10. CHIESA GIURIDICA O CHIESA CARISMATICA?

    Legge e Chiesa: per alcuni queste due realtà non si armonizzano; piuttosto, sembrano contraddittorie.

    L'idea che legge e Chiesa siano in opposizione è spesso espressione della sindrome "legge contro libertà", che abbiamo già esaminato. Supponendo che la legge restringa l'ambito della libertà, taluni sostengono che la legge non ha posto nella Chiesa, dato che è nemica della libertà che ai cristiani compete come figli di Dio (cfr Rm 8,22). Abbiamo cercato di analizzare l'erroneo ragionamento che regge questa posizione, chiarendo che la legge è necessaria per gli individui e per le società proprio per proteggere la libertà personale, per garantire la libertà nelle reciproche relazioni e per salvaguardare i diritti contro l'uso arbitrario del potere.

    Altri, in ricerca di una motivazione teologica più profonda per la loro obiezione, asseriscono che Cristo ha fondato una Chiesa essenzialmente spirituale, e che tutte le strutture istituzionali e giuridiche presenti nella Chiesa sono immissioni umane posteriori, non conciliabili con l'intenzione di Cristo e con la natura originaria della Chiesa da lui fondata.

    Non sembra proprio che la questione si possa dirimere secondo preferenze personali, cioè secondo il tipo di Chiesa che ciascuno di noi vorrebbe o preferirebbe. Deve invece esser chiarita cercando di vedere quale figura di Chiesa Cristo ha voluto ed ha effettivamente istituito.

    Quanti sostengono la tesi che Gesù volesse costituire una Chiesa di natura meramente spirituale, non istituzionale e non giuridica, incorrono subito in due principali difficoltà: teologica l'una, storica l'altra.

    La difficoltà teologica

    Questa difficoltà consiste nel fatto che una Chiesa meramente spirituale sarebbe in totale disarmonia con la modalità concreta del piano di Dio per la nostra salvezza, il piano cioè dell'Incarnazione.

    La redenzione dell'uomo non è stata compiuta in modo invisibile, anche se poteva esserlo: Dio avrebbe potuto scegliere altre strade che non fossero l'Incarnazione per salvare il genere umano. Avrebbe potuto giustificare ogni anima con un procedimento del tutto nascosto, comunicando la grazia a ciascuna direttamente. Ma, di fatto, Dio non scelse una tale modalità meramente spirituale per salvare l'uomo. Dio venne in terra per attuare la nostra salvezza, e la sua venuta non fu invisibile. Dio, che è Spirito, scelse di manifestarsi fisicamente; si rivestì di materia al fine di salvarci. Scelse di diventare uomo, assumendo una natura corporea tangibile, udibile, reale...

    Qual era lo scopo della redenzione che operò? Egli volle non solo liberare gli uomini dal potere del peccato e del demonio; volle anche dar loro un nuovo destino chiamandoli a partecipare della sua filiazione divina mediante il contatto salvifico con la sua santa umanità.

    Ci salvò per i meriti di ognuno dei suoi atti di uomo-Dio, dal primo vagito nella mangiatoia al suo ultimo grido di agonia sulla Croce. Ma egli è venuto anche a rivelare sé stesso, a insegnare agli uomini con le parole e l'esempio, e a santificarli mediante la sua presenza e la sua potenza.

    La rivelazione di sé è operante già in quei trent'anni di vita nascosta; vi è tanto per noi da scoprire, ci sono tante lezioni racchiuse. Tuttavia, la sua eminente autorivelazione si ha durante la vita pubblica, nel breve spazio di tre anni; in quei circa trenta mesi si rivela nel modo più pieno: come padrone di tutto il creato, come Signore di tutto il genere umano, come Maestro divino, le cui parole sono verità e conducono alla vita, come divino Medico e Salvatore, che cura, nutre, libera, perdona e chiama gli uomini dalla morte alla vita con la potenza di Dio.

    Durante quei trenta mesi gli uomini poterono ascoltare la voce non di un semplice profeta, ma la voce di Dio stesso che parlava in linguaggio umano di cose divine e umane. Erano in grado di fargli domande e ascoltarne le risposte; potevano essere toccati, curati, nutriti, guidati da lui; avevano un immediato contatto fisico con Dio fatto uomo.

