Un vivo desiderio dello Spirito sembra caratterizzare oggi molti cristiani: ne è segno, tra altri, la nascita di movimenti carismatici dopo il Concilio. Orbene, non v'è dubbio che il pensiero dello Spirito Santo evoca sentimenti di libertà, gioia, spontaneità, entusiasmo, dinamismo... che non sembrano convenire con l'idea di legge.
Alcuni scrittori assolutizzano il contrasto e sostengono che la vita e lo sviluppo della Chiesa, sottomessi finora alla legge e al legalismo, devono d'ora innanzi affidarsi alla libertà e allo Spirito Santo. Si odono di frequente frasi come "la Chiesa deve essere condotta dallo Spirito Santo", nelle quali è implicita l'affermazione che la Chiesa debba essere guidata da qualcosa di "più libero" della legge; che il popolo di Dio debba essere condotto per cammini carismatici di gioia e libertà piuttosto che per vie giuridiche di coercizione e potere legale.
La risposta precisa a questa tesi è che la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo, ma che in gran parte la guida dello Spirito si attua proprio attraverso la legge. Lo Spirito non fa assegnamento sulla coercizione, bensì sulla nostra capacità di percepire il valore della legge e sulla nostra libera adesione ad essa.
Ordini di marcia
La storia della salvezza esemplifica perfettamente tale considerazione. Il popolo peregrinante dell'antichità era guidato dallo Spirito Santo (il quale, occorre dire, lo condusse spesso per strade che dovettero sembrare, ad occhi umani, tortuose e illogiche). Ma lo Spirito agì in modo funzionale: inviò al popolo capi e leggi, sollecitandolo altresì di continuo all'obbedienza. Un popolo peregrinante, un popolo in cammino, ha bisogno di muoversi con ordine, in modo da non lasciare possibilmente indietro nessuno e si abbia cura di tutti, specialmente dei deboli. Un popolo in cammino ha bisogno di ordini di marcia, comunicati da capi che agiscono in unità di intenti.
Così fu nell'Antico Testamento e continua a esser così nel Nuovo. Lo stesso dinamismo spirituale del nuovo popolo di Dio esige leggi e capi per salvaguardare la sua vita, proteggere i suoi membri, promuovere la sua unità e assicurare la sua espansione.
Chi da gli ordini di marcia nella Chiesa? Chi scandisce il ritmo e indica la direzione in cui il popolo di Dio deve andare? Lo Spirito Santo.
E chi nella Chiesa possiede lo Spirito Santo? Per mezzo di chi parla lo Spirito Santo? Si tratta, in effetti, di due domande ben distinte che richiedono risposte separate.
Chi nella Chiesa possiede lo Spirito Santo? La risposta è ovvia: ogni cristiano che ha ricevuto la grazia battesimale e che nel caso in cui l'abbia perduta, l'ha ricuperata. La frase evangelica "lo Spirito soffia dove vuole" (Gv 3,8) sottolinea il fatto che solo Dio conosce coloro che ha scelto e i doni particolari che ha conferito a ognuno per la sua personale salvezza e santificazione. È chiaro che nessuno può rivendicare un monopolio di grazie o carismi personali. Così come è altrettanto evidente che, se ognuno corrisponde alla grazia largitagli personalmente, diviene a sua volta canale di grazia per gli altri.
Volgendo lo sguardo ai secoli, costatiamo che lo Spirito Santo ha parlato — e parla — dando ai fedeli buon orientamento e ispirazioni attraverso molte voci individuali: con il lavoro e la parola di santi, fondatori, autori spirituali, teologi, e così via.
Ma che cosa accade se queste voci sono in disaccordo? Come sappiamo, è avvenuto e avviene. È chiaro in tal caso che non tutti parlano con la voce dello Spirito Santo, perché lo Spirito di verità (cfr Gv 15,26) non può essere in disaccordo con sé stesso; non può lasciare il suo popolo disorientato per ordini di marcia contraddittori. Di qui origina il gran dono pubblico — così essenziale alla salute del popolo di Dio — della divina prò*lezione sulla verità rivelata. In relazione a questo dono, lo Spirito ha voluto soffiare in una certa direzione e per mezzo di un organo specifico.
Giungiamo così alla seconda domanda, dandole una formulazione molto nitida e precisa: quando si tratta di chiarire la verità, di risolvere una disputa o una divergenza su di essa, di proclamarla in modo definitivo, chi parla con la voce e l'autorità dello Spirito Santo? La risposta è del pari precisa e chiara: il Magistero. Il Magistero infallibile è un dono peculiare dello Spirito Santo alla Chiesa e possiede i suoi strumenti specifici: il Papa e il collegio dei vescovi in comunione col Papa. Il Magistero è dato dallo Spirito Santo come un servizio al popolo di Dio.
