interesse.
Sulla base dell'affermazione che "un'opinione vale l'altra" non può essere! evangelizzazione. Se le mie notizie sono buone o cattive al pari delle tue, che cosa può importarmi diffonderle, o a tè ascoltarle? Solo la convinzione che il Vangelo è la buona novella — la migliore notizia — spinge le persone a comunicarla.
Un cristiano non persuaso di possedere la verità non è convinto di possedere Cristo. Solo i cristiani certi della fede hanno la possibilità di convincere gli altri. I cristiani persuasi a metà non potranno convincere parzialmente nessuno: la loro azione sarà del tutto fallimentare.
Unità
Unità e amore. I cristiani disuniti non evangelizzeranno il mondo. Perché mai qualcuno dovrebbe unirsi a persone discordi tra loro, che non si amano, o amano solamente coloro che vanno loro a genio? Cristo ha detto che dobbiamo amare persino i nostri nemici. Scelse l'amore come suo comandamento e dettò che fosse il segno distintivo dei cristiani: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35).
Mi viene in mente un fatto accaduto alcuni anni fa a Londra. Jan era venuto da un Paese dell'Europa orientale, per frequentare un corso di specializzazione postlaurea presso la London School of Economics. Il caso, o il disegno di Dio, lo portò in una residenza universitaria caratterizzata da un forte spirito cristiano. Jan, benché non credente e attivo comunista, aveva un animo buono e sempre più s'inserì in quell'ambiente di calore, di fiducia e di comprensione. Strinse così amicizia con Frank, collega di studi e cattolico convinto. Alla fine dell'anno, quando Jan era in procinto di tornare in patria, Frank mi disse (ero cappellano nella residenza universitaria): «Sto per fare una chiacchierata con Jan. Dice di non credere, ma potrebbe essere vicino alla fede. Qualcosa di quest'ambiente l'ha colpito». Più tardi, Frank mi raccontò come si era svolta la conversazione. «Vedi — aveva detto a Jan —, sia voi comunisti che noi cristiani vogliamo cambiare, rivoluzionare il mondo. Ma voi volete farlo con la forza, noi con l'amore». Gli spiegò allora il comandamento nuovo di nostro Signore e alcuni aneddoti, giunti fino a noi, su come i primi cristiani vissero quel comandamento e quali effetti produsse. Gli raccontò, per esempio, la storia di san Giovanni, che, ormai in tarda età, soleva ripetere ai suoi discepoli in Efeso: «Figlioli miei, amatevi gli uni gli altri», e quando infine uno di loro gli domandò: «Ma perché continui a ripetere sempre la medesima cosa?», l'Apostolo rispose: «Perché è il comandamento del Signore e, se lo si adempie, esso solo basta». O il commento pieno di meraviglia dei pagani sulla diversità che percepivano nei cristiani: «Guardate come si amano!...». Jan ascoltò attentamente e, dopo che l'amico ebbe finito, rimase a lungo in silenzio. Quando infine parlò, espresse un commento semplicissimo: «Guarda — disse —, se veramente credete questo, voi potete cambiare il mondo». È la testimonianza di un pagano del nostro tempo, impressionato dalla potenza e dalla bellezza del comandamento di Cristo; una testimonianza che assume per noi il significato di una sfida. I termini della sfida sono chiari: «Vediamo se voi cristiani siete capaci di vivere in tal maniera. Se lo siete, noi stiamo perdendo tempo: il mondo sarà di Cristo, non nostro».
In un mondo dove l'odio sembra guadagnare rapidamente terreno, la prima preoccupazione dei cristiani deve essere quella di vivere e diffondere l'amore. L'amore salva e conduce al Salvatore; è l'incontestabile testimonianza del discepolo di Cristo.