    Che questi immensi benefici potessero essere ricevuti solamente da pochi, e per un breve periodo di tempo, fu conseguenza necessaria del fatto che egli aveva scelto un concreto corpo fisico il quale, dopo aver operato in mezzo agli uomini, salì in cielo il giorno dell'Ascensione. Quando Dio scelse di dimorare nel corpo umano di Gesù Cristo si produsse un eccezionale e irripetibile incontro tra l'uomo e Dio. Ma Dio non intese limitare questo incontro a un unico momento nella storia o a pochi uomini privilegiati. Volle che la potenza e la presenza della sua Incarnazione giungessero a tutti gli uomini, in ogni terra. Si percepisce così la logica divina della sua decisione di dimorare in un altro corpo, sempre suo, ma capace di essere presente in tutti i luoghi e in tutti i tempi; un corpo che avrebbe parlato ancora con la sua voce, curato con la sua misericordia, nutrito con la sua carne, governato con la sua autorità: il mistico — benché visibile — corpo della Chiesa.

    La logica della Chiesa come Corpo di Cristo ' è semplicemente la logica dell'Incarnazione che continua. È l'applicazione ininterrotta di un principio generale e fondamentale che connota l'intera modalità della nostra salvezza: il principio sacramentale, in base al quale Dio usa materie e realtà naturali come mezzi per comunicare beni spirituali e raggiungere fini soprannaturali.

    La Chiesa è nella linea dei sacramenti, perché l'una e gli altri. Chiesa e sacramenti, sono sul piano dell'Incarnazione. Il principio dei sacramenti è lo stesso principio dell'Incarnazione: una realtà visibile che significa e comunica la grazia invisibile. In senso reale, l'umanità di Cristo è un sacramento: è il primo sacramento. E nella logica dei piani di Dio, anche la Chiesa ha la natura di un sacramento2: essa esiste, è visibile, tangibile, udibile, attiva, così che gli uomini di tutti i tempi possano avere contatto personale col potere salvifico dell'uomo-Dio.

    La sacramentalità della Chiesa è fondamentale per comprenderne la natura visibile. È anche un aiuto per evitare ogni "scandalo" di fronte ai difetti che possono insorgere nelle membra che costituiscono questo Corpo di Cristo, cioè negli uomini che lo compongono. Data la nostra natura umana, è giocoforza che i difetti appaiano; bisogna pregare e lavorare per rimuoverli; l'ideale sarebbe che non vi fossero, ma la loro presenza non rende necessariamente inefficace la grazia e non ne impedisce la comunicazione.

    Il segno usato in un sacramento può non sempre significare così chiaramente come si vorrebbe. L'acqua adoperata nel Battesimo deve significare purificazione e perciò deve essere pulita. Ma Dio può servirsi anche di acqua sporca come strumento per produrre la purificazione interiore delle anime. Così avviene per la Chiesa, come segno e strumento: vediamo le membra visibili della Chiesa e i loro difetti, ma non vediamo l'opera invisibile dello Spirito Santo.

    Il principio sacramentale — lo spirito che opera attraverso la materia — comporta il rischio di causare scandalo, almeno nelle persone "iperspirituali". Dio sapeva che, scegliendo di operare attraverso l'umanità di Gesù Cristo, taluni si sarebbero scandalizzati; ma il rischio dello scandalo è incomparabilmente più grande quando egli sceglie di operare attraverso la nostra umanità.

    La difficoltà storica

    La seconda difficoltà in cui incorrono i fautori di una Chiesa esclusivamente spirituale consiste in ciò che Gesù realmente ha fatto. Che contrasti, quali sorprese nel modo di agire del nostro Salvatore! Per le nostre menti umane esso è pieno di misteri e di paradossi.

    La vita nascosta di Gesù sembra essere stata caratterizzata dalla pace e dalla calma. La sua vita pubblica lascia invece trasparire un peculiare senso di premura, di urgenza.

    C'è urgenza nelle sue azioni (cfr Lc 4,42-44; Mc 14,42), così come nella sua predicazione e nelle sue parabole (cfr Mt 24,42-44; Lc 14,21). Ha un'acuta consapevolezza del tempo (cfr Mt 26,18; Gv 2,4,; 7,6; 7,30; 11,9; 13,1) e s'impegna risolutamente a farne buon uso (cfr Lc 9,51; Gv 9,4; 13,27).

    E tuttavia egli è padrone del tempo, dello spazio e del mondo intero. Come canta la Chiesa al Sabato Santo: «Suo è il tempo e sua l'eternità».