Per meglio comprendere, può essere utile un salto indietro nel tempo. Mettiamoci nei panni dei comuni fedeli, per esempio, del XVI secolo, in Germania o in Inghilterra. Il popolo era perplesso: e le perplessità erano causate da alcuni teologi e predicatori che, a gran voce, proclamavano che la natura umana è intrinsecamente corrotta, che la grazia non ci rende veramente graditi a Dio, che il Matrimonio e la Penitenza non sono sacramenti, che l'Eucaristia è semplicemente pane e vino cui si da un significato religioso, che la Messa è una bestemmia, e così via. Erano voci e opinioni nuove, in evidente contraddizione con le voci che i cristiani avevano udito per secoli. In una situazione simile, nella confusione imperante, i cristiani riflessivi avrebbero dovuto domandarsi: «Dov'è, in tutto questo, lo Spirito di verità che Cristo ci ha promesso? Che cosa dice lui?».
Coloro che seppero ascoltare la voce dello Spirito nel Magistero rimasero nella Chiesa; quelli che invece ascoltarono le voci dei teologi e dei predicatori dissenzienti, l'abbandonarono.
Un "secondo" Magistero?
Alcuni teologi hanno cercato in anni recenti di rivendicare una speciale e privilegiata assistenza dello Spirito Santo, tale da innalzare gli studiosi di teologia al livello, per così dire, di un "secondo" Magistero. La tesi che propalano è che la leadership della Chiesa — almeno in ambito dottrinale — debba ora scindersi in due componenti: una, la gerarchia, generalmente più conservatrice; e l'altra, i teologi, più disposta ad aperture.
In discussione non è tuttavia quale componente sia più conservatrice o più liberale, ma chi possiede lo Spirito Santo nel senso stretto di aver ricevuto un divino mandato di parlare, insegnare e guidare il popolo di Dio in nome di Gesù Cristo.
La gerarchia possiede questo speciale mandato [1], e i teologi no. Il lavoro di ricerca teologica — quando è veramente tale — è un gran servizio alla Chiesa. Ma la pretesa di alcuni teologi che il loro lavoro rappresenti un secondo Magistero parallelo non ha alcun fondamento, sia nella Scrittura che nella Tradizione. Gli apostoli non erano "teologi" nel senso in cui siamo abituati a usare il termine oggi. Essi erano nella stragrande maggioranza degli illetterati. Tuttavia, nel Concilio di Gerusalemme parlarono e legiferarono con piena sicurezza e autorità: «È sembrato bene a noi e allo Spirito Santo» (At 15,28). Non si appellarono a esperti teologi. Erano consapevoli di avere, collegialmente, una speciale assistenza da parte dello Spirito Santo al fine di dare al popolo cristiano una guida veramente divina; e gliela diedero.
Carismi
Ognuno nella Chiesa ha un carisma o una grazia peculiare, cioè uno speciale dono dello Spirito Santo, che l'aiuta ad adempiere la sua specifica funzione nella comunità ecclesiale (cfr 1 Cor 7,7). Sarebbe sciocca presunzione per una persona, o una categoria di persone, affermare che il proprio carisma sia di maggior utilità alla Chiesa che non quello degli altri. Il carisma nascosto esercitato da santa Teresa di Lisieux durante la sua breve vita è servito probabilmente alla Chiesa almeno quanto il lavoro dei più noti pensatori cattolici del suo tempo.
Il possesso di un certo carisma non porta inevitabilmente con sé la garanzia di essere usato bene; che un dono dello Spirito sia usato bene o male dipende dalle disposizioni di ciascuno, specialmente dall'umiltà e dalla docilità (virtù essenziali per corrispondere rettamente all'opera dello Spirito), dall'atteggiamento di servizio e dalla prontezza a subordinare i propri interessi o preferenze a una più elevata sollecitudine per il bene della comunità. E quanto san Paolo dice a conclusione delle sue osservazioni sui carismi: «Tutto avvenga decorosamente e con ordine» (1 Cor 14,40).
Il buon uso di un carisma non è tuttavia qualcosa di automatico o di garantito, con la sola eccezione, importantissima, relativa al carisma di servizio e di insegnamento del Magistero nella sua trasmissione della verità ai fedeli. La Chiesa fruisce della garanzia costituzionale in forza della quale lo Spirito Santo non permetterà che quel carisma venga usato per trarre in inganno i fedeli o indurii in errore.