Quando i pagani vedono che abbiamo fiducia tra noi e negli altri, che siamo disposti a servire, che non nutriamo rancori, che sappiamo perdonare, che non assumiamo atteggiamenti negativi o di critica, che non siamo pettegoli o maldicenti, che non parliamo male di nessuno, cattolico o no, ne di chi sta "sopra" ne di chi sta "sotto", ne del vescovo, ne del Papa o di quel laico... allora possono ben dire: «Ecco gente diversa». Se essi non rinvengono qualcosa di molto particolare nel modo in cui i cattolici trattano sé stessi e gli altri, come sospetteranno mai che i cattolici seguono realmente Qualcuno del tutto particolare?
II nostro amore e la nostra unità non significano che non possano esserci diversità. Siamo tenuti a essere diversi gli uni dagli altri: non nelle cose essenziali — altrimenti l'unità verrebbe distrutta —, ma certamente negli aspetti accidentali.
Il nostro amore e la nostra unità non si mostrano nel non avere diversità, ma nel modo in cui esse vengono esibite: senza autocommiserazioni, senza toni lamentevoli, senza sterile vittimismo, senza dubitare della buona fede degli altri, senza attaccare le persone, senza rompere la fondamentale comunione e disciplina ecclesiale.
La Chiesa non è una società di dibattiti; non è un'assemblea o un parlamento; non è uno Stato mono o pluripartitico. La Chiesa è una famiglia; e una delle principali testimonianze che può dare al mondo si rinviene nel fatto che fratelli e sorelle, nonostante diversità del tutto accidentali, possano trovare ancora buono e gradevole vivere uniti in una sola famiglia (cfr Sal 132,1).
La preoccupazione per i poveri è un àmbito specifico in cui i cristiani possono manifestare lo spirito di Cristo. Che il mondo sia colpito quando vede una sollecitudine genuinamente cristiana per i malati e per i poveri è evidenziato, per esempio, dalla reazione della gente innanzi a Madre Teresa di Calcutta o a Giovanni Paolo II. È invece piuttosto dubbio che il mondo ravvisi una testimonianza a Cristo nel lavoro dei "cristiani per il socialismo"; la questione non è ovviamente che i "teologi marxisti" mostrano preoccupazione per i poveri, ma se una teologia che si ispira al marxismo possa condurre a una loro autentica liberazione. Il Papa e il Magistero hanno risposto negativamente segnalando invece ancora una volta le vere vie cristiane per la liberazione dalle ingiustizie sociali ed economiche e, soprattutto, dal peccato. È comunque chiaro che la testimonianza che alcuni teologi della liberazione danno al mondo è un'incontestabile testimonianza resa a Marx, mentre è molto opinabile che testimonino Cristo. II nostro amore per i poveri deve essere permeato dalla convinzione che tutti gli uomini sono poveri. La scelta preferenziale di Cristo è per i peccatori, il che significa per noi tutti. Quando nessuno resta escluso dal nostro amore, allora diamo testimonianza a Cristo.
Gioia
I cristiani pessimisti e malcontenti non evangelizzeranno mai il mondo. Perché mai bisognerebbe essere attratti da una Chiesa triste?
Nei seguaci di Cristo il mondo non cristiano o postcristiano di oggi deve incontrare Cristo, il Cristo che serve e soffre, ma serve e soffre nella gioia. Se l'immagine che i cristiani presentano al mondo non è quella di un gioioso servizio, ma l'immagine della protesta, del malumore e dell'autocompassione, non può essere! evangelizzazione.
La gioia cristiana possiede un fondamento sorprendente. Come afferma Chesterton, è la gioia di trovarsi non al posto giusto, ma al posto sbagliato. Eravamo perduti, ma Qualcuno ci ha ritrovati e ci sta conducendo a casa. È gioia non perché tutto ciò che ci accade è bene, non è così, ma perché Qualcuno sa trame profitto per il nostro bene. La gioia cristiana deriva dal saper fronteggiare l'unica cosa brutta della vita, che è il peccato; e dal saper contrastarlo con un fatto gioioso, ancor più reale e più forte del peccato: l'amore e la misericordia di Dio.
