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In qualsiasi solida visione antropologica, l'uomo appare come un essere incompleto o non ancora «compiuto». Ogni individuo deve pertanto cercare di realizzarsi; non però rinchiudendosi nel proprio intimo. Egli non trova infatti in sé stesso i mezzi indispensabili per la sua realizzazione: non è autosufficiente. Deve trascendersi, poiché si completa aprendosi ai valori e aderendo a essi. Questo necessario processo di apertura è contrastato dal profondo egocentrismo che il peccato originale ha lasciato in ciascuna persona e che, in seguito, è stato reso più forte dall'individualismo moderno secondo cui ognuno dovrebbe essere (o sentirsi) autosufficiente e contare soltanto su sé stesso.
Alla luce di queste prospettive culturali, la sessualità umana – la divisione cioè del genere umano in due metà, ciascuna delle quali è vista (sebbene non sempre in modo adeguato) come completamento dell'altra – appare un fattore di protezione contro l'autosufficienza individualistica nonché un potente stimolo alla crescita umana.
Le due modalità della persona umana
Nel fatto che gli esseri umani esistano in due modalità - maschile e femminile - è possibile (anzi, a mio parere, si deve) trovare una chiara e originale conferma della tesi secondo cui l'uomo ha bisogno di altri per perfezionarsi. Un'autentica realizzazione o sviluppo della persona umana non si ottiene senza una adeguata interazione sessuale. Nel caso dell'uomo l'istinto sessuale è dovrebbe essere più ampio che la mera attrazione fisico-corporale. Nemmeno si capisce la sessualità umana se essa viene ridotta semplicemente al suo ovvio orientamento procreativo. La dimensione distintiva della sessualità umana non si esaurisce infatti (e magari neanche risiede) nella sola procreatività, dove invece la sessualità animale, per contrasto, si dispiega e finisce [1].
La corporalità è evidentemente un aspetto fondamentale della sessualità umana. In certo modo, però, non soltanto è il suo aspetto più ovvio, ma altresì, per così dire, quello più superficiale. Quando predomina una percezione eminentemente fisico-corporea della sessualità umana, vi è il grave rischio di ridurla alla dimensione meramente animale.
Dal punto di vista antropologico si possono distinguere tré aspetti del fenomeno della sessualità umana:
1) Un primo aspetto che, in ordine alla comprensione e allo sviluppo della vita personale di ciascuno, suggerisce diverse caratteristiche o modi di essere umani, che - se si è capaci di percepirli - dischiuderanno la ricchezza e la potenzialità della propria natura umana. E in tal senso, anzitutto, che la sessualità deve sempre essere considerata e studiata. È così che ci si presenta come fenomeno antropologico di primaria importanza. Il suo dinamismo non va riferito principalmente all'amore tra un uomo e una donna in particolare, ma all'apprezzamento tra uomini e donne in generale [2].
2) Un secondo aspetto che, su un piano più specifico, offre una forma singolare di comunione con un «tu» concreto, impegnandosi in una relazione impareggiabile di donazione di sé e di accettazione dell'altro: la relazione coniugale, il matrimonio. Siccome, per la stragrande maggioranza degli uomini, il matrimonio costituisce la relazione umana interpersonale più stretta e intima, il suo ruolo nell'autentico sviluppo non può che essere unico.
3) Un terzo aspetto, conseguenza del secondo, è la formazione naturale di una comunione ancora più larga, la famiglia, nella quale la vita umana si perpetua e si sviluppa, e dove la vita individuale di ciascuno, dal suo inizio, diviene non soltanto frutto, bensì anche allieva dell'amore. Nella funzione educatrice e umanizzante della famiglia, la sessualità gioca - dovrebbe giocare - un ruolo multiforme di primo ordine.
Prima di procedere a una considerazione un po' più dettagliata di questi singoli aspetti, sarà opportuno soffermarsi brevemente su un fenomeno che li riguarda tutti e tré: il movimento femminista dei tempi moderni. Iniziato seriamente nel corso dell'Ottocento, il femminismo (in realtà bisognerebbe parlare di «femminismi») ha fortemente segnato il secolo ventesimo e tuttora riveste molte forme, senza arrivare a prenderne una definitiva pienamente coerente e consona a un'approfondita visione antropologica.
Da anni i diversi movimenti femministi, con iniziative assolutamente necessarie per correggere i gravi abusi dei secoli passati, hanno posto l'accento sull'uguaglianza in diritti e dignità dell'uomo e della donna. Nessuno può disapprovare (al contrario) le giuste richieste del femminismo: l'autentico riconoscimento, per la donna, della pari dignità con l'uomo e l'uguaglianza di opportunità nella partecipazione alla vita politica, professionale, sociale. Ma una gran parte dei movimenti femministi, soffermandosi quasi unicamente sui due aspetti dell'uguaglianza e della dignità, ne ha tralasciato e persino oscurato altri non meno fondamentali per la comprensione antropologica: a) la complementarità dei sessi, che armonizza la loro uguaglianza e differenza [3]; b) e, più essenziale ancora, l'identità specificamente sessuale di ciascuno; identità intesa pure come meta da raggiungere dai singoli per «realizzare» la propria vita. Questi due aspetti sono chiaramente interdipendenti, poiché, senza un'identità sessuale ben definita da parte dei mèmbri di ciascun sesso, non è possibile avere una complementarità autentica tra i partner.
