Amore coniugale e Indissolubilità (Studi Cattolici, 412 (1995), pp. 340-345) (1)
Rifiuto di legami definitivi?
Non c'è periodo storico senza le sue crisi particolari. A parer mio, una delle più notevoli del giorno d'oggi, e anche delle più singolari, è la crescente divisione fra uomo e donna. La relazione fra i due sessi è sempre più contrassegnata da sospetti, tensioni, divisioni e persino da antagonismi. L'idea che l'uomo e la donna siano fatti l'uno per l'altro e in particolare per quella peculiare unione che si chiama matrimonio -- idea che è giunta a noi attraverso i secoli -- è messa seriamente a repentaglio. Anche oggi si creano o si tentano unioni -- in qualche forma matrimoniale o quasi-matrimoniale -- ma esse hanno la tendenza a non durare.
Almeno nei Paesi occidentali, si è giunti a un estremo scetticismo rispetto a una relazione permanente fra marito e moglie. Non si crede più che valga la pena di avviare una simile relazione o che essa possa essere tenuta stabilmente in vita. Questa sfiducia nel matrimonio, che denota un sottofondo di pessimismo circa la possibilità di trovare un amore felice e durevole nella propria vita, costituisce una crisi della massima importanza per l'intera umanità.
Anche non pochi cattolici sono stati via via portati a ritenere che il matrimonio aperto al divorzio sia migliore del matrimonio vincolato alla indissolubilità: fenomeno che necessariamente fa riflettere. In termini teologici, lo si potrebbe considerare come una tentazione contro la fede, dato che l'indissolubilità è un dogma definito (Denz., 1807). Come tale, non è una tentazione da poco; tuttavia, non si tratta di un'evenienza sorprendente se ricordiamo la reazione che Gesù ha suscitato quando ha insistito sul fatto che, secondo il piano originario di Dio, il vincolo matrimoniale è indissolubile: così stando le cose, pensavano gli stessi Apostoli, allora è meglio non sposarsi (Mt 19,10). Ma si sbagliavano. Così stanno le cose, e peraltro è buona cosa -- è un grande bene -- sposarsi.
Questo fraintendimento del valore dell'indissolubilità ha non meno gravi implicazioni antropologiche, rispecchiate nell'idea che la fedeltà a un impegno durevole, per quanto liberamente accettato, trascenda ogni ragionevole aspettativa: sia qualcosa al di là della natura umana, di cui la gente comune non sia capace. Tale idea, diffondendosi, crea una mentalità ostile a ogni tipo di impegno permanente, ivi compresi il sacerdozio e la vita religiosa, non meno del matrimonio. L'idea che "l'indissolubilità sia un peso ingiusto" -- al quale ci deve pur essere un rimedio -- produce effetti deleteri sia sul gregge che sui pastori. Coloro che si preparano al matrimonio lo fanno con minor serietà; dopo essersi sposati, fanno minore sforzo per mantenere la loro unione quando incominciano a verificarsi delle tensioni. Per quanto concerne i pastori e i consulenti matrimoniali è facile che nei corsi di istruzione pre-matrimoniale diano minore importanza alla preparazione dei futuri sposi a superare le difficoltà alle quali andranno incontro; e forse non esercitano un'azione di supporto sufficientemente positiva a favore degli sposi che effettivamente stiano affrontando momenti difficili. Si crea un autentico problema quando la "soluzione" che viene offerta per le situazioni matrimoniali difficili non è: "Coraggio! Cerca di metterle a frutto, pregando e confidando nella grazia", bensì, sempre più spesso, "cerca una via d'uscita, una soluzione "in buona fede", un annullamento...". Le cose andranno di male in peggio se non si riesce a rivalutare l'indissolubilità del matrimonio. Questo è un punto centrale per la riflessione e la responsabilità pastorali, come lo è in modo speciale nella formazione dei sacerdoti e dei consulenti matrimoniali.
Antropologia cristiana e antropologia profana
Il Concilio Vaticano II ha cercato di offrire una visione rinnovata del matrimonio, dell'amore e della donazione coniugale. Com'è che questa visione nuova sembra che ben poche volte sia stata messa in pratica? A parer mio, una ragione consiste nel fatto che la riflessione postconciliare sul matrimonio non ha sempre colto l'antropologia cristiana che è sottesa al pensiero conciliare sulle realtà umane, con particolare applicazione all'alleanza coniugale. Di qui deriva il fatto che che gran parte del modo di comprendere e di presentare il matrimonio sia stata penetrata -- sia pure inconsapevolmente -- dall'antropologia profana dominante nel nostro mondo occidentale.