Alcuni avversari del cristianesimo l'accusano di aver nociuto all'umanità introducendo il senso del peccato in un mondo che, prima di Cristo, sarebbe stato un mondo felice e sereno. È un'accusa assolutamente falsa. Il mondo pagano di duemila anni fa era profondamente turbato e infelice. Come sa chiunque conosca la letteratura classica di quel periodo, il mondo pagano era assillato dal senso della colpa e del peccato. Il cristianesimo non ha portato il senso di colpa; ha portato la realtà del perdono. Là dove era ininterrottamente presente la malattia che devastava il cuore dell'uomo. Cristo portò la guarigione.
Quel che realmente distrugge la felicità dell'uomo non è la povertà, la fame o la malattia. S'incontrano persone povere, malate e persino affamate che sono tuttavia felici, così come s'incontrano non poche persone ricche e ben pasciute che sono infelici. Quel che distrugge la felicità di un uomo non è ciò che gli altri, la vita o la sorte, possono arrecargli: è ciò che fa a sé stesso; è la deliberata scelta di essere egoista e peccatore.
Per ricuperare la felicità deve permettere che Dio gli perdoni; per parte sua, l'unica cosa da fare è chiedere perdono.
«Convertitevi e credete al Vangelo»: è con queste parole che Gesù ha cominciato la sua predicazione (Me 1,15). Finché l'uomo contemporaneo non ricupera la coscienza del peccato e si pente, tutte le "buone nuove" del mondo — il denaro, il potere e il piacere che può trovare sul suo cammino — non lo renderanno felice, perché la radice della sua infelicità rimane nel suo intimo.
Senza pentimento, le buone nuove non saranno realmente buone. E senza la fede, le notizie cattive — la malattia, il dolore e soprattutto l'inesorabilità della morte — continueranno a essere cattive.
I cattolici d'oggi rispecchiano l'immagine di persone che trovano la gioia nel pentimento? Ne dubito. Temo che l'immagine proiettata da alcuni sia quella di chi desidererebbe veder rimosso ogni divieto di peccato, di modo che i cristiani possano essere pagani come gli altri.
La Chiesa — dicono — deve muoversi al passo coi tempi, e perché possa ancora avere credibilità dichiarare che la contraccezione non è peccato; così come non sono peccato il divorzio e le relazioni extraconiugali, i rapporti prematrimoniali, l'aborto...
Ma è forse questo il cammino del Vangelo, della fede, della gioia e dell'evangelizzazione?
Ora — prosegue il messaggio di questi "liberali" — guardate la nostra nuova Chiesa; se uno diventa cattolico può continuare a essere così com'è. Al che si potrebbe rispondere: «Io mi aspetto che la Chiesa mi mostri la strada per non continuare a essere così come sono. Non consiste forse in questo la redenzione?».
Perché mai i pagani di oggi dovrebbero lasciarsi attrarre verso la Chiesa se viene loro detto: «Nella Chiesa cattolica avrete ora la libertà di seguire ogni impulso sessuale senza alcun rimorso di coscienza, e senza che nessuno vi dica che ciò che fate è male?». È questa la gioiosa novella che dovrebbe affascinarli? Non precipiteranno nella noia? O magari risponderanno: «Noi abbiamo già quella libertà..., anche se abbiamo rimorso per molte cose e la nostra coscienza (quando l'ascoltiamo) ci dice che sono male. Quel che cerchiamo è qualcuno — degno di fede — che ci dica che la nostra strada è sbagliata e soprattutto che metta fine a quei rimorsi, a quel turbamento interiore, dicendoci che, benché siamo peccatori, possiamo essere perdonati se ci pentiamo. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a pentirci. Non vogliamo che ci venga detto che non siamo peccatori: vogliamo che i nostri peccati siano perdonati».
Il mondo contemporaneo non vuole sentir dire che per i cristiani il peccato non esiste più, ma che esiste per tutti gli uomini il perdono del peccato.