    Cristo aveva una quantità di cose da fare e nondimeno si concesse ben poco tempo per farle. Aveva una quantità di terre da percorrere e tuttavia non si mosse da un piccolo angolo dell'impero romano.

    Avrebbe potuto decidere di passare altri trenta o sessant'anni a insegnare, a operare miracoli, a formare i suoi apostoli, portando la sua parola e la sua potenza fino ai confini della terra. Aveva fretta di usare il suo tempo, ma non lo prolungò. Aveva fretta di andare in altre città e luoghi d'Israele (cfr Le 4,43), ma non proferì che poche parole fuori di questa regione.

    La sua fretta è piena di mistero; un mistero che diviene ancor più profondo quando ci accorgiamo che ha altresì fretta di scomparire dalla scena visibile (cfr Gv 16,7).

    Quanto sarebbe stato più logico ed efficace — per il nostro modo umano di pensare — se egli, che morì pubblicamente sulla Croce davanti a tutta Gerusalemme, fosse risorto con pari pubblicità. Che colpo sarebbe stato per il popolo ebreo e per il mondo intero! E che conferma per la nostra fede! E invece la sua risurrezione rimase nascosta a tutti, fuorché a pochi eletti. Avrebbe potuto risorgere in pubblico trionfo, ma non scelse questa strada.

    Che cosa voleva dire affermando che sarebbe stato meglio per noi se egli se ne fosse andato (cfr Gv 16,7)? Non ci sembra tanto ovvio; non sarebbe stato sicuramente meglio per noi se fosse rimasto? Quanto più logico sarebbe stato, a nostro giudizio, se non fosse salito al cielo dopo soli quaranta giorni, ma fosse rimasto, col suo corpo risorto e glorioso, come Capo visibile della Chiesa sino alla fine dei tempi. La nostra fede in lui e la nostra sequela sarebbero state molto più concrete e facili.

    Egli chiaramente non ha voluto che la nostra fede in lui fosse resa più facile per questa via; ha voluto che fosse effettiva: fede nella sua presenza reale nella Chiesa; ma ha voluto che questa fede fosse soggetta a una peculiare difficoltà: credere che lui è presente nella sua Chiesa in e attraverso (e talvolta persino nonostante) coloro che la costituiscono e, specialmente, la governano.

    Lasciò la Chiesa neonata priva della sua presenza visibile, ma non senza Capo ne senza di lui: la sua persona, la sua potenza, la sua autorità, i suoi doni, la sua grazia, il suo culto, tutto rimane nella sua Chiesa, ma vi resta negli e per mezzo degli uomini.

    Per assicurare la continuazione della sua opera salvifica, Gesù non scelse dei puri spiriti; avrebbe potuto attuare l'opera sua per mezzo di angeli, come aveva fatto per annunciarne l'inizio (cfr Le 1,11; 1,26; 2,9). È evidente che gli angeli, essendo confermati in grazia, sarebbero stati molto più credibili; non ci si può immaginare Gabriele che adempie la sua missione di mala voglia, o sfuggendo alle proprie responsabilità, come fecero — per esempio — Giona o Dema (cfr 2 Tm 4,10). Ma Cristo non scelse degli angeli; bensì uomini: dei malfidi e volubili uomini. Inoltre, non scelse dei geni: Paolo costituisce senza dubbio un'eccezione, ma è venuto dopo; agli inizi, Gesù scelse uomini molto comuni e pieni di debolezze. I difetti degli apostoli sono ben visibili attraverso le pagine evangeliche. E tuttavia essi, quei pescatori e contadini di Galilea così pieni di difetti, vanesi e codardi, dovevano diventare le colonne della Chiesa e la guida del suo popolo.

    Gesù chiamò a sé alcuni discepoli e, tra di essi, ne scelse dodici (cfr Mc 3,13-14), che dovevano continuare la sua missione (cfr Gv 15,16). Li investì di potere, del suo potere e di quello dello Spirito Santo:

    — per insegnare la sua verità salvifica a tutte le nazioni (cfr Mt 28,19-20; At 1,8);

    — per governare nel suo nome (cfr Mt 16,18-19; 18,18; Le 10,16);

    — per purificare le anime, perdonare loro e nutrirle, e per offrire il sacrificio della sua morte e risurrezione (cfr Gv 20,22-23; Lc 22,19; 1 Cor 11,23-27).