La risposta ai valori sessuali
Passiamo a considerare il primo aspetto del fenomeno della sessualità umana. Il tema chiede che si restringa – o, se del caso, si allarghi - l'orizzonte della sessualità, per vedervi il suo ruolo umanizzante. E questo infatti l'aspetto più universale e in certo senso più importante della sessualità, presentandosi come il fattore fondamentale per l'integrale sviluppo umano individuale. Non mi riferisco all'origine meramente biologica di ogni persona dall'unione degli elementi maschili e femminili, ma piuttosto al fatto che l'uomo (e impiego la parola nella sua connotazione di essere umano in quanto tale, indipendentente dal genere) non può realizzarsi adeguatamente senza avere chiara coscienza delle due modalità (o espressioni) dell'umanità: quella maschile e quella femminile. L'uomo e la donna devono inoltre riconoscere i valori di carattere e di attitudini di ciascun sesso e rispondere/aprirsi a tali valori, per sviluppare quelli che si considerano più peculiari del proprio sesso, come pure quelli dell'altro.
La condizione sessuale attiene alla persona, non solo al corpo. Per sviluppare pienamente la sua personalità, ognuno deve essere capace di assumere e integrare la propria condizione sessuale. Uno dei più grossi ostacoli alla realizzazione di sé è dato dal tentativo di vivere senza riferimento al distintivo carattere sessuale che si possiede (o, peggio ancora, rifiutandolo).
Detto altrimenti, l'uomo (e ciò si applica in modo particolare alla situazione dell'adolescente all'iniziare il suo processo di maturazione psichica) si trova con due immagini di umanità parimenti valide. Ne la sola modalità maschile, ne la sola modalità femminile offrono un modello compiuto di umanità. Ne segue che il carattere autenticamente umano di una società o civiltà è necessariamente congiunto alla presenza in essa di autentici valori maschili e femminili, in fruttuoso interscambio tra di loro. L'armonia fra i sessi non è assolutamente da restringere all'area della vita sessuale, ma risulta un'autentica necessità per la comunicazione e la comprensione tra le due metà dell'umanità, e si tratta perciò di una questione nella quale è in gioco l'armonia della famiglia, delle istituzioni e della società tutta [4]. Questa armonia tra uomo e donna, messa oggi così in pericolo, può venire ristabilita non soltanto attraverso il riconoscimento dell'uguaglianza di diritti (derivante non dalla condizione sessuale, bensì dalla comune condizione di essere persona e cittadino), ma soprattutto dal riconoscimento della loro diversità e interdipendente complementarità. Gli uomini hanno bisogno di divenire più umani, cioè più ricchi in umanità, mediante la presenza delle donne, e viceversa.
La società per esistere e conservarsi dipende dal senso di mutuo aiuto e della complementarità di funzioni. Più importante della complementarità tra magistrati, avvocati e forze dell'ordine, per esempio, è tuttavia il senso della complementarità fra uomo e donna. Se manca questo senso, la società può divenire tecnicamente più sviluppata, ma si avvierà a un processo di declino umano e magari di disintegrazione.
Per svilupparsi, bisogna imparare a entrare in rapporto con gli altri, scoprendo l'originalità tipica di ciascuno e rispettando le legittime differenze. La differenza sessuale segnala un aspetto primordiale della realtà umana, dove il modo - i molteplici modi - di relazionarsi tendono a configurare profondamente la vita di ciascuno. Oggigiorno una concezione impoverita (e al tempo stesso distorta) della sessualità ha come conseguenza che lo sviluppo sessuale degli individui è seriamente limitato e addirittura deturpato. La società contemporanea è infatti contrassegnata da una sconcertante ignoranza del carattere originale e umanamente arricchente che dovrebbe distinguere le differenti modalità di relazione tra i sessi: dalla relazione considerata nella sua forma più generale – quella semplicemente tra uomo e donna – fino a tutte le relazioni particolari, di ragazzo e ragazza, fratello e sorella, madre e figlio, padre e figlia, fidanzato e fidanzata, con speciale riguardo a quella tra coniugi. Quando si comprendono adeguatamente le diverse forme di queste relazioni e si cerca di viverle nella loro specificità, esse diventano un possente aiuto perché ognuno cresca in umanità. All'inverso, pochi fenomeni possono presentare una più grave minaccia, tanto allo sviluppo dei singoli quanto all'armonia sociale, come una sessualità intesa solo in termini di differenze fisiche; o, peggio ancora, di una vicendevole opposizione o rivalità (considerata persino come una «lotta» per il potere) fra le due parti dell'umanità.
Concezione tradizionale dei caratteri maschile & femminile
Qualunque sia il modo di descrivere la tipizzazione maschile o femminile della persona umana, esso provocherà probabilmente l'immediata reazione critica che ogni generalizzazione tende a suscitare. Il carattere maschile è «alacre, attivo», diversamente da quello femminile, «passivo»; l'uomo si dedica agli affari pubblici, mentre la donna a quelli domestici; la razionalità del maschio confligge con il sentimento o l'intuizione della donna, così come la giustizia viene in contrasto con la pietà [5].
Una siffatta analisi oggi si accetta sempre meno. Sembra infatti porgere meri «stereotipi», raffigurazioni troppo rigide, che assegnano modi di essere e virtù esclusivamente all'uno o all'altro sesso; come se i valori o le virtù da sviluppare e assimilare, per conseguire un'umanità personale pienamente compiuta, fossero essenzialmente diversi nel caso dell'uomo e della donna. Lo sviluppo di ciascuna persona sarà invece integrale soltanto se essa acquisisce tutti i valori e tutte le virtù umani. Chi sperimenta - come avviene - una qualità vissuta particolarmente da un membro dell'altro sesso, deve ritenere che egli pure ha bisogno di vivere tale virtù, sebbene in maniera più corrispondente al proprio sesso. Si capisce così come appunto, per esempio, la donna possa e debba essere coraggiosa, e l'uomo sensibile e delicato.
È bene partire dal principio-base che tutte le virtù umane devono essere assimilate da ogni uomo e da ogni donna. Ciò che il fenomeno della sessualità rivela in questo àmbito è che esistono modalità maschili e modalità femminili di vivere ogni virtù (o la sua mancanza), e ciascun sesso deve imparare secondo queste differenti modalità dall'altro. Si ritoma alla considerazione che sia la donna sia l'uomo «rappresentano» l'umanità, ma ognuno a suo modo, necessariamente parziale.