Pertanto, se vi è conflitto tra il Magistero e un teologo su un punto di dottrina, il cattolico non dovrebbe esitare su quale delle tesi Dio vuole che accolga. L'assistenza dello Spirito Santo garantisce il messaggio comunicato dal Magistero al fedele: «Questo è giusto; quello è sbagliato. Questo è in armonia col messaggio di Cristo; quello no».
È vero peraltro che la garanzia dello Spirito Santo non si estende alla prudenza, e nemmeno alla giustizia, con cui il teologo può essere personalmente trattato. Dobbiamo esser certi della verità dell'enunciazione dottrinale, mentre possiamo pensarla come meglio crediamo circa le modalità con cui viene esaminato il caso, sulla correttezza o no del tono degli ammonimenti indirizzati al teologo, delle sanzioni inflittegli, e così via.
Se un teologo ritiene che — indipendentemente dalle sue vedute — è stato trattato ingiustamente, senza un debito processo, dalle autorità ecclesiastiche, può darsi che abbia ragione o no. Lo Spirito Santo non garantisce necessariamente che ai teologi sia fatta piena giustizia ne protegge i loro interessi. Lo Spirito protegge la verità; protegge gli interessi dell'intero corpo dei fedeli.
Una legge interiore?
Connessa a questo tema "legge e Spirito" vi è un'area marginale piena di confuse affermazioni: per esempio, che la legge dello Spirito — o la legge di Cristo — è "in primo luogo una legge interiore"; oppure che la legge dello Spirito è una legge di libertà "proprio perché le sue esigenze non sono imposte dall'esterno"... Benché non sia facile cogliere il preciso significato di tali affermazioni, esse segnalano alcuni punti che vale la pena chiarire.
Che cosa si intende esattamente in questo contesto per "legge dello Spirito"? Se significa qualcosa di più della coscienza, se la legge dello Spirito è in ultima analisi la legge di Cristo, allora è chiaro che le sue esigenze sono imposte dall'esterno.
La legge di Cristo è qualcosa di oggettivo, analogamente a come Cristo è qualcuno di "oggettivo": egli è, per cominciare, "fuori" di ognuno di noi, benché, per grazia sua e per nostra libera risposta, voglia divenire uno che sta "dentro" le nostre vite, entrare cioè in noi — se glielo permettiamo — con la sua legge liberatrice.
È vero che la legge di Cristo parla al cuore e che la risposta ad essa deve venire dal cuore; ma la legge di Cristo non è una legge interna nel senso che essa venga dal cuore [2]. La legge di Cristo non si "impone" dal di fuori, ma essa viene certamente dall'esterno. Come l'Incarnazione, come la Rivelazione — tutte opere dello Spirito — essa è qualcosa di oggettivo, qualcosa di dato, che gli uomini accolgono così com'è o che rifiutano, o anche cercano di tramutare in qualcosa di diverso.
Lo Spirito Santo conferisce il dono. Assicura anche che ne venga preservata l'integrità e che gli uomini lo possano sempre trovare in tutta la sua purezza, purché sappiano dove cercare e siano disposti a cercarlo lì. Ma lo Spirito Santo non fermerà gli uomini — tranne una sola eccezione — dal falsificare il suo messaggio. Se ciò avviene, si limita a indicare con chiarezza — per coloro che hanno fede e umiltà — dove si può trovare il suo genuino messaggio, lasciando chi ha la visione offuscata nella falsificazione che ha preferito.
La grazia dell'obbedienza
L'adempimento della legge di Cristo non è questione di entusiasmo e, normalmente, non avviene senza sforzo. Lo Spirito Santo può certo facilitare il nostro adempimento della legge di Cristo. Il modo principale in cui lo fa consiste tuttavia nel parlar chiaro, nel presentarci quella legge in termini piani e inconfondibili, comunicandoci l'ispirazione e la forza di obbedire. Una delle grazie più tipiche dello Spirito Santo è proprio la grazia dell'obbedienza; una delle più comuni ispirazioni dello Spirito Santo è l'ispirazione a obbedire. Sono queste anche le grazie e le ispirazioni cui l'orgoglioso oppone maggior resistenza.