    L'affermazione perciò che la Chiesa come istituzione, e concretamente nella sua struttura gerarchica, non fosse nel pensiero e nelle intenzioni del Gesù storico, è contraddetta da quanto la storia effettivamente ci dice sulle azioni, sui propositi espressi e sul disegno del Signore.

    La vita della Chiesa fin dall'inizio è stata l'esperienza della presenza e dell'azione di Cristo, entro e nonostante i limiti, i difetti e i peccati degli uomini. Vi sono pertanto due modi di considerare la storia passata della Chiesa e la sua vita presente: con fede, e allora vediamo o intuiamo l'opera di Cristo e ce ne rallegriamo; oppure con visuale solo umana, tale da indurci a vedere unicamente l'opera e i difetti degli uomini, e allora siamo facilmente inclini allo scoraggiamento e allo scandalo.

    La Chiesa delle origini

    Accanto ai fatti storici della vita di Cristo, occorre storicamente considerare le azioni dei suoi primi seguaci, subito dopo l'Ascensione e la Pentecoste.

    Fin dai primissimi momenti i cristiani appaiono come una comunità organizzata, uniti non solo nella fede e nel Battesimo (cfr Ef 4,5), ma anche nel governo e nella disciplina. La Chiesa primitiva appare fin dall'inizio come un corpo giuridicamente e gerarchicamente strutturato, dotato di supervisori e di governanti (cfr At 20,28; 1 Pt 5,3; 1 Tm 3,2; eccetera) che agiscono con pieno senso di autorità, consapevoli del loro potere di organizzare (cfr Tt 1,5), di governare ed emanare leggi (cfr At 15,23 ss.; 1 Cor 6,l; 1 Cor 7,12ss.; eccetera), di giudicare e punire (cfr 1 Cor 4, 18-21; 2 Cor 10,5-6; 2 Cor 13,10; eccetera).

    È vero che la maggior parte delle leggi positive della Chiesa è stata promulgata dopo l'età di Cristo. Era inevitabile, poiché la legge positiva deve svilupparsi dalla vita3, corrispondere alla vita, andare di pari passo con la vita mantenendola in linea col diritto oggettivo e con la giustizia.

    In effetti, solo con lo sviluppo della Chiesa divenne manifesta l'esigenza della legge ecclesiastica, che fece la sua comparsa come risposta a situazioni e necessità concrete, e definì le strutture fondamentali e le principali linee di forza4 che davano coesione alla comunità in rapida espansione.

    Fin dai primordi vediamo dunque che leggi e provvedimenti amministrativi accompagnano la diffusione del Vangelo. Gli Atti degli apostoli forniscono esempi tanto su punti relativamente minori quanto su questioni di rilievo.

    Così, vivere veramente lo spirito evangelico di generosità pone ben presto problemi amministrativi: le donazioni spontanee costituiscono un fondo; ma, una volta istituito, occorre amministrarlo, e la gestione a vantaggio delle vedove e dei poveri diviene un compito che assorbe molto tempo. Ne vengono allora incaricati i diaconi, che sono i primi amministratori ecclesiastici (cfr At 6).

    Bisogna scegliere qualcuno che sostituisca Giuda tra gli apostoli designati da Gesù. Si sarebbe potuto attendere un intervento divino diretto, come accade per la scelta di Paolo. E invece no: Pietro, senza esitare, coinvolge la comunità in una procedura umana di scelta. Ricorda ai suoi fratelli nella fede quanto l'elezione sia importante; essi pregano perché Dio indichi la sua preferenza, ma non si aspettano che lo faccia con miracolosi segni esterni. Si avvalgono di un criterio elettorale, e tutti ne accettano il risultato come vincolante e come segno che lo Spirito Santo ha operato la scelta attraverso questo loro atto di governo (cfr At 1,15-26).

    Man mano che la comunità si espande, emergono dei problemi che richiedono una soluzione giuridica, specialmente quando la Chiesa, originariamente composta di Ebrei che volevano conservare le loro usanze tradizionali, comincia ad accogliere i pagani convertiti, in adempimento della sua missione universale. Ciò da origine al più rilevante esempio di azione giuridica positiva nella Chiesa primitiva: il Concilio di Gerusalemme (intorno all'anno 50 dell'era cristiana), con le sue deliberazioni e le sue decisioni autorevoli e vincolanti, che esentano i pagani convertiti da un importante obbligo della legge ebraica (cfr At 15).