Nel mondo della psicologia già guadagna notevole terreno una scuola che, muovendo dall'uguale dignità tra uomo e donna, propone modelli distinti per lo sviluppo dell'identità sessuale di ognuno. Si sottolinea infatti che i parametri finora generalmente in uso fra i psicologi per misurare e accertare il grado di «maturità» umana hanno corrisposto pressoché esclusivamente a un modello di sviluppo maschile. Il risultato è stato la tendenza, fin in epoca moderna, a definire l'«uomo» per le caratteristiche umane (e non anzitutto mascoline) e la «donna» per le caratteristiche femminili (e non anche umane). Di conseguenza si da un'idea incompleta non soltanto della donna, ma pure dell'uomo [6]. Gli esponenti di questa scuola notano che, se si applicano i parametri maschili, i risultali «dimostrano» logicamente una «inferiorità» della donna, alla luce di quasi tutti i valori reputati «chiave» per una vita «riuscita».
La corrente psicologica richiamata sostiene invece che la «maturità umana» è da misurarsi differentemente, a seconda che si tratti di donna o uomo; che la maturità femminile è parimenti valida e importante, ai fini dello sviluppo individuale e sociale, che quella maschile; e che tutti i «valori» e «virtù» che la persona di un sesso deve cercare di incarnare in quanto peculiari del suo sesso, sono valori e virtù da assimilare - magari con diversa modulazione - anche da parte della persona del sesso opposto. «È necessario rilevare che la mascolinità e la femminilità non si distinguono tanto per una distribuzione di qualità o virtù, bensì per il modo specifico che l'una e l'altra posseggono di incarnarle. Infatti le virtù sono umane, e ogni persona è tenuta a svilupparle tutte. Non risulta perciò affatto chiaro che vi siano lavori propri dell'uomo e della donna» [7].
L'espressione «uguaglianza sessuale» può essere equivoca. Sarebbe preferibile «uguaglianza personale». Comunque, «uguaglianza di dignità e di opportunità tra uomini e donne», sebbene lunga come frase, garantisce una precisione maggiore. L'uomo e la donna non sono «uguali» nella loro natura sessuale; bensì nettamente differenti. Non sono «uguali», ma complementari. Nemmeno è esatto parlare di «uguaglianza personale». Le persone sono uguali nella dignità; ma non esistono due persone «uguali» (cioè, identiche); ogni persona è unica.
Sembra invero corretto dire che c'è un modo maschile di sviluppare le caratteristiche e le virtù femminili e, viceversa, un modo femminile di incarnare le virtù maschili. Le modalità o sfumature di questo particolare processo sono indubbiamente così ricche e diverse da sfuggire a ogni classificazione. I modi in cui un uomo esprime la tenerezza (virtù femminile e non maschile?), o in cui la donna si mostra coraggiosa, di certo non smetteranno di manifestare l'identità sessuale dell'uno o dell'altra. Non si ravvisa nessuna ragione per sostenere che una donna sia necessariamente meno femminile, perché ha sviluppato un forte senso di competitività (si pensi alle diverse reazioni tante volte visibili nei gesti di un uomo o di una donna al momento di vincere una medaglia d'oro nei giochi olimpici).
L'uomo non può svilupparsi adeguatamente, diventare cioè pienamente umano, in un contesto di valori meramente maschili o meramente femminili (una società stessa può essere troppo mascolinizzata o troppo effeminata). Soltanto chi conosce i valori in ambedue le modalità sessuali che solitamente presentano, e cerca di praticarli, segue un integrale cammino umano nella formazione del carattere. La personalità umana si esprime di necessità tramite la femminilità e la mascolinità. Sia l'uomo sia la donna rappresentano la propria umanità diversificata e diversificante, con la conseguenza che non è davvero ragionevole cercare di stabilire la prevalenza di un sesso rispetto all'altro.
Non ha pertanto senso discutere quale dei due sessi sia «superiore». In ogni caso, sarà «superiore» la persona che cerca di sviluppare entro di sé le virtù più peculiari del proprio sesso (vincendo inoltre, se ne è capace, i difetti che possono considerarsi propri del sesso stesso), e nel contempo cerca di capire e sviluppare - forse, ripeto, con tonalità umana leggermente diversa - le virtù «tipiche» dell'altro sesso. Si può infatti dire che, per diventare più compiutamente umano, ciascun sesso deve imparare «umanità» dall'altro [8]. Tuttavia, ogni eventuale superiorità dipenderà dal raggiungimento effettivo della propria identità sessuale. Di sicuro potrebbe giustificarsi un'espressione come: «Lei è più donna di quanto lui sia uomo...»; e il senso sarebbe che la donna si è dimostrata superiore nel definire la propria identità sessuale. In passato, forse più che al presente, il senso dell'identità sessuale annoverava addirittura l'idea del «peccato contro il proprio sesso»; cedere alla codardìa nel caso dell'uomo, per esempio, o, nel caso della donna, alla immodestia o all'infedeltà.
Le donne inclinano agli estremi: sono migliori o peggiori degli uomini, osservava de La Bruyère nel descrivere i caratteri. Giudizio difficile da valutare. Comunque, c'era tradizionalmente (e forse vi è tuttora) l'impressione che la donna operi a un livello più alto di bontà (o a un grado più elevato di moralità). Nemmeno è facile valutare la ragione che ne fornisce Julián Marías: la donna ha bisogno di essere contenta di sé, di sentirsi abbastanza bene quando si trova con sé stessa [9]. Da tali presupposti ne potrebbe parimenti seguire che la donna immorale, più che l'uomo immorale, è minacciata dal disprezzo di sé.