L'"antropologia profana" alla quale mi riferisco è una visione dell'uomo che parte da una concezione individualista della vita, che mette la chiave per la realizzazione umana nello stesso "io": identificazione dell'io, affermazione dell'io, preoccupazione per l'io... La crisi attuale che verte sull'indissolubilità -- la tendenza a considerarla come un "anti-valore" -- trova per lo più spiegazione in questo individualismo, così tenacemente presente fuori e all'interno della Chiesa. L'individualismo fa sì che si consideri il matrimonio da un punto di vista fondamentalmente egocentrico, pensando non di dare, bensì di ottenere, sotto la guida di un solo criterio: "questa unione, questo legame, questa sistemazione, mi renderà felice?"
Allora il matrimonio diventa, nel migliore dei casi, un tentativo di accordo fra due individui, ciascuno ispirato dal proprio interesse, invece di presentarsi come un compito comune nel quale due persone desiderano costruire insieme un focolare domestico da condividere fra loro e con i loro figli.
Personalismo coniugale
Quando parlo dell'antropologia peculiare del Concilio Vaticano II, mi riferisco a quel personalismo cristiano che è così presente nel pensiero conciliare, specialmente nella Gaudium et spes. Potentemente sviluppato da Giovanni Paolo II, esso continua a essere la chiave per una comprensione più piena della vita cristiana, e del matrimonio in particolare.
L'essenza del vero personalismo è espressa nella Gaudium et spes al n. 24: "l'uomo (...) non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé". Possiamo "realizzarci" o condurre a compimento il nostro io solamente donandoci. Ecco un programma evangelico -- perdere la propria vita per salvarla -- in diretto contrasto con la ricetta di vita così comunemente offerta dalla psicologia contemporanea: cercare se stesso, trovare se stesso, identificare se stesso, aver cura di sé, aggrapparsi a sé senza mai lasciarsi.
Il matrimonio rappresenta la forma più particolare e naturale di donazione di sé per la quale furono fatti l'uomo e la donna. Come dice anche la Gaudium et spes: "la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone" (n. 12). Importanti documenti del Magistero hanno continuato a presentare il matrimonio in una prospettiva personalistica (2). La revisione delle leggi della Chiesa -- fatto che può sorprendere qualcuno -- ha contribuito notevolmente a un'analisi personalistica del matrimonio. Due canoni del nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, meritano speciale attenzione.
Il canone 1057 § 2 dice: "Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio". Così lo stesso oggetto del consenso coniugale si presenta quindi in termini di reciproca donazione di sé, il che indica un totale contrasto con la frase "ius in corpus", con la quale il Codice del 1917 esprimeva lo stesso oggetto (3). L'uomo dona se stesso come uomo e sposo, la donna come donna e sposa; ciascuno riceve l'altro come coniuge. Ci si può domandare se la potenzialità e la portata di questa nuova formulazione siano stati adeguatamente apprezzati, in particolare quando si tratta della formazione dei seminaristi o dei consulenti matrimoniali, e anche nel lavoro dei Tribunali ecclesiastici che si riferisce alle cause matrimoniali.
Il personalismo coniugale caratterizza un altro canone di rilievo, il 1055, soprattutto dove parla dei fini del matrimonio. "Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole,..." (4). Mi sembra straordinariamente significativa questa scelta, da parte del Magistero dei nostri giorni, del termine "bene dei coniugi" per esprimere uno dei fini del matrimonio. E' da notare che non viene presentato come un fine personalistico, in contrasto con il fine istituzionale quale sarebbe la procreazione. Il bene dei coniugi è un fine istituzionale tanto quanto lo è la procreazione. Questo viene posto in evidenza quando si risale alla duplice narrazione effettuata dal libro della Genesi sulla creazione dell'uomo e della donna. Il primo racconto: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi"" (Gn 1,27-28) è chiaramente procreazionale. D'altra parte il secondo racconto: "E il Signore disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile"" (Gn 2,18) è chiaramente personalistico. Pertanto, anche se si tratta evidentemente di due fini distinti, non si deve esagerare il contrasto fra di essi perché sono entrambi fini istituzionali (5). Più che stabilire una gerarchia fra di essi, quello che conta è comprenderne e sottolinearne l'inseparabilità. Poiché ragioni di tempo non ci consentono di trattenerci sul valore personalistico della procreazione (6), esaminiamo brevemente l'idea del "bene dei coniugi" anche sotto la luce dell'indissolubilità.