    Nel considerare la crescita della legislazione disciplinare e amministrativa nella Chiesa primigenia, è importante notare che gli apostoli e i presbiteri, nell'esercitare la funzione di legislatori, erano chiaramente consapevoli non solo di adempiere la missione assegnata da Cristo, ma anche che quanto decidevano proveniva in realtà da Dio oltre che da loro. È sufficiente richiamare le parole sorprendenti con cui annunciano le decisioni prese nel Concilio di Gerusalemme: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...». E merita sottolineare che le decisioni di cui parlavano erano sostanzialmente decisioni disciplinari, nonostante il notevole risvolto teologico.

    Il principio dell'Incarnazione

    La storia mostra quindi ciò che la teologia dovrebbe annunciare: Gesù, allo scopo di perpetuare la sua missione salvifica sulla terra, ha seguito il modello dell'Incarnazione nel fondare la Chiesa; una società divina e umana al tempo stesso. Perciò, una società peculiare e unica: una società formata da uomini e dallo Spirito Santo; una società con fine soprannaturale — la salvezza degli uomini —, ma con una struttura visibile e tangibile.

    Di conseguenza, alla domanda se la Chiesa debba essere carismatica o giuridica, spirituale o gerarchicamente istituzionale, la risposta è che deve essere l'una e l'altra cosa5. Proprio come un sacramento, essa è tanto materiale quanto spirituale e, nel disegno di Dio, lo spirituale opera attraverso il materiale.

    «La società costituita di organismi gerarchici e il Corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale, la Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due realtà, ma formano una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino. Per una non debole analogia, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta è a servizio del Verbo divino come vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa è a servizio dello Spirito di Cristo che lo vivifica, per la crescita del corpo» (LG 8).

    Non si insisterà mai abbastanza che ciò è semplicemente la continuazione del principio stesso dell'Incarnazione. Cristo è Dio materializzato in un punto della storia e dello spazio; e la Chiesa è l'opera e l'azione di Cristo materializzate attraverso il tempo e lo spazio (cfr AG 5). Un Dio materializzato, benché spirituale; e una Chiesa materiale, benché spirituale.

    Cristo ci viene incontro tramite la Chiesa e noi dobbiamo andare incontro a Cristo attraverso di essa. Chi vuole Cristo senza la Chiesa, desidera avere Cristo alle proprie condizioni e — tutt'al più — otterrà "una parte" di Cristo, una parte della sua verità, della sua grazia, della sua volontà e del suo amore. Chi vuole Cristo alle condizioni di Cristo, deve accettare Cristo "intero" nella Chiesa e attraverso di essa; allora sarà in grado di ricevere tutto ciò che Cristo offre.

    "Frugare e scegliere" nella verità di Cristo, così come è presentata nella dottrina della Chiesa, è un atteggiamento eretico. "Frugare e scegliere" nella volontà di Cristo, così come è presentata nella legge e nella disciplina della Chiesa, è un atteggiamento scismatico. Si tenga presente che lo scismatico rimane unito nella fede, nel culto e nei sacramenti, ma non nella disciplina. Qui rompe la comunione; vuole aderire alla verità di Cristo, ma non è disposto ad accogliere fondamentali espressioni ecclesiali della sua volontà: egli divide Cristo.

    Verso una Chiesa più santa?

    Cristo è Dio e uomo; la sua Chiesa è divina e umana. Gesù ha voluto avere un corpo, un vero corpo umano. In tal maniera ha voluto assoggettarsi alle necessità, strutture e limiti del corpo, così come alle sue leggi di crescita (cfr Lc 5,22). Ha voluto avere una bocca per parlare, ma anche per mangiare e per bere, gambe per camminare, mani per lavorare come artigiano e, alla fine, per essere crocifisso.

    Analogamente, nel fondare la Chiesa visibile — anch'essa corpo suo, ma con membra che sono uomini — ha voluto un corpo strutturato in un certo modo, un corpo destinato ad ampliarsi e a crescere in un mondo visibile, un corpo con necessità sia materiali che spirituali; un corpo, peraltro, con membra sofferenti e sfigurate, e persino atrofizzate e come morte, ma che possono ancora essere richiamate in vita. Tuttavia il corpo rimane santo.

    La Chiesa non è un corpo umano che noi dobbiamo perfezionare; è un corpo divino, costituito di membra umane che hanno bisogno, esse sì, di divenire perfette. Ma gli elementi divini nella Chiesa restano sempre santi, e possono santificarci se nei loro confronti teniamo un santo atteggiamento.