L'identità sessuale dell'uomo
II ritratto psicologico dell'uomo si presenta probabilmente più semplice di quello della donna. Fisicamente è più forte; tende a concepire la propria «realizzazione» in termini di lotta, superandosi e superando gli altri. È pertanto più propenso alla competizione e, forse, agli affari pubblici. Con facilità eccede nell'attività fisica, ed è persino attratto dalla violenza e dalla crudeltà. Possiede uno speciale impulso verso l'indipendenza; l'idea di «autosufficienza» è probabilmente per lui la maggiore tentazione. Nondimeno, rimane incompiuto. Gli occorre un completamento, in particolare un'influenza che lo umanizzi. La scoperta autentica della donna può rappresentare la condizione per diventare più umano.
Julián Marías afferma che il nucleo della condizione maschile è precisamente l'entusiasmo per la donna (cfr. op. cit., p. 318). Il libro della Genesi ci riferisce l'iniziale reazione gioiosa di Adamo quando vide Èva per la prima volta. Era l'originaria risposta umana alla sessualità: risposta non di desiderio, bensì di entusiasmo sessuale; risposta di chi ha trovato nella vita una nuova dimensione che riempie un'assenza ormai avvertita. La reazione più profonda davanti alla sessualità deve essere infatti di gioia per una realtà che si presenta come fattore complementare e dunque realizzante e arricchente. Certamente ambedue i sessi sono chiamati a capire tutto ciò, nonché a sforzarsi di creare e mantenere le condizioni che facilitano una siffatta reazione, che pare prodursi sempre meno nell'odierna società. E poiché probabilmente è l'uomo ad avere maggiore necessità di capire, è la donna a possedere il ruolo più decisivo per creare le condizioni che rendono più facile la giusta reazione umana.
Fra altri principali aspetti occorre qui prendere speciale nota di come l'istinto a rispettare e proteggere la donna, così come la speciale ammirazione per la verginità e la maternità, siano fondamentali per lo sviluppo dell'autentico carattere maschile. L'uomo moderno non è affatto diverso in ordine a queste necessità; il problema è semmai che egli può non essere cosciente di quanto profonde siano le sue necessità in questo campo. Il problema diventa ancora più grave dal momento che l'ambiente sociale e culturale non lo aiuta a capire le proprie necessità o la sua inconsapevolezza. Questione tutta a parte sarebbe quella di valutare se le donne si rendono sufficientemente conto del ruolo che compete loro in materia. Fred Uhlman, nel suo breve e magistrale romanzo L'amico ritrovato, rileva la maniera «ingenua» in cui, negli anni Trenta, due ragazzi sedicenni si scambiano idee sulle ragazze: «Parlavamo anche delle ragazze. Rispetto all'atteggiamento disincantato dei giovani d'oggi, il nostro comportamento era incredibilmente ingenuo. Le ragazze erano per noi esseri superiori di straordinaria purezza, a cui bisognava accostarsi come, in passato, avevano fatto i trovatori, con ardore cavalieresco e adorazione distante». Gli adolescenti di oggi, semmai hanno conosciuto altro punto di riferimento, stenteranno a rendersi conto di ciò che perdono a motivo dell'odierna disillusione verso l'altro sesso.
Si parla oggi poco di formazione «per essere uomo» (continua a essere necessario parlarne); e ancora meno penso di formazione «per essere donna». L'educazione cosiddetta sessuale si è ridotta a una istruzione esclusivamente fisico-biologica. Tale educazione, in prospettiva veramente umana, lungi dal meritare di essere chiamata «educazione sessuale», riveste la forma di una «deformazione» nella comprensione umana della sessualità; e finisce per produrre persone «de-sessualizzate».
Si nasce maschio o femmina. Uno è donna o uomo per nascita. Che significa allora «imparare a essere», «imparare a divenire», donna o uomo? Come può una ragazza diventare una donna? Che modello o ideale dovrebbe seguire: quello di divenire «più simile all'uomo», come Henry Higgins avrebbe auspicato? [10] Forse George Bernard Shaw, almeno nell'adattamento di Alan Jay Lerner, presentava la visione maschile di un femminismo erroneo, così come egli se lo raffigurò. Sono molto più interessanti e significativi certi recenti tentativi, specialmente quelli provenienti da donne altamente qualificate, per identificare gli errori e proporre un femminismo più saldo.
L'identità sessuale della donna
Gli ultimi due decenni hanno visto emergere un nuovo femminismo. Muovendo da presupposti non solo di pari dignità e opportunità per i sessi, bensì di loro complementarità, questo femminismo enfatizza l'indole distintiva della donna e i tratti del carattere che la differenziano rispetto all'uomo. Di conseguenza esso sostiene che la donna possiede la propria maniera di raggiungere la maturità personale e la realizzazione umana. Questa tesi si trova in netto contrasto con le correnti femministe finora dominanti, le quali ritenevano piuttosto che l'«uguaglianza» è meglio presentata quando si insiste sulle somiglianze tra i sessi.
Secondo tale analisi «complementare», la donna è caratterizzata da una speciale attitudine o capacità di «occuparsi degli altri». I teorici del femminismo finora dominante scorgono in questa analisi una presunta subordinazione della donna ad altri (soprattutto all'uomo), ciò che non risulta loro accettabile. Essi inoltre, se talvolta cercano di connettere i principali due modelli umani di «autonomia» e «relazione», non sembrano nutrire dubbi che per loro l'«autonomia» personale è il fattore più importante [11].