L'indissolubilità e il "bene dei coniugi"
Dio avrebbe potuto creare il genere umano secondo un modello "unisex" -- non sessuato -- prevedendo, per la sua continuità nel tempo, un'altra modalità che non fosse quella sessuale. Il libro della Genesi sembra chiarire che, in tal caso, la creazione sarebbe stata meno buona: "Non è bene che l'uomo -- o la donna -- sia solo". Così la sessualità appare nella Bibbia come parte di un piano per la realizzazione delle persone, come fattore orientato a contribuire al perfezionamento dell'essere umano. Qui ci si presenta un fatto antropologico fondamentale: la persona umana non è autosufficiente; ha bisogno di altri, ed ha una necessità speciale di un "altro", un coniuge.
Ogni persona umana, quando prende coscienza della propria contingenza, desidera essere amata: essere in un certo senso unica agli occhi di qualcuno. Ciascuno, se non trova nessuno che lo ami, è colto dalla tentazione di sentirsi menomato, privo di valore. Ma v'è di più: non è sufficiente essere amato; è necessario amare. Una persona che è amata non è felice se essa stessa è incapace di amare. Imparare ad amare è una necessità umana altrettanto fondamentale quanto il sapersi amato; solo così ci si può liberare dall'auto-compassione o dall'auto- isolamento, o da entrambi.
Imparare ad amare esige uscire da se stesso, per una dedizione costante -- quando le cose vanno bene o quando vanno male -- all'altro e agli altri. Ciò che si deve imparare non è un amore passeggero, ma un amore impegnato. Tutti abbiamo bisogno di un impegno d'amore, come lo è il sacerdozio o una vita donata direttamente a Dio, e come lo è il matrimonio, dedizione alla quale Dio chiama la grande maggioranza. Vincolare i coniugi a un permanente apprendistato di amore è stato il disegno originario per il matrimonio, confermato da nostro Signore (Mt 19,8 e ss.). L'impegno matrimoniale è per natura esigente. Questo si desume dalle parole con le quali gli sposi esprimono la loro reciproca accettazione, mediante un "consenso personale irrevocabile" (7), quando ciascuno promette di accettare l'altro $$$"nella buona e nella cattiva sorte, nella ricchezza e nella povertà, nellla salute e nella malattia... per tutti i giorni della mia vita"$$$ (8).
Benché questo impegno sia senza alcun dubbio esigente, esso è anche profondamente naturale e attraente. L'amore autentico è -- vuole essere -- sincero quando afferma: "Ti amerò per sempre". Ne consegue, tra l'altro, la convenienza di accentuare nell'educazione dei giovani il fatto che gli esseri umani, a differenza degli animali, sono creati non solo con un istinto sessuale, ma anche con un istinto coniugale (9).
Istinto sessuale e istinto coniugale
L'istinto sessuale è naturale, si sviluppa per proprio conto e rapidamente per essere pronto. Più che di svilupparsi ha bisogno di controllo; spesso è più intenso verso una persona concreta, ma normalmente non è limitato ad una sola. Anche l'istinto coniugale è naturale, anche se è più lento ad affiorare; ha bisogno di essere sviluppato; non ha quasi bisogno di essere controllato; generalmente è limitato a una sola persona.
L'istinto coniugale attrae l'uomo e la donna a un impegno, mediante il quale essi vogliono liberamente assumere un vinccolo permanente in una associazione o alleanza d'amore, e ad essere fedeli a quell'impegno liberamente assunto. La frustrazione sessuale, oggi così generalizzata, è frustrazione soprattutto nella sfera coniugale o coniugabile della sessualità. Man mano che l'istinto coniugale viene compreso, si sviluppa e matura, esso tende a facilitare notevolmente il controllo sessuale, creando un atteggiamento di rispetto verso la sessualità. E' normale che il matrimonio si presenti come un ideale a una coppia di innamorati: ciascuno vede l'altro come possibile compagno per tutta la vita: come madre o padre dei propri figli in futuro, come chi può essere assolutamente unico nella propria vita. Queste sono verità primarie della sessualità coniugale, che il nostro mondo moderno sembra non saper più captare; di qui la graduale perdita di stima reciproca fra i due sessi. Tutto questo, mentre trova un'applicazione reciproca nella relazione sessuale, si applica in modo particolare all'uomo nella sua relazione con la donna. Se nulla quanto la maternità -- attuale o potenziale -- fa sì che l'uomo rispetti la donna, è perché la maternità la eleva al di sopra della categoria di oggetto che si vuol possedere, collocandola in quella di soggetto che deve essere rispettato.