In sostanza, perché le persone dovrebbero essere attratte verso la Chiesa se i cristiani, al pari dei marxisti, dicono che occorre cambiare le strutture? Forse queste devono cambiare, ma ciò non è un messaggio di salvezza. Il messaggio salvifico non è che la "società" sarà salva se cambiamo le strutture, ma che io mi salverò se cambio. Il messaggio salvifico è che mi sia detto come posso cambiare, nonostante sia consapevole che da solo non è possibile; che mi si dica che non sono solo, che Cristo, cioè Dio, è con me con la sua divina misericordia e con la sua potenza; e che mi si guidi alle sorgenti di quella misericordia e di quella potenza. Solo alla superficie del suo essere l'uomo desidera udire: «Stai bene»; nel profondo, nella sincerità del cuore, egli sa che la verità è tutto l'opposto.
I cristiani devono avere l'elementare senso psicologico di rendersi conto che è così. Devono altresì sviluppare la capacità di giungere al cuore delle persone destandone la più profonda sincerità e la più vera consapevolezza. E allora saranno in grado di comunicare il messaggio cristiano nella sua pienezza: «Non stiamo bene; ma vi è Qualcuno che ci ama nonostante tutto, ci perdona, ci rende puri e ci fortifica... Andiamo da lui...». Sarà soprattutto con la gioia delle loro vite, rinnovate dal perdono divino, che potranno comunicarlo.
Livello di vita
Gioia nel pentimento. E gioia nella fede: nel credere che ci ha perdonati un Dio buono, "incredibilmente" buono, tanto da essere per l'appunto il Bene in sé [1].
La gioia dei cristiani è soprattutto conseguenza di aver trovato Dio, bontà infinita, che ci chiama a sé. La fede e la speranza sono il fondamento della gioia cristiana. Dio è buono, mi ama, mi purifica e mi chiama a partecipare alla sua eterna felicità.
Il desiderio di un più alto livello di vita: ecco forse un altro segno dei tempi. Se è questo che l'uomo vuole, i cristiani possono dirgli che gli viene offerto il livello di vita di Dio stesso. E la vita cui i cristiani partecipano già e che sperano di possedere in tutta la sua pienezza per sempre in cielo. La gioia che viene da questa fede e da questa speranza è a prova di tutte le vicissitudini. A differenza delle altre gioie, nessun uomo e nessuna cosa al mondo ce la possono togliere (cfr Gv 16,22).
Insieme alla guarigione dal peccato, Cristo ci ha donato la vittoria sulla morte, altra grande nemica della gioia. Il pensiero della morte amareggia ogni gioia pagana. Nessuna filosofia, nessuna ideologia, può dare all'uomo una reale felicità se non pone rimedio alla capacità che la morte ha di uccidere la gioia. È qui la potenza del messaggio cristiano: Cristo ha vinto la morte; se lo seguiamo, non dobbiamo averne paura: passeremo attraverso di essa per giungere alla vita eterna.
Al pari di Gesù Cristo, i cristiani devono guidare il mondo con autorità (cfr Mt 7,29). La certezza della verità di Cristo conferisce autorità al lavoro di evangelizzazione, mentre i dubbi lo privano di autorevolezza. L'unità di vita dei cristiani conferisce autorità al messaggio cristiano, che è invece inficiato dal dissenso e dalla disunione. La gioia dei cristiani conferisce autorità al messaggio di cui sono latori, mentre le legnanze e il malcontento lo esautorano.
Più certezza, più unità, più gioia: è questa la formula per l'evangelizzazione. È una formula non per le strutture, ma per le persone. L'uomo d'oggi, per essere condotto a Cristo, ha bisogno non di una Chiesa ristrutturata o rimodellata — mai si incontra con "la Chiesa" —, ma di cristiani ben formati, rinnovati; si incontra con i cristiani ogni giorno, anche se non se ne rende conto. Siamo noi che dobbiamo essere rinnovati, e allora condurremo gli uomini a Cristo.
La conoscenza di sé — l'assunzione delle proprie debolezze — conduce al pentimento e quindi alla "gioia della salvezza" (cfr Sa? 51,12). Solo quando abbiamo scoperto il carattere intensamente personale della buona novella siamo in grado di diffonderla.