Se è vero che «svilupparsi» o «realizzarsi» nella modalità maschile significa stabilire l'indipendenza del proprio «io» dagli altri, mentre nella sua modalità femminile l'«io» si sviluppa in base alla relazione con gli altri, allora è necessario che le donne, nel valutare e creare la propria identità, utilizzino parametri a loro peculiari [12]. Un altro psicologo sostiene che l'identità maschile si forgia in rapporto al mondo, laddove quella femminile si desta in relazione d'intimità con un'altra persona [13]. Se così è, allora la «maturità umana», da applicare a ciascun sesso (e nonostante molti fattori in comune), va verosimilmente giudicata secondo norme definitive distinte sebbene ugualmente valide. Le principali questioni dell'identificazione ed educazione sessuali dovrebbero forse muovere dall'idea che una donna matura e un uomo maturo si relazionano con il mondo in maniera diversa [14]. L'uomo suole considerarsi superiore (dal suo punto di vista); e ciò nondimeno la donna intelligente è sempre rimasta convinta della sua superiorità dalla prospettiva propria e negli àmbiti umani che ricadono naturalmente sotto il suo dominio. Alla fine di My Fair Lady, Henry Higgins, a dispetto di sé stesso e nonostante la sua autosufficienza, ha imparato ad amare Eliza e a sentirne la mancanza. Quando Eliza ritorna, Higgins nasconde la sua gioia con un borbottio: «Eliza, dove diavolo sono le mie pantofole?». E lei, che ne era innamorata, ma anche risentita per l'apparente mancanza di apprezzamento da parte di Higgins, ora capisce; si rende conto che anche lui ama. Ed Eliza accetta una relazione, dove Higgins «spadroneggierà» ancora, ma in resa continua perché ha bisogno di lei. Adesso Eliza si sa necessaria, e dunque amata. Ognuno si è arreso, e ognuno ha vinto. La «guerra dei sessi», nelle piccole o grandi manifestazioni che riveste nella vita coniugale (dove del pari accade), può essere risolta solo quando la vittoria è intesa in termini di resa, e la resa si vede come vittoria.
Quando si cerca di approfondire la questione dell'identità sessuale, tralasciare completamente i diversi ruoli procreativi dell'uomo e della donna non sarebbe meno assurdo che limitare il problema a questa concreta differenza di ruoli. Comunque, anche se la cooperazione dell'uomo e della donna è essenziale per la venuta al mondo di nuovi esseri umani, è chiaro che la donna detiene un ruolo assollutamente primario. È questo un fatto innegabile, che ognuno può successivamente considerare un ingiusto handicap o disturbo, un semplice dovere o missione, o anche un privilegio singolare [15]. Se ci si pone entro quest'ultima prospettiva, il principio primo del ruolo e dell'identità femminile potrebbe enunciarsi nel modo seguente: ciò che è proprio della donna è «dare vita all'umanità e dare umanità alla vita» [16].
Femminilità & unisessismo
Al tempo stesso la «femminilità», considerata come valore che attrae l'uomo, poco o nulla ha a che vedere (almeno nella sua prima e più ampia espressione) con la potenziale maternità. In quanto valore, dovrebbe essere manifestata e apprezzata meno nelle sue manifestazioni fisiche che in quelle spirituali e di carattere. Bisogna ammettere che la generazione attuale ha perso la comprensione naturale di questa verità. Mezzo secolo fa, la «grazia femminile» era una nozione densa di significato per uomini e donne, nonché un attributo che ragazze e donne si sforzavano di sviluppare e perfezionare. C'era senza dubbio una buona dose di convenzionalità in tutto questo; nondimeno, vi si poteva cogliere anche molto di veramente umano. Si può oggi dire che «la grazia femminile» rappresenti un concetto che molte donne realmente non capiscono. Quanto agli uomini, benché forse non pensino coscientemente a quel concetto, essi rimangono fortemente colpiti e attratti dalla realtà della grazia femminile quando l'incontrano. La leggiadria di Audrey Hepburn, negli anni Cinquanta (per esempio, in opposizione a Marilyn Monroe), potrebbe essere al riguardo un'efficace conferma.
La grazia femminile ha certamente qualcosa a che vedere con il comportamento, in quanto la condotta esterna richiama le qualità intrriori. Essa, però, non va principalmente identificata (nemmeno alla lontana) con la mera bellezza fisica. È davvero una forma di sex appeal, quantunque non nel senso in cui l'espressione è oggi solitamente usata e intesa. Il secolo ventesimo premia le attrattive fisiche e penalizza la ragazza non dotata sotto questo aspetto. Peggio ancora; l'etica sociale dominante la sottopone a una forte pressione perché sia sexy, il che essa può forse riuscire a fare, ma che esercita sugli uomini un'attrazione totalmente diversa da quella prodotta dalla femminilità. Il secolo XIX fu un tempo in cui le donne erano certo meno socialmente «libere» di oggi. E tuttavia la letteratura dell'epoca riflette spesso situazioni nelle quali una donna, scialba ma femminile, esercita un potere di attrazione superiore a un'altra, bella ma priva di femminilità. Jane Eyre (anche nella sua versione filmata) può servire di esempio.
È probabile che la donna incapace di acquisire un'autentica grazia femminile (attingibile da tutte) soffra nella sua identità sessuale una limitazione più grande dell'uomo debole e senza vigore.
La gentilezza, la tenerezza, il tatto, la modestia... sono enumerate fra le qualità che un uomo - consapevolmente o no - cerca nella donna. Se si sposa e non le trova nella moglie, sopraggiunge la disillusione; il matrimonio può cominciare a naufragare. Qualcosa di analogo è possibile dire per la donna che non rinviene nel marito un certo vigore, capacità di affrontare le difficoltà sia professionali che familiari con ottimismo, spirito di iniziativa, e via elencando.
