Il Concilio Vaticano II è il gran concilio della "communio" ecclesiale; e, sotto molti punti di vista, è allo stesso tempo anche il concilio di una forte ispirazione personalista. Tra "communio" e personalismo cristiano, non c'è opposizione bensì complementarità - questione su cui ho fatto alcune considerazioni in altra sede (cfr. il mio saggio: "Personalismo, Individualismo, «Communio»" in Studi Cattolici 396 (febb. 1994), 85-90). Per ciò che riguarda lo scopo che qui ci prefiggiamo, è interessante ricordare che esiste un personalismo vero e uno falso; o, più esattamente, esiste il personalismo cristiano - che caratterizza, con il Concilio, anche il magistero sull'uomo e sul matrimonio di Giovanni Paolo II - e l'individualismo umanistico e ateo. E' importante tener conto di questa distinzione perché alcune delle tendenze che hanno influenzato il pensiero e la prassi ecclesiale dopo il Concilio (perfino nel campo canonistico) si sono ispirate - forse in modo incosciente - più a principi individualisti che a quelli veramente personalisti.
Il vero personalismo cristiano esalta la dignità di ogni persona, fatta ad immagine di Dio. Sottolinea pertanto i diritti di ciascuno, ma anche i suoi obblighi; la sua libertà ma anche la sua responsabilità. La filosofia personalista, attribuendo a tutti gli individui la stessa dignità e uguali diritti, tende verso l'auto-donazione. Infatti, il principio basilare del personalismo cristiano viene così enunciato dalla Costituzione Pastorale Gaudium et Spes del Concilio Ecumenico Vaticano II: "l'uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (GS 24). Con questa tendenza perciò alla donazione, il personalismo è aperta alla creazione di una "communio" o della comunità, come la sua applicazione ed estensione naturale su un livello sociale. L'individualismo, al contrario, è essenzialmente centrato sul proprio "io" (il culto psicologico dell'"io" è la sua più attuale espressione caratteristica), essendo fondamentalmente preoccupato dell'auto-sufficienza e dell'auto-protezione; è rapido nel rivendicare dei diritti e lento nel riconoscere gli obblighi; ed è costituzionalmente ostile a qualsiasi idea di un impegno o legame permanente, così come nei confronti di una comunità che non si veda o non si sperimenti vantaggiosa al proprio interesse. Il personalismo cristiano può rinnovare la comunità coniugale, come anche la più ampia comunità ecclesiale; l'individualismo secolare tende alla distruzione di entrambi.
Può andare infatti non soltanto che il fine personalistico del matrimonio venga inteso in termini esclusivamente terreni, ma che sia addiritura valutato dal punto di vista della soddisfazione personale di ciascuno sposo, separatamente considerato, piuttosto che da quello della loro maturazione come persone, e della loro apertura alla comunità, secondo il disegno di Dio per coloro che si uniscono nel matrimonio.
Dove tale visione carente di vero personalismo cristiano si fa presente, ne scaturisce una indubbia influenza sulle persone che si sposano, con la possibilità di alterare radicalmente non soltanto il loro concetto sul matrimonio, ma anche lo stesso consenso matrimoniale che prestano o che devono prestare - con profonde ripercussioni antropologiche e giuridiche [1].
La Gaudium et Spes ha offerto infatti un concetto fortemente personalistico del matrimonio. Ed era tanto inevitabile quanto giusto che questo personalismo coniugale avesse una forte influenza sui canoni che riguardano il matrimonio nel nuovo Codice del 1983 - "l'ultimo documento del Concilio Vaticano II", come lo ha definito Giovanni Paolo II (AAS 76 (1984) 644). Siffatto personalismo si riflette in modo particolare nell'approccio del Codice all'atto del consenso, così fondamentale per la costituzione del matrimonio. I canoni che trattano dei difetti del consenso sono stati messi un una prospettiva più personalistica, particolarmente con l'introduzione del c. 1098 che dichiara invalido il consenso ottenuto con dolo.
Tuttavia, è nel can. 1057 che il personalismo matrimoniale viene introdotto nella legge ecclesiastica codificata con particolare forza e vigore. Il canone, che rappresenta una grande fonte di ispirazione per gli studiosi del matrimonio dal punto di vista pastorale o da quello prettamente teologico, offre al canonista pure una non piccola sfida quando si propone di determinarne lo scopo e l'applicazione giuridico. Indubbiamente sarà lungo l'"iter" sul quale a poco a poco si porterà avanti questa determinazione. Nella pagine che seguono, ci proponiamo di offrire soltanto una possibile via di investigazione, in questo senso, che meriterà senz'altro un ulteriore sviluppo.
NOTE
[1] E' altrettanto vero che siffatta visione - più individualista che personalistica - possa influire pure sugli stessi canonisti, portandoli a interpretare in modo non del tutto adeguato il matrimonio, e particolarmente il consenso necessario per la costituzione del «consortium coniugale». Può così capitare che si giunga a vedere una patologia in un consenso fondamentalmente saldo e valido, o a postulare dei requisiti per il consenso valido che non sono affatto necessari sotto una prospettiva veramente umana e cristiana.