Amore coniugale e difetti degli sposi
E' facile amare le persone "buone". La prospettiva del cristianesimo è che impariamo ad amare anche i "cattivi", vale a dire coloro che hanno dei difetti: in altre parole, tutti. Nel nostro caso, la prospettiva concreta è che chi liberamente contrae l'impegno coniugale di vita e di amore con un altro -- senza dubbio perché vede una singolare bontà in quella persona -- dev'essere preparato a mantenersi fedele a quella alleanza anche se alcune considerazioni -- obiettive o soggettive -- lo inducono più tardi a pensare che l'altro abbia perduta ogni bontà eccezionale, essendo piuttosto caratterizzato da un lungo elenco di difetti.
Anche se la scoperta reciproca di difetti è inevitabile nel matrimonio, questo non è incompatibile con la realizzazione del bene degli sposi. Al contrario, si può affermare che l'esperienza dei difetti dell'altro è essenziale se la stessa vita coniugale deve conseguire il vero ideale divino del "bene dei coniugi". La inevitabile scomparsa del primitivo amore romantico -- facile e senza sforzo -- mette ciascun coniuge di fronte al compito di imparare ad amare l'altro così com'è realmente. E' allora che si cresce come persona. In questo consiste la serietà e la bellezza della sfida contenuta nel matrimonio: si tratta di un tema centrale, che gli educatori e i consulenti in campo matrimoniale devono comprendere ed esporre a fondo.
L'aspetto "romantico" di una relazione si spegne quasi sempre; ma l'amore non deve morire con esso. L'amore é destinato a maturare, il che può accadere se la prontezza al sacrificio presente nei primi momenti della propria donazione matrimoniale è ancora viva o può essere attivata. Il fatto che il vero amore sia pronto al sacrificio è un argomento che forse nella nostra predicazione dovrebbe avere maggiore risonanza. Come dice Giovanni Paolo II, "Riesce naturale al cuore umano accettare delle esigenze, anche quando risultano difficili, per amore di un ideale e soprattutto per amore verso una persona" (10).
La natura umana è mescolanza e scontro fra tendenze buone e cattive. Facciamo sufficiente appello alle tendenze buone? O a volte cediamo alla tentazione di pensare che quelle cattive sono più potenti? Ci occorre fortificare la nostra fede, non solo in Dio, ma anche nella bontà del creato, ricordando quanto san Tommaso d'Aquino insegna: "bonum est potentius quam malum" (11), il bene è più potente del male e fa scattare delle molle più profonde nella nostra natura. Anche la Veritatis splendor si muove sul filo di questo principio: in effetti l'Enciclica, per presentare lo splendore e l'attrazione della verità, parte dalla nostra naturale fame o sete di bene (12).
Le tendenze contrarie possono essere naturali. Di fronte al pericolo, è naturale sentire la tentazione alla vigliaccheria e alla fuga. Ma è pure naturale voler essere coraggioso e affrontare il pericolo. Una madre o un padre può avere una tendenza naturale all'egoismo, ma ha tuttavia una tendenza non meno naturale ad aver cura dei propri figli: un istinto materno o paterno. Analogamente, benché sia naturale che si verifichino delle frizioni fra coniugi, è altrettanto naturale che essi vogliano preservare il loro amore dal pericolo che deriva da queste frizioni. Quell'istinto coniugale del quale abbiamo parlato li invita a essere fedeli; viceversa, chi rifiuta di affrontare la lotta per la fedeltà non potrà evitare la convinzione di aver agito in modo fiacco, calcolatore ed egoista.
Detto queato, possiamo aggiungere che c'è poco di naturale e nulla di inevitabile nel fenomeno di due persone che, dopo essersi ritenute per un momento assolutamente uniche, dopo cinque o dieci anni finiscano incapaci di sopportarsi. "Il mio amore per lui o per lei è morto"... Se è accaduto questo, si è trattato di una morte graduale, che molte volte si sarebbe potuta evitare con i buoni consigli di famigliari, amici, pastori.