Se il modo di concepire il sesso si incentra sulle relazioni fisiche, la capacità che la sessualità possiede di essere fonte di felicità diminuisce enormemente. Anche a prescindere da ogni aspetto morale, la sessualità viene impoverita e impoverisce se è ridotta al mero senso tattile o inglobata nell'appetito fisico. Rende ricchi, invece, se diviene una scuola nella quale si impara ad apprezzare le qualità complementari. L'uomo può rallegrarsi di continuo nel femminile, la donna nel maschile (cfr J. Marías, op. cit., p. 326). La donna che pone in risalto unicamente gli aspetti fisici del proprio sesso, desta con facilità ciò che di più negativo è nell'uomo. È quando la donna acquista una vera femminilità, e la dimostra, che lo ispira. Indubbiamente è vero anche il contrario: non però con pari intensità. Si comprende allora perché la donna possieda un potere cosi umanizzante e salvifico; o, anche, il potere del tutto contrario.
Per forza fisica, l'uomo è superiore. Le qualità che, a compenso, la donna possiede non rientrano nel campo fisico, bensì nel suo potere umanizzante. L'uomo ha più muscoli, la donna più cuore. Se essa si dedica a competere con l'uomo nello sviluppo del corpo, sarà certo inferiore. Nel pensiero tradizionale si riteneva che la donna avesse una capacità maggiore dell'uomo per la dedizione agli altri e la rinuncia di sé, ciò che costituiva uno degli aspetti più attraenti e autorevoli del carattere femminile: «Quella amabilità della donna radicata di solito nell'abnegazione» [17]. Per chi ha una visione individualistica dell'esistenza, «abnegazione» richiama «alienazione», come sembra avvenire con la maggior parte dei teorici femministi radicali (e infatti il modello che essi propongono alle donne non è leso da tale «difetto»). L'abnegazione, nel suo senso personalistico (dono di sé; dimenticanza del proprio «io»), è una virtù e una prova di maturità.
Per la donna specialmente risulta difficile superare la convinzione interiore che l'«autoaffermazione» è tante volte nient'altro che egoismo, in opposizione al dono di sé, così necessario per la realizzazione dell'identità femminile. Non è facile che una donna trovi la propria identità per via del l'autoaffermazione [18].
La mascolinizzazione delle donne è sovente il risultato di un femminismo mal orientato. Incapaci di riconoscere i veri e specifici valori femminili, numerose donne si impegnano a imitare gli uomini, al punto di trovare poca difficoltà ad assimilarne i difetti [19]. «Quando le donne, entrando nella vita professionale, adottano i "difetti" maschili, divengono dure e violente (invece di forti), indipendenti e sradicate (anziché socievoli e vincolate ai valori personali), tecnicistiche (invece di pratiche e volte al concreto)» [20].
Il femminismo radicale afferma che le donne, lungo quasi tutta la storia, hanno dovuto soffrire per il trattamento pessimo e irriguardoso. Non si può negare che spesso è stato così; in tanti Paesi capita ancora. Ma bisogna anche chiedersi come mai i dottrinari del femminismo non riescono ad apprezzare le ragioni del perché, nella storia delle civiltà, tante donne sono state oggetto di un rispetto profondo e di un'ammirazione senza limiti. Come mai è diventato ripugnante almeno per loro l'ideale di essere una «buona madre» o una «buona sorella»? Tutto il contenuto positivo, come pure tutta la lotta che lo sviluppo di quei ruoli femminili comporta, sono tralasciati o sepolti sotto un assoluto silenzio. E lo stesso va detto della gratitudine indicibile di tanti uomini che venerano la presenza o la memoria delle loro madri o sorelle.
L'unisessismo, con la spinta a restringere le diversità tra i due sessi, tende a ridurre l'attrazione esistente per natura tra di loro alla dimensione esclusivamente corporale. Ciò costituisce un impoverimento. La cosiddetta «educazione sessuale», quale viene oggi propinata in diversi Paesi, è una mistificazione. Non si tratta affatto di educazione sessuale, ma piuttosto di educazione alla «desessualità». Essa educa i giovani non a crescere come uomini e donne maturi, bensì a diventare cittadini unisex: una grave perdita. A motivo della peculiare ricchezza dell'indole femminile, la mancata comprensione e il mancato sviluppo delle caratteristiche specifiche dei due sessi determinano una limitazione evolutiva, probabilmente più per la donna che per l'uomo.
Un effetto pressoché inevitabile dell'educazione unisex consiste nella spersonalizzazione del corpo. Esso diventa qualcosa di estraneo alla persona, qualcosa che è possibile usare per il piacere, come si potrebbe fare uso di una chitarra, un cibo o una bevanda. Allora ogni sorta di gratificazione sessuale diviene logica, avvincente e irrilevante. Nell'attività sessuale non si usa o non si abusa di sé, ma ci si gratifica servendosi di qualcosa che è estrinseco al proprio «io». La storia ha ripetutamente testimoniato gli effetti distruttivi di un tale dualismo.
Il dominio della moda
La moda è tendenzialmente un potente fattore che può favorire od ostacolare l'acquisizione di una vera identità sessuale. Essa fa sentire il proprio impatto a livello più delle apparenze che della realtà, e là dove esercita troppa influenza può esaperare le componenti esteriori o corporali che ben poco hanno a che vedere con la genuina identità sessuale. Una salutare indipendenza dalla moda, oltre che a rivelare una maggiore maturità di carattere, rende più facile a una persona la consapevolezza di che cosa significhi essere una vera donna o un vero uomo.
La moda di misurarsi in duello può essere servita a costringere uomini deboli a divenire coraggiosi, benché il coraggio dei duellanti fosse quasi sempre più apparente che reale, essendo spesso frutto del timore di essere considerati codardi; cosa che rivela un carattere immaturo e dipendente, i cui parametri di condotta personale sono improntati a ciò che gli altri possano pensare. La roulette russa rappresenta la massima espressione di questa immaturità psicologica. Dietro l'assoluta spregiudicatezza esibita, si cela il timore adolescenziale dell'opinione dei propri simili; opinione che una persona di medio criterio psicologico trascurerebbe come priva di valore. Molti psicologi ritengono che la sottomissione alla moda abbia influenza specialmente forte sulle donne, nel costruire o minarne la crescita nell'identità sessuale. E un fatto che se la donna ha scarsa indipendenza di carattere e insufficiente intuito dell'orientamento sessuale degli uomini, la forza della moda può portarla a scelte che favoriscono ben poco il proprio sviluppo.