    La Messa è la santa Messa, anche se il celebrante fosse il più grande e il più impenitente peccatore. Noi non possiamo rendere più santa l'Eucaristia; siamo noi che diveniamo più santi quando la offriamo o la riceviamo; e possiamo farlo in un modo più santo: con più fede e più amore.

    Come è santa l'azione di Cristo nei e attraverso i sacramenti, così è santa la sua azione di insegnarci e di guidarci mediante il Magistero della Chiesa. Non possiamo rendere più santo l'insegnamento della Chiesa; possiamo invece rendere più santo il nostro atteggiamento verso di esso, ascoltarlo più santamente, cioè con più fede e gratitudine, ravvisandovi la voce e la guida di Cristo: «Chi ascolta voi, ascolta me».

    Proseguendo il paragone coi sacramenti, occorre aggiungere che, sebbene gli uomini non possano rendere più santa l'Eucaristia, essi possono svolgere le celebrazioni liturgiche in modo tale da rendere più o meno evidenti la santità e l'efficacia santificatrice dell'Eucaristia. Analogamente, gli uomini non possono rendere più santa la parola di Dio, così come è recepita nella Scrittura e nella Tradizione ed è insegnata dalla viva voce di Cristo nel Magistero; ma possono, attraverso la sana ricerca teologica, renderne più evidenti l'efficacia salvifica e il significato, oppure, con malsane indagini speculative, oscurare il suo potere di salvezza.

    Proprio come avviene per i sacramenti, la vera natura della Chiesa può essere scoperta solo con gli occhi della fede; un'analisi meramente umana, fatta solo con gli occhi della ragione, non ne rivelerà mai la vera identità.

    Cristo è presente nella Chiesa così come lo è nei sacramenti, nascosto sotto forme e azioni umane. Ogni giorno sull'altare il sacerdote — che agisce "in persona di Cristo" (LG 10) — pronuncia le parole "questo è il mio corpo" sopra l'ostia, mostrandola al popolo; coloro che hanno fede rettificano allora il giudizio che ciò che vedono sia semplicemente pane ; no, è Cristo. Così, nel riconoscerlo, l'adorano.

    "Questo è il mio corpo", ci ricorda ogni giorno Cristo presentandoci la sua Chiesa. È anche un appello alla fede; un invito a rettificare il nostro giudizio naturale di maniera che, dove lo sguardo umano non vede che dottrine, riti, decisioni e leggi — parole e azioni di uomini — la nostra fede contempli Cristo.

    Giudizi umani

    La tentazione di giudicare la Chiesa e ogni aspetto della sua vita in termini meramente umani è sempre in agguato, forse soprattutto in un'epoca come la nostra, in cui la fiducia negli altri sembra divenire, per gli uomini oltremodo difficile.

    Un appassionato amante della Chiesa ha scritto che noi non dobbiamo "giudicare la Chiesa con criteri umani, senza fede teologale, fondandoci solamente sulle qualità più o meno esemplari di taluni ecclesiastici e di taluni cristiani. Chi fa così rimane alla superficie. La cosa più importante da scorgere nella Chiesa non è il modo con cui rispondono gli uomini, ma l'azione di Dio. La Chiesa è questo: Cristo presente in mezzo a noi, Dio che viene incontro all'umanità per salvarla, chiamandoci con la sua rivelazione, santificandoci con la sua grazia, sostenendoci con il suo costante aiuto nelle piccole e grandi battaglie della vita quotidiana. Possiamo anche arrivare a non avere fiducia negli uomini; anzi, ciascuno di noi è tenuto a non fidarsi di sé stesso, e a concludere le sue giornate con un mea culpa, con un atto di contrizione profondo e sincero. Ma non abbiamo il diritto di non fidarci di Dio. E non aver fiducia nella Chiesa, nella sua origine divina, nell'efficacia salvifica della sua predicazione e dei suoi sacramenti, è come non aver fiducia in Dio stesso e non credere pienamente alla realtà della discesa dello Spirito Santo"6.

    Opporre lo Spirito Santo alla Chiesa istituzionale, affermare che nessuna istituzione può supplire la presenza vivificante dello Spirito Santo, significa non aver pienamente inteso il "principio dell'Incarnazione". L'istituzione è la presenza vivificante dello Spirito Santo: la presenza udibile, visibile e tangibile dello Spirito Santo, per mezzo della quale Cristo continua la sua opera tra di noi e in noi. La Chiesa è, se non l'incarnazione, la materializzazione dell'opera dello Spirito Santo.