Possiamo qui tracciare una chiara sequenza di doni e grazie. La legge, come abbiamo visto nel capitolo precedente, è un dono di Dio. La conservazione della legge, nella sua integrità e purezza e nelle sue fonti, è un'azione speciale dello Spirito Santo (LG 27); inoltre, l'osservanza della legge o, meglio, la risposta alla legge, sono doni e grazie particolari dello Spirito Santo. Anche qui vi è una graduazione. L'osservanza della legge potrebbe essere nulla più che un fatto meccanico ed esteriore: mera obbedienza servile. Lo Spirito Santo ci ispira ad andare oltre: a soddisfare la legge con una risposta personale, non con l'obbedienza servile di uno schiavo, ma con l'obbedienza di un figlio (cfr Rm 8,15). In tal maniera, lo Spirito Santo "interiorizza" in noi la legge. Se nella legge riconosciamo la paterna volontà di Dio, siamo in condizione di accoglierla amorevolmente nel nostro cuore; e di darle libera e filiale risposta dal nostro cuore.
«Dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà» (2 Cor 3,17). Se vogliamo quindi la libertà, dobbiamo cercarla dov'è lo Spirito. Dobbiamo localizzare l'area di libertà in cui opera lo Spirito. L'area di libertà dello Spirito è quella della grazia e della verità. Grazia e verità hanno dei confini segnati dallo Spirito Santo: i confini della verità, che egli ci insegna attraverso la sua Chiesa, e i confini dei sacramenti e della legge che ci elargisce sempre attraverso la sua Chiesa. Per serbarci nella libertà data dallo Spirito, dobbiamo camminare entro questi confini segnati dallo Spirito: confini di grazia e di verità.
Altro punto da considerare — nell'ambito delle confuse affermazioni cui abbiamo accennato — è la tesi, insistentemente proposta, secondo cui a una legge "interiore" si può obbedire senza molta difficoltà.
La coscienza è, per definizione, una legge interiore. Orbene, come abbiamo osservato in un capitolo precedente, le esigenze della coscienza sono spesso perentorie e nient'affatto facili da soddisfare; al contrario, la persona che prende sul serio questa legge interiore, che è decisa a non ignorarla ma ad obbedirle, sperimenta spesso che deve sostenere una lotta titanica per seguire la sua coscienza. È vero che le esigenze della coscienza non provengono dall'esterno, ma sono pur sempre tali: o ce le imponiamo, strada difficile; o le ignoriamo, strada suicida.
Poche parole infine su alcuni concetti coi quali, si voglia o no, si pretende oggi collegare l'azione dello Spirito Santo: creatività, dinamismo, dialogo.
Creatività
Essere "creativi" — esprimere sé stessi, fare qualcosa di personale o di nuovo — è una delle istanze dell'uomo. Quando a essere creativo è un cristiano, soprattutto in relazione alla dottrina o al culto, egli spesso attribuisce questa sua creatività allo Spirito Santo, il "Creator Spiritus"; ma quest'attribuzione non va fatta con leggerezza.
La creatività di un cristiano è al tempo stesso una cosa importante e umile. È importante perché Dio conta proprio su di noi per completare la sua operi di creazione e di rinnovamento della creazione. Ed è umile perché, se deve essere efficace, è necessario che operi entro le condizioni poste da Dio. Senza queste disposizioni non si tratta di creatività cristiana. Se lo Spirito Santo è lo Spirito creatore, i nostri contributi a ciò che egli fa possono essere creativi solamente se serbano il carattere di subordinazione all'opera sua. Quando lo Spirito Santo crea qualcosa, si attende che rispettiamo quella creazione, con la natura e le leggi che le ha dato.
Manipolare la legge naturale non è rispettare l'opera dello Spirito, ma esattamente il contrario; non è creativo, ma distruttivo. Questa è la critica da muovere a taluni orientamenti "creativi" contemporanei in fatto di morale, che propugnano pratiche antinaturali come l'omosessualità, la contraccezione e l'aborto.
Nel rinnovamento della creazione, in cui consiste il cristianesimo, la nostra creatività deve operare sempre più entro i limiti stabiliti da Dio.
Quando riflettiamo sulla Scrittura e sulla Tradizione come opere dello Spirito Santo (DV 7-10), cresce la nostra venerazione verso queste fonti della divina Rivelazione; ci rendiamo allora conto che il nostro ruolo creativo rispetto a loro non è indipendente, ma essenzialmente subordinato. Esso consiste non nel diluire o privare di significato il messaggio che lo Spirito ha comunicato (il che sarebbe, ripetiamo, distruttivo e non creativo), ma nel comprenderlo, nello spiegarlo e nel trasmetterlo in armonia con l'autorevole interpretazione e la guida vivificante del Magistero, altra grande creazione dello Spirito Santo.
Lo Spirito — lo Spirito esigente — opera altresì nella e attraverso la legge e la disciplina ecclesiastica; qui crea le impegnative condizioni entro le quali ciascuno di noi può rinnovarsi e santificarsi per divenire una "nuova creazione" in Cristo (cfr 2 Cor 5,17).