Poche donne sono «padrone» della moda; la maggior parte tende a seguirla. Ogni piccola variante che si apporta è diretta a intensificare il dominio della moda piuttosto che ad allontanarsene. Il desiderio di essere più alla moda è perciò di frequente accompagnato dal timore di scostarsene troppo. Peraltro è proprio la donna manifestamente «diversa» a richiamare spesso gli uomini, tanto più se quella diversità è espressione di una maggiore femminilità. «Le donne non possono essere attraenti se fanno tutto quello che fanno gli uomini [...]. Questi non desiderano forse che le donne siano diverse da loro? Solitamente, sì» [21]. Quando nel mondo della moda l'esposizione del corpo (minigonne, bikini) si afferma come norma, la sua disapprovazione in nome della moralità può suonare ai più come fuori luogo. Al di là di ogni considerazione morale, lo studioso di antropologia può anche sospettare che le ragazze e le donne che si assoggettano prontamente a quel tipo di moda mostrino scarsa conoscenza delle diverse maniere in cui possono provocare l'interesse sessuale da parte degli uomini, e forse dovrebbero domandarsi se vogliono realmente essere oggetto di quel tipo di interesse che esse cercano di suscitare.
Da qualche decennio la moda della donna in pantaloni si è diffusa quasi dappertutto nel mondo occidentale. Anche se nessuno si sognerebbe di dire che tale moda attesti scarso senso morale nella donna, essa tuttavia rivela mancanza di sensibilità verso l'importanza dell'identità sessuale, congiunta a scarso discernimento psicologico dell'apprezzamento maschile e a una passiva sottomissione alla pressione delle amiche.
Poniamo il caso che, a un ricevimento con persone d'ambo i sessi, una donna in gonna costati che tutte le altre donne indossano pantaloni. La percezione immediata la indurrà a sentirsi impacciata nei confronti delle donne presenti, a motivo del suo «non essere alla moda»? O sarà abbastanza furba da rendersi conto di essere quasi certamente l'unica di tutto il gruppo ad apparire come la più femminile agli occhi degli uomini? Ma non tutte le donne dotate di discernimento psicologico, tale da cogliere la situazione, possono essere abbastanza indipendenti da agire di conseguenza; e allora il naturale desiderio di essere interessanti e attraenti per l'altro sesso conduce a sottomettersi alla moda delle proprie simili.
Complementarità & integrazione
A meno che non ci si sforzi di vedere gli aspetti relazionali e psicologici del sesso intrinsecamente congiunti alla sua natura bio-fisica, la comprensione della sessualità umana sarà necessariamente inadeguata. L'identità sessuale deve considerarsi un dato di fatto (e perciò da accettare), prima di essere proposta anche come meta da conquistare. Poche reazioni sono più alienanti e autodistruttive che quella di contestare gli aspetti oggettivi e i dati di fatto della propria natura umana.
È tra i compiti di ogni sesso «nutrire» l'altro nella propria identità sessuale, aiutando così la persona maschile e femminile a sviluppare una più piena maturità. Oggi, però, vi è mancanza di mascolinità in grado di arricchire le donne, risvegliandone la femminilità e facilitando così la loro maturazione umana. E si registra altresì mancanza di femminilità per ispirare gli uomini, spingendoli allo sviluppo della propria umanità maschile. Il mondo attuale conosce un vuoto, non un eccesso, di autentica sessualità; il pericolo è che la nostra diventi una generazione affetta da «malnutrizione sessuale» e, in tal maniera, essa resti umanamente sottosviluppata. La società stessa, l'insieme cioè degli individui che la costituiscono, si rivelerà più o meno umana nella misura in cui sia in essa presente e operativa una integrazione di valori femminili e maschili. È per questa ragione che è così preoccupante la perdita contemporanea della identità sessuale.
«Si tende oggi a riconoscere che l'ideale della donna è quello di portare le caratteristiche femminili a pienezza in lei stessa e nella società, accrescendo così l'armonia con l'uomo e con le peculiarità maschili che sembrano aver foggiato la cultura moderna troppo incisivamente. Si tratta di rispettare la differenza tra i due tipi di caratteristiche, ricercandone la complementarità e non l'opposizione o l'incompatibilità» [22].
«A entrambi i sessi è affidato il medesimo compito: la famiglia e la gestione del mondo. Secondo questa visione, non ci sono mansioni esclusivamente riservate agli uomini o alle donne. Detto altrimenti, la sfera privata e quella pubblica competono agli uni e alle altre. È comunque un dato storico che la donna è stata consegnata alla sfera privata e l'uomo si è appropriato in modo esclusivo della costruzione del mondo, dedicando appena un po' di tempo alla famiglia. Ciò suppone uno squilibrio che va superato. In sintesi, si potrebbe dire che la cultura ha bisogno di trovare una madre e la famiglia un padre» [23]. Sono osservazioni interessanti. Occorre infatti che tanto gli uomini quanto le donne siano attivi nella sfera privata come in quella pubblica. Comunque, se è vero (si tratta sempre di una generalizzazione) che la tendenza naturale della donna è piuttosto volta alla persona mentre quella dell'uomo è volta all'agire, risulla essenziale che la maggiore presenza delle donne nella vita pubblica abbia particolarmente l'effetto di contrastare la spersonalizzazione di tanti aspetti della vita contemporanea, ponendovi rimedio. Per fare ciò, occorre magari che non poche donne riscoprano (e, se necessario, abbiano il coraggio di seguire) la naturale loro inclinazione a professioni che si occupano più direttamente delle persone.