    Quando siamo tentati di giudicare la Chiesa o di reagire con criterio umano all'insegnamento e all'autorità della Chiesa, ci sarà di aiuto soffermarci a considerare: se fossi vissuto in Palestina duemila anni fa, come avrei giudicato Gesù di Nazaret? Se avessi incontrato Cristo di persona e avessi udito le schiette e talvolta scomode verità che m'indirizzava, nonché le ineludibili esigenze che mi prospettava, come avrei reagito?

    Avrei reagito come le folle di gente semplice che — ci viene riferito — erano attratte verso di lui proprio perché parlava con autorità (cfr Mt 7,29)? O avrei reagito come gli scribi e i farisei, che non volevano seguire Gesù poiché non era disposto a venire a patti con loro?

    Come mi sarei comportato se avessi incontrato Gesù di persona? Non è una domanda cui sia arduo rispondere, perché lo incontro ogni giorno nella Chiesa, dove mi dice di credere alla sua verità in questa cosa o di fare la sua volontà in quell'altra. Il mio comportamento verso la Chiesa è il mio modo di trattare Gesù Cristo.

    Saulo di Tarso intravide un'istituzione che non gli piaceva, e vi si oppose con l'intenzione di distruggerla; ma allora scoprì che quella istituzione era Cristo: «Io sono Gesù, che tu perseguiti!» (At 9,5).

    I moderni contestatori potrebbero imparare molto dall'esperienza di Saulo. La posizione di Saulo, se non proprio quella del dissenso, era certamente di violenta tensione nei confronti della Chiesa. Non v'è dubbio che non avesse ponderato a sufficienza la questione: che cos'è l'istituzione con la quale sono in contrasto? Ma una risposta all'interrogativo gli fu data: una risposta che penetrò la sua mente e il suo cuore con un raggio di luce talmente intenso da illuminare nei secoli la riflessione teologica sulla natura essenziale della Chiesa: «Io sono Gesù, che tu perseguiti!». Cristo si identifica con la sua Chiesa. Egli indirizza lo stesso messaggio ai dissidenti di ogni tempo: la vostra opposizione è verso di me. Non è pertanto sana ecclesiologia quella che pone in conflitto doni carismatici e doni gerarchici; la gerarchia stessa è un dono carismatico. Gerarchia, infallibilità, Magistero... non sono in contrasto con l'azione dello Spirito, bensì sono espressioni tangibili e concrete del modo di operare dello Spirito.

    Il decreto conciliare Ad gentes sull'attività missionaria della Chiesa accoglie alcune parole molto opportune in proposito. Citando la Lumen gentium dice: «Lo Spirito Santo in tutti i tempi "unifica nella comunione e nel servizio e fornisce dei diversi doni gerarchici e carismatici" (LG 4) tutta la Chiesa, vivificando come loro anima le istituzioni ecclesiastiche e infondendo nel cuore dei fedeli quello spirito della missione, da cui era stato spinto Gesù stesso» (AG 4).

    Sono passi veramente notevoli. La Lumen gentium contempla i doni gerarchici da una parte e i doni carismatici dall'altra, non in conflitto tra di loro, ma procedenti da un medesimo Spirito7. Il decreto Ad gentes dice che lo Spirito Santo vivifica le strutture ecclesiastiche; queste strutture sono pertanto vive, rese vitali dallo Spirito, e sono strumenti dell'azione del Paraclito che veglia sull'opera di Gesù Cristo e la sostiene. «Lo Spirito Santo conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa» (LG 27). Gesù contro la legge?

    È chiaro quindi che la Chiesa, per volontà divina, è una società visibile. E una società visibile è necessariamente una società giuridica: una società visibile ha inevitabilmente delle leggi. Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse veramente visibile, e veramente spirituale; ma non l'ha voluta senza leggi.

    È del tutto falso affermare che Gesù fosse in qualche modo pervaso di spirito antigiuridico. Al contrario, si presenta nel Vangelo come legislatore e come fautore della legge. La difende esplicitamente ("Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge": Mt 5,17); la chiarisce (Mt 19,3-9) e la perfeziona (Mt 5,22.28.32.34). Di fatto, superò l'antica Alleanza sostituendola con la Nuova; ma confermò anche tutti i principali precetti dell'antica legge (cfr Mc 10,19), al tempo stesso che promulgava nuove norme e nuovi comandamenti (Gv 13,24; 14,15; 14,21).