Smettiamo perciò di lamentarci delle strutture o di mettere morbosamente in risalto i punti deboli della Chiesa; deplori ognuno i suoi punti deboli, quelli sì da cambiare, usando della forza della Chiesa per farlo. Potremo allora aiutare l'uomo pagano di oggi a scrutare la sua anima, così da porlo innanzi alle sue debolezze e costatare che proprio la verità del cristianesimo può porvi rimedio.
Il Vangelo non è un manifesto sociale, e ancor meno un programma organizzativo; è la buona novella della salvezza e destino personale. La Chiesa è stata incaricata di trasmettere questo messaggio a tutti gli uomini. Perciò la barca della Chiesa — quale che sia il mare o l'epoca che attraversa — è sempre in missione di salvataggio. La sindrome della "lotta per il potere" minaccia di ossessionare l'equipaggio della barca con problemi del tutto secondari — "chi deve guidare la barca?", "quale rotta prenderemo?" — e gli impedisce di vedere che il mare tutt'intorno è pieno di persone in procinto di annegare.
Anche la Chiesa delle origini dovette superare scissioni e rivalità che minavano la comunione ecclesiale e paralizzavano l'evangelizzazione. Le lettere di san Paolo ai Corinzi dimostrano la preoccupazione dell'Apostolo per le tendenze intellettualistiche di quei cristiani ancora immaturi, e che erano tanto insidiose da separarli dal Corpo di Cristo e impedir loro di incarnare il messaggio cristiano e diffonderlo.
Dinanzi ad essi Paolo non esita a difendere la sua autorità apostolica. Non è la preoccupazione per il potere o per un qualche privilegio che lo induce a far questo, ma semplicemente il suo senso di responsabilità verso la divina istituzione della Chiesa. Fin dall'inizio, parla loro "col linguaggio della Croce" e ricorda che se anche la Croce può sembrare illogica e persino una pazzia agli occhi umani, di fatto rappresenta la potenza e la sapienza di Dio (cfr 1 Cor 1,18-25). Con profondo affetto e forti rimproveri, li spinge a superare i dissensi, gli esclusivismi, la tendenza a conformarsi ai modi di vivere pagani.
Il suo cuore di apostolo sembra irritato e preoccupato per la loro presunzione e ristrettezza di vedute. Non era contento dei Corinzi, così come non lo era di altre comunità cristiane da lui fondate. Se li spinge a vivere "in perfetta unione di pensiero e d'intenti" (1 Cor 1,10) è, senza dubbio, perché comprende che in tal maniera il messaggio evangelico potrà essere diffuso da loro con lo stesso vigore con cui, per esempio, lo propagarono i Tessalonicesi (1 Ts 1,7-8) o i Filippesi (Fil 1,4).
Se Paolo fosse qui con noi, credo che non porrebbe minor vigore nello spingerci a vivere l'unità nella fede e l'integrità nella morale cristiana. Ci ricorderebbe che Cristo non disse di sciupare le nostre energie ragionando di nuove strutture ecclesiali o di nuove prospettive nel governo della Chiesa; il Signore comandò risolutamente di andare a evangelizzare il mondoCi ricorderebbe, l'Apostolo, che inizieremo a evangelizzare solo quando smetteremo di rivaleggiare per un posto nella Chiesa; e ci esorterebbe a servire — ciascuno in modo peculiare — nel mondo, accettando pienamente l'autorità di Cristo, il giogo di Cristo, la Croce di Cristo, talché le nostre vite, nonostante tutte le personali debolezze, possano riflettere lo spirito del Signore e trasmettere il suo messaggio di salvezza.
NOTE
[1] La Chiesa non deve temere di "perdere credibilità". Come Gesù, deve invitare gli uomini ad avere fede. "Credibile" significa "capace di essere creduto". Dio, la Chiesa, i sacramenti, la legge morale cristiana... sono tutte realtà credibili se abbiamo fede. Se invece non siamo disposti ad avere fede, esse diventano incredibili; la loro infinita ricchezza si fa per noi inaccessibile e rimaniamo impaniati nelle nostre vite meschine.