Chi non vede il singolare valore tanto della femminilità quanto della mascolinità non capirà l'esigenza di una vera formazione sessuale, che aiuti ciascuno a raggiungere una personale identità umana modellata diversamente, a seconda che si sia uomo o donna. L'inclinazione a scorgere opposizione, anziché complementarità, tra i sessi porta a un femminismo e a un maschilismo fuorvianti, ossessionati dalla «lotta per il potere» cui si tende a ridurre ogni aspetto delle relazioni tra i sessi. La moderna società occidentale testimonia, a dir poco, una crescente divisione e una mancanza di reciproca fiducia e rispetto tra i sessi, il che rappresenta un inquietante fatto culturale; che tale situazione si sviluppi fra le due parti dell'umanità è fenomeno della massima gravita.
Una «panoramica» condotta sulla sessualità odierna potrebbe giungere alla conclusione che, come prima, vi sono tantissimi corpi maschili e femminili, con la realtà della reciproca loro attrazione fisica; al tempo stesso, però, rileverebbe che vi sono sempre meno persone maschili e femminili capaci di esercitare un'attrazione (e una ispirazione) sessuale veramente umana e umanizzante.
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[1] Negli animali, il sesso ha una funzione esclusivamente riproduttiva; negli uomini invece, oltre la funzione riproduttiva; esso riveste anche una funzione perfettiva.
[2] L'apprezzamento sessuale è tipicamente umano. È inoltre necessario se il desiderio sessuale che condividiamo con gli animali, non deve rimanere semplicemente animale, ma divenire anche autenticamente umano. In assenza di un vero apprezzamento sessuale, vi sarà scarsa capacità di umanizzare il desiderio. Desiderio sessuale senza apprezzamento è il risultato crescente non solo della pornografia, ma altresì delle «avventure» sessuali-biologiche e della perdita di identità sessuale.
[3] "Le due premesse della complementarietà sessuale: uguaglianza e differenziazione" P. Allen: Integral sex complementarity. in "Communio", 1990, p. 531.
[4] R. Yepes: Fundamentos Fundamentos de Antropologia: un ideal de la excelencia humana, Pamplona, 1996, p. 271.
[5] Certi dati sono incontestabili: a) quasi sempre l'uomo è fisicamente più forte che la donna; b) soltanto la donna può concepire e partorire. Sono comparabili questi due fatti? Chi pensa così, e al tempo stesso apprezza la forza più che la maternità, quasi inevitabilmente giungerà alla conclusione che l'uomo è superiore.
[6] Carol Gilligan: In a Different Voice, Harvard University Press, 1982 passim; cfr. Blanca Castilla: La Complementariedad Varón-Mujer, Madrid, 1993, pp. 42-43.
[7] B. Castilla, op. cit., 78.
[8] Una psicologa sostiene che la "salute mentale ottimale viene riflessa nell'androginia psicologica, cioè nella coesistenza delle caratteristiche maschili e femminili, da esprimersi in situazioni adeguate (per esempio, tenerezza coi bambini e competitività con l'avversario nel tennis)...": American Journal of Psychiatry, vol. 147 (1990), 910.
[9] Cfr J. Marías, La felicità umana, Ed. Paoline, Milano 1990, p. 333.
[10] My Fair Lady, Atto 2, Scena 4.
[11] cf. S. Berlin-C.G. Johnson: "Women and Autonomy": Psychiatry: vol 52 (1989) pp. 79-94.
[12] cf. C. Gilligan: op. cit., pp. 24-39.
[13] Erik H. Erikson, Identity: Youth and Crisis, New York, 1968, citato in Gilligan, p. 13.
[14] cfr. Gilligan, op. cit. pp. 167-168, dove cita un altro psicologo, David McClelland. "McClelland sostiene mentre per gli uomini il vigore nell'agire rivela un impronta di determinatezza o di aggressività, le donne invece considerano l'attenzione verso gli altri atti di valore. In quanto lo studio di McClelland tratta particolarmente delle caratteristiche della maturità, questo autore afferam che le donne mature e gli uomini maturi si relazionano al mondo con un stile diverso".
[15] «Sembra che il nostro mondo moderno abbia perso di vista un aspetto primario della sessualità: se nulla rende un uomo tanto rispettoso di una donna quanto la maternità è perché la maternità sottrae la donna alla categoria di un oggetto da possedere, situandola in quella della realtà da venerare. La sessualità, separata dal riferimento alla paternità, viene defraudata della sua dimensione misteriosa e sacrale, il che attiene con particolare vigore alla maternità. In nessun altro aspetto appare il mistero e la gloria di esser donna quanto nella sua capacità di essere madre. Pochi uomini non sono commossi da questo mistero. Oggi invece non sembrano molte le donne che se ne gloriano»: C. Burke: La Felicità Coniugale, Milano, 2004, p. 24.
[16] P. Urbano, Josemaría Escrivá, romano, Leonardo, Milano, 1996, p. 64.
[17] A. Trollope, Il Primo Ministro: cap. 5.
[18] Cfr C. Gilligan, op. cit. p. 87.
[19] Vi è chi ritiene che andiamo verso una società dominata dai (peggiori) difetti maschili.
[20] B. Castilla, op. cit., p. 48. Più avanti la stessa scrittrice rileverà che il processo di "imparare il peggio dall'altro" possa essere bi-dimensionale. Afferma infatti che, in conseguenza dell'assenza di un adeguato senso di identità sessuale e dell'impegno per ricuperarlo "siamo testimoni dell'espandersi di una figura di società decadente dove ciascun sesso, anziché imparare dalle qualità dell'altro, lo imita nei suoi difetti" (p. 52).
[21] Willa Cather: A Lost Lady.
[22] Cfr R. Yepes: loc. cit.
[23] B. Castilla, op. cit., 88-89.