    Naturalmente, quando diciamo che la Chiesa è una società giuridica per divina volontà, non intendiamo dire che Gesù abbia dato alla Chiesa tutte le sue leggi. Ne ha date alcune; ma ciò che in particolare le ha conferito è la sua natura giuridica. Ha posto le fondamenta e ha dato alla Chiesa il diritto e il dovere di organizzarsi su queste basi; le ha promesso anche che, nell'organizzarsi, essa avrebbe fruito di una speciale assistenza divina (Mt 18,18). In questo corpo della Chiesa, quindi, alcuni elementi della struttura sono fondazionali, sono stati cioè posti dallo stesso Fondatore, con forma e contenuto specifici, e sono perciò permanenti e immutabili (sacramenti, primato del Papa, episcopato...). Altri elementi sono accidentali: sono stati introdotti dagli uomini, e sono lasciati nelle loro mani, affinchè li migliorino o li peggiorino nella misura della loro intelligenza e prudenza. E tuttavia anche lì, dietro i possibili e inevitabili errori degli uomini. Cristo continua a essere presente, forse con la follia della Croce, invitandoci a seguirlo.

    Vi è un altro aspetto della questione che è opportuno richiamare, sia pur brevemente.

    Oggi alcuni cristiani, persino sacerdoti, "dividono" inconsapevolmente Cristo. Amano sinceramente il Cristo storico; non amano però la Chiesa, dimenticando che anche la Chiesa è Cristo nella storia.

    Non si tratta solo di una deficiente ecclesiologia, ma anche di una manchevole cristologia basata sul pregiudizio che Cristo non ci abbia amati abbastanza per restare con noi; che il Signore sia stato incapace di superare le distanze di tempo e di luogo; che sia una figura remota ed evanescente, progressivamente disparita col passare dei secoli.

    Una cristologia tanto deficiente ha le sue conseguenze. Non aver fede che Cristo è presente nella Chiesa conduce di necessità all'indebolimento della fede nel Cristo storico: nel suo concepimento e nascita verginali, nei suoi miracoli, nella sua Risurrezione, nella sua divinità... Porta a una indebolita fede nella sua presenza e azione nei sacramenti e, naturalmente, a un'attenuazione della fede non solo nelle Scritture, ma anche nella presenza e azione di Cristo nella Tradizione e nel Magistero... In tal maniera si finisce con l'amare Cristo da distanza sempre maggiore; diventa più difficile udire la sua voce, più duro seguire la sua volontà, più impervio trovare la sua presenza: egli non è più con noi!

 

NOTE

[1] Si veda cap. 1, nota 1.

[2] Cfr. il primo paragrafo della Lumen gentium, che dice: «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano». Anche il decreto Ad gentes insiste sul fatto che il Signore "fondò la sua Chiesa come sacramento di salvezza" (AG 5; cfr LG 48 e GS 42). Nel Vaticano II gli aspetti spirituali e quelli istituzionali della Chiesa si armonizzano in una ecclesiologia pienamente cristocentrica. L'approccio dialettico che tende a caratterizzare il pensiero protestante — opporre il materiale allo spirituale, l'umano al divino — è dovuto, in ultima analisi, a una scarsa comprensione dell'Incarnazione.

[3] In senso stretto, non è dalla vita in quanto tale, ma dalla giustizia che deriva la legge.

[4] La legge ingenera sempre una certa tensione: la buona tensione che mantiene l'uomo errante sul cammino della giustizia e lo unisce al prossimo. [5] Chi considera l'aspetto "istituzionale-giuridico" come necessariamente opposto a quello "spirituale-carismatico" cade nella tendenza dualistica prima commentata: tendenza che porta alcune persone a ravvisare opposizione là dove una più nitida visione costata complementarità. Non vi è motivo perché esista opposizione tra ciò che è istituzionale e ciò che è spirituale, così come non vi è contrasto tra legge e libertà, autorità e coscienza, bene comune e bene individuale.

[6] Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, n. 131, Edizioni Ares, Milano.

[7] In certi casi, coincidono anche nella stessa persona o nelle stesse persone; per esempio, il dono gerarchico e carismatico dell'infallibilità.