Personalismo, Individualismo, e la «Communio» del Concilio Vaticano II (Studi Cattolici 396 (f

"Communio": ecco il tema centrale e dominante del Concilio Vaticano II che presenta la Chiesa come la comunione del popolo di Dio, aperta a tutti gli uomini: iniziativa e forza divine per unire tutti in uno. "La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (Lumen Gentium, n. 1). Infatti il Concilio formula una chiamata poderosa e traccia le direttrici fondamentali per il rinnovamento della Chiesa e del mondo attraverso questo senso di "communio" (cfr. Relatio Finalis del Sinodo Straordinario di Vescovi, 7 decembre, 1985: Enchiridion Vaticanum 9, 1800-1809).

            Pero allo stesso tempo che il Concilio propone questa "communio", fonda anche le basi per sviluppare una vigorosa visione personalista della vita umana. Il Vaticano II non è centrato solamente sulla comunità ma anche sulla persona. E' risaputo che il magistero di Giovanni Paolo II, insiste non solo continuamente sulla comunione umana ed ecclesiastica, ma è caratterizzato anche da una filosofia personalista fondata ed articolata. Ora, di fronte a questa combinazione di elementi- la comunità come ideale e meta, e la persona come punto di riferimento - ci si potrebbe domandare se realmente si possono combinare. Non esiste una tensione tra le due, uno che si chiude sulla persona e l'altro che si apre verso la comunità? Non sembrerebbe esistere una logica opposizione tra di loro? E, se non fosse così, come si relazionerebbero e come si potrebbero armonizzare? Di fatto esiste un'armonia naturale tra i due; però, per vederla, bisogna prima capire adeguatamente la vera natura del personalismo.

Personalismo

            Il personalismo rappresenta una visione dell'uomo che sottolinea la sua dignità quale figlio di Dio. Vede nel dinamismo che lo caratterizza un essere chiamato alla autorealizzazione abbracciando liberamente i valori trascendentali e duraturi. Il personalismo tiene particolarmente conto della libertà personale: quella del singolo e quella degli altri, e quindi ha una coscienza non meno viva della responsabilità personale.

            Il personalismo mantiene una viva coscienza della dignità e dei diritti della persona, invita tutti a difenderli contro qualsiasi tipo di violazione perpetrata in uno stessa persona o in un'altra. Propone allo stesso tempo che colui che è cosciente dei suoi diritti, deve avere pure coscienza dei suoi doveri (Diritti e doveri sono correlativi; non c'è una autentica filosofia di diritti che non sia allo stesso tempo filosofia dei doveri). Il personalismo quindi non vede nessuna degradazione della persona, nessuna perdita di categoria, ad esempio nel dover obbedire alla verità o alla legittima autorità. In questa obbedienza c'è una particolare espressione della dignità dell'uomo: la sua capacità di discernere i valori e di rispondere attivamente ad essi. Per questo, afferma Karol Wojtyla: "La persona si realizza nel modo più compiuto mediante il dovere" (Persona e Atto, Lib. Ed. Vaticana, 1982, p. 194).

            Quindi, chi possiede un vero spirito personalista è cosciente della dignità e dei diritti degli altri non meno che dei suoi. Gli risulta naturale comportarsi con rispetto verso gli altri nei quali vede fratelli e sorelle in Cristo, figli dello stesso Padre. Il personalismo insiste in modo particolare nei doveri verso gli altri e vede il compimento di questi doveri pure come mezzo di sviluppo personale e di autorealizzazione. L'idea di auto-donazione entra nell'essenza del personalismo fino ad un punto tale che il testo personalista chiave del Vaticano II afferma che "l'uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (Gaudium et Spes, n. 24).

            Il personalista incontra valori personali dapertutto ed in tutte le persone, tende a mantenere un'attitudine di apertura e corrispondenza verso questi valori e a corrispondere a quello che gli propongono o esigono, e così si arricchisce.