Donazione "di prova"
Non è bene che l'uomo sia solo; e non è bene che si doni "per metà". Di qui deriva la natura radicalmente insoddisfacente e frustrante dei legami "quasi coniugali", nei quali non esiste un impegno vincolante. Qui mi riferisco non alla semplice promiscuità, ma alle coppie che vanno in cerca di qualche tipo di relazione semi-coniugale, nel quale ci sia un certo senso di reciproca appartenenza: ma non definitiva, lasciando sempre aperta una via d'uscita...
Una tale relazione è talmente al di sotto del matrimonio che coloro che ne fanno "la prova" probabilmente non si sposeranno mai o, se si sposano, è poco probabile che il loro matrimonio possa durare. Si trattano con una reciprocità troppo inconsistente. In definitiva, ciascuno di essi non supera il progetto del proprio "io"; non vi è una progettualità condivisa. L'"io" -- anziché il "noi" -- continua a essere il punto di riferimento e di centralità per entrambi. L'altra persona resta sempre un compagno o una compagna "in prova".
Essi non donano se stessi; ciascuno presta all'altro, dà solo in parte. Le loro vite che ne conseguono possono raramente disfarsi della convinzione: "Non ho mai conosciuto qualcuno al quale o alla quale valesse la pena che mi donassi; oppure non sono mai stato capace di dare me stesso"; o forse, più semplicemente: "Non sono mai stato accettato; nessuno mi ha mai considerato degno di un'accettazione incondizionata" (13).
Chi non ama, non può trovare amore; chi non dà se stesso non può ritrovarsi. La strada della quasi-donazione è la strada della propria frustrazione.
Preparazione pastorale al matrimonio
Dobbiamo fare in modo che l'educazione dei giovani, almeno nelle istituzioni cattoliche, sia ispirata da una autentica antropologia cristiana, che ripristina il significato naturale e attraente della chiamata al matrimonio, con speciale insistenza sulla bontà dell'impegno a un vincolo indissolubile di amore. Potremmo distinguere due aspetti o momenti di questa educazione:
a) Educazione all'amore, che in effetti è educazione a donare. Se la frustrazione è inevitabile e la realizzazione personale non è possibile senza donare se stessi, allora sono tre i problemi che si pongono in ogni esistenza umana: 1) trovare qualcosa -- un ideale, una persona -- per cui valga la pena di donarsi; 2) sapersi donare realmente (per far questo, ci si deve prima possedere); 3) sapersi mantenere fedeli al dono (perché la realizzazione di se stessi non è un processo di un momento: dura tutta la vita).
Nella linea di questi problemi, si potrebbero proporre ai giovani tre norme. Primo: non aver paura di dare del tuo, ora; metti in pratica la donazione di te stesso fin da ora, negli anni della tua adolescenza, in attività di servizio svolte in casa. Secondo: non donarti sul piano sessuale finché non arrivi il momento giusto, momento che è il matrimonio; chi si dà prima, si dà in modo parziale e troppo facile, e non avrà che poco o nulla da dare quando arriva al matrimonio (valido argomento a favore della castità prematrimoniale). Terzo: quando arriva il momento del matrimonio, per chi ha questa vocazione, darsi davvero, nella piena donazione del proprio essere coniugale.
b) Educazione sessuale. Anche se alcuni vorrebbero negarlo, l'atteggiamento contemporaneo non solo verso il matrimonio, ma pure verso la sessualità, è improntato a profondo pessimismo. Quando il sesso viene presentato come piacere facilmente accessibile, diventa molto difficile comprendere sia la sua importanza che la sua fragilità in tanti aspetti dello sviluppo umano. Un'educazione sessuale appropriata deve aiutare i giovani a:
1) comprendere l'aspetto squisitamente umano della sessualità: non solo l'eguale dignità dei sessi, ma specialmente il valore della complementarità sessuale; in questo campo si deve affrontare una cultura e una filosofia unisessuale molto diffusa;
2) conseguire un'adeguata identificazione sessuale, in modo da considerare lo sviluppo della mascolinità e della femminilità come obiettivi o mete da raggiungere; oggi, per fare un esempio, molte ragazze sembra che abbiano scarsa consapevolezza di quei tratti caratteristici della natura femminile che possono conquistare un uomo e tenerlo legato anche quando diminuiranno le attrattive fisiche;
3) comprendere la delicatezza della relazione sessuale (14). Il sesso rappresentava una sfera di felicità -- una promessa o una speranza di felicità -- circondata di pericolo; si è voluto eliminare il pericolo, ma con esso sembra che sia sfumata anche la speranza di felicità.