Un vescovo può essere una figura scialba, senza nessuna di quelle connotazioni che i mezzi d'informazione odierni chiamerebbero "carismatiche"; il suo ufficio tuttavia è carismatico e attraverso di esso opera lo Spirito Santo. Se i fedeli della sua diocesi — sacerdoti e laici — hanno fede, riterranno carismatiche le sue decisioni e indicazioni: per mezzo di esse lo Spirito Santo raggiunge ciascuno di noi, sollecitando il nostro amore e mettendo alla prova la nostra fede. Il carisma, nel caso specifico, non ha nulla a che fare con le virtù o capacità del vescovo; in gioco è soltanto la nostra corrispondenza.
Si potrebbero moltiplicare gli esempi, forse soprattutto nel campo della liturgia. Ne addurremo uno solo. Ogni Messa è, in sé, un'azione carismatica unica perché vi opera lo Spirito Santo. Se un sacerdote cerca di trasformare la Messa in oggetto di creatività personale a detrimento delle norme liturgiche (emanate per la protezione del fedele), egli s'ingerisce con la sua personalità e i suoi capricci nell'opera dello Spirito Santo. Sull'altare, il sacerdote opera "in persona di Cristo" (LG 10); e lo Spirito santificatore vuole che la nostra attenzione durante la celebrazione eucaristica sia orientata verso la persona e l'azione redentiva di Cristo, non verso la persona e l'azione creativa del sacerdote, chiunque egli sia.
Dinamismo? Dialogo?
"La legge dello Spirito è più dinamica...". Dinamismo significa potenza; e in frasi come quella citata implica presumibilmente efficienza. Se la legge dello Spirito chiama i fedeli a raccolta nell'unità e i fedeli rispondono, allora è veramente dinamica; non è tale invece se l'effetto è opposto.
Gli ordini di marcia servono a unire la gente, a chiamarla al lavoro e a camminare all'unisono nella medesima direzione: allora sono dinamici. Gli ordini di marcia non sono invece più tali se pongono le persone nelle condizioni di marciare in direzioni diverse.
È facile asserire di essere mossi dallo Spirito, senza considerare in quale direzione ci si muove; ne è esempio evidente la storia del protestantesimo. Merita riflettere se un migliaio di voci contraddittorie, ognuna delle quali presume di parlare in nome di Cristo, possa rappresentare il dinamismo dello Spirito; non esprimono piuttosto una galassia di opinioni individuali prive d'ogni coerenza?
Lo Spirito Santo ci ispira ad agire in modo libero, ma non indipendente, come parte di un tutto, come membra dello stesso corpo. Raduna i cuori dispersi, le volontà e le intelligenze smarrite, in un'unità di affetti e di intenti. «Cor unum et anima una», così i primi cristiani (At 4,32).
Può essere controverso se lo Spirito Santo è presente dove c'è unità senza diversità; ma si può essere sicuri che egli non è presente dove c'è diversità senza unità.
Ricordo il commento di un chierico a proposito di talune direttive pastorali per lo sviluppo della sua diocesi: «Seguiremmo meglio lo Spirito Santo se ci fosse maggior dialogo tra il vescovo e ciascuno dei suoi sacerdoti; in definitiva, siamo tutti tempio dello Spirito».
Vi è in queste parole un elemento di verità, che i vescovi farebbero bene a tener presente. Tuttavia, i membri di una diocesi farebbero altrettanto bene a ricordare che ciò che rende efficace il lavoro pastorale non è tanto il dialogo reciproco tra superiore e subordinati, quanto il dialogo personale di ciascuno con Dio. È necessario non che il vescovo ascolti me, ma che io ascolti Dio. Quanto più una persona è in sintonia con lo Spirito — lo Spirito che esige — tanto più sarà efficace, flessibile, docile, e tanto meno occupata a cercare che gli altri siano concordi con essa.
Nessuno, abbiamo sopra detto, ha il monopolio dello Spirito Santo; ma è importante avere qualche riferimento sicuro per mezzo del quale si possa sapere, senza alcun monopolio, se almeno siamo in possesso dello Spirito. Sant'Agostino ci fornisce un chiaro criterio di somma importanza: «Possediamo lo Spirito Santo nella misura in cui amiamo la Chiesa di Cristo» [3].
NOTE
[1] Cfr cap. 14.
[2] È la legge naturale che, in un certo senso, viene dal cuore.
[3] Sant'Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 32,8. Cfr OT 9.