In questo compito, gli educatori devono essere i primi a comprendere che, quando la sessualità viene ridotta a livello delle sole diversità fisiche, è la donna che più ne scapita; perché a livello meramente fisico l'uomo è il più forte e può facilmente dominare. Viceversa, quando sono operativi gli aspetti più specificamente umani e spirituali, la donna tende ad acquisire particolare predominio e superiorità.
Gli educatori devono anche rendersi conto che una eccessiva importanza annessa all'indipendenza, accompagnata da poca o nessuna importanza annessa alla complementarità, può rendere quasi impossibile la conquista di una vera identità sessuale. Molti matrimoni falliscono oggi perché mancano la mascolinità o la femminilità necessarie per tenerli in piedi. Nessun corso prematrimoniale è all'altezza se non contribuisce alla identificazione del proprio ruolo coniugale.
Cura pastorale verso i coniugi
Verso i coniugi come sposi. E' facile assumere un impegno coniugale; non è facile mantenerlo e perfezionarlo per raggiungere, come indica la Veritatis splendor, "quella maturità nel dono di sé, a cui è chiamata la libertà dell'uomo" (15). Ci si deve costantemente ricordare che, sulla base della preghiera e dei sacramenti, una delle principali condizioni di successo nell'amore coniugale (cioè, in quell'amore capace di vincolare due persone con i loro difetti) consiste nell'imparare a perdonare e a chiedere perdono. Ogni volta che un coniuge riconosce i propri difetti al suo partner, diventa più umano e quindi più amabile. Lo sposo o la sposa che nega i propri difetti o cerca di giustificarli, diventa più orgoglioso, più isolato, meno capace di amare e meno degno di essere amato.
Non solo agli sposi, ma anche ai loro familiari e amici si deve proporre il dovere di comprendere e rispettare l'esigente bellezza della relazione coniugale, con quell'apprendistato di amore che essa propone per l'intera vita. I coniugi hanno bisogno di appoggio: da parte di parenti e amici, in primo luogo, e poi da parte di pastori e consiglieri. Urge una catechesi caratterizzata da un nuovo apprezzamento dell'impegno coniugale, in special modo della bontà del vincolo; in modo che, non appena iniziano i problemi, la persona si senta aiutata da consigli positivi, invece di essere incoraggiata a cercare un annullamento (che alla fine potrebbe non essere concesso). Amici e vicini, tutti hanno bisogno che si ricordi loro la grande responsabilità di essere di aiuto e non di ostacolo per la perseveranza delle persone sposate.
Verso i coniugi come genitori. E' saggezza degli sposi sapersi distribuire i ruoli di genitori. Come accade in ogni lavoro di gruppo, questa prospettiva di completarsi l'un l'altro evita difficoltà nel tratto. Ma se si perde lo spirito di squadra, se i due si lasciano sospingere verso una lotta per il potere, è quasi sicuro che l'impresa familiare finirà nel fallimento.
L'appoggio alla famiglia non può venire solo dal di fuori e non è sufficiente se esso è a un livello meramente collettivo o sociale: per esempio, giornate familiari o attività organizzate dalla parrocchia. E' in seno allo stesso focolare domestico che le famiglie devono sviluppare la propria personalità e la propria forza di coesione. La vita di famiglia di ogni focolare cristiano deve assumere una connotazione vigorosa, espressa in conversazioni, piani e iniziative familiari, che siano umanamente attraenti. Il compito non sembra facile, data l'attrazione esercitata da altre forze. Ma è qui dove i genitori affrontano la sfida di essere creatori di qualcosa di unico. In questo essi hanno bisogno di trovare appoggio da parte dei loro pastori, così come certamente lo trovano nella grazia di Dio.
Per riassumere:
Il matrimonio, nella verità dell'impegno e nella permanenza della relazione, è fortemente attraente perché si presenta come profondamente naturale. Tuttavia, a motivo della nostra natura decaduta, si presenta anche come profondamente difficile. Trasformare in realtà le promesse del matrimonio non è possibile senza la grazia, ma con la grazia è possibile (16).
La nostra presentazione pastorale del matrimonio deve essere ottimistica: mostrando l'attrazione naturale, senza sminuire l'importanza delle difficoltà naturali e mettendo l'accento sull'aiuto soprannaturale.
La vera cura pastorale dei coniugi deve fondarsi su:
- una sana antropologia, che da una parte sottolinea la complementarità dei sessi e dei ruoli sessuali, oltre alla dignità dell'uomo e della donna, e che dall'altra evidenzia i principali aspetti che rendono il matrimonio attraente e valido: specialmente la prole e l'indissolubilità;
- una sana psicologia, che insiste sul fatto che le difficoltà devono necessariamente comparire -- anche di grado serio -- in ogni matrimonio, ed è proprio qui che l'amore, che significa donazione, è messo alla prova, così da uscirne maturato o fallito;
- una sana teologia pastorale e sacramentale, che prepara gli sposi ad affrontare le difficoltà, mettendo la loro fiducia totalmente nella grazia sacramentale, nella preghiera e nel consiglio (17).
- una sana teologia ascetica, che ricorda, a coloro che si preparano al matrimonio e a coloro che già sono sposati, ciò che il Concilio Vaticano II ha tanto sottolineato: che il matrimonio, in definitiva, è fondamentalmente una vocazione alla santità (18); esso richiede costante esercizio nel vero amore, che consiste nella donazione di sé, nel sacrificio di sé, un perdersi negli altri per ritrovarsi di nuovo.
In ultima analisi, non possiamo e non dobbiamo sorvolare sul fatto che la felicità non è possibile senza generosità e senza sacrificio. La felicità, era solito ripetere il Beato Josemaría Escrivá, ha le radici a forma di croce (19). Qualunque sforzo di catechesi o di aiuto pastorale sarà inefficace se perde di vista questa verità. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, "Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce gli sposi potranno "capire" il senso originale del matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della Croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana" (20).
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N O T E
1.- Conferenza pronunciata al 13.mo "Workshop" dei Vescovi dell'America Settentrionale e Centrale: Dallas, 2 febbraio 1994.
2.- Cfr Humanae vitae, n. 9; Familiaris consortio, n. 13; Mulieris dignitatem, n. 7; ecc.
3.- Si deve sempre tener presente che l'espressione "se tradere" può implicare solo in modo figurato un dono della persona stessa. Il dono di cui si tratta è piuttosto la pienezza della sessualità coniugale complementare.
4.- Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2363) insiste sul "duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita".
5.- Cfr BURKE, C.: "El Matrimonio: ¿Comprensión Personalista o Institucional?" in Scripta Theologica 24 (1992), pp. 576 e ss.
6.- Benché sia di grande importanza approfondire l'argomento, anche perché la mentalità anticoncezionale contribuisce indubbiamente a che gli sposi siano meno capaci di mantenere la loro unione. Cfr BURKE, C.: "Matrimonial Consent and the 'Bonum Prolis'" in Monitor Ecclesiasticus 114 (1989-III), 397-404.
7.- Gaudium et spes, n. 48.
8.- Ordo celebrandi matrimonium, n. 25.
9.- Cfr BURKE, C.: "Personalism and the bona of Marriage" in Studia Canonica 27 (1993), 411-412.
10.- GIOVANNI PAOLO II, Udienza Generale, 28 aprile 1982. Cfr Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 (1982), p. 1344. Nella Familiaris consortio al n. 34 si dice: "si comprende come non si possa togliere il sacrificio dalla vita familiare, anzi si debba accettare di cuore, perché l'amore coniugale si approfondisca e diventi fonte di intima gioia".
11.- Summa Theologiae, I, q. 100, a. 2.
12.- Cfr cap. I, "Maestro, che cosa devo fare di buono?"
13.- Gli studi psichiatrici dimostrano che la decisione di convivere anziché sposarsi porta facilmente a stati di ansia e d'insicurezza profondamente radicati. Cfr NADELSON-NOTMAN: "To Marry or Not to Marry: a Choice" in American Journal of Psychiatry, 138 (1981), p. 1354.
14.- Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1607.
15.- Veritatis splendor, n. 17.
16.- Cfr Veritatis splendor, n. 102 e ss.
17.- I coniugi "hanno bisogno dell'aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. Senza questo aiuto l'uomo e la donna non possono giungere a realizzare l'unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati "all'inizio"" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1608).
18.- Cfr Lumen Gentium, nn. 39-41; Gaudium et spes, nn. 48-49.
19.- Cfr ESCRIVA' DE BALAGUER, Beato Josemaría: Forgia, n. 28.
20.- n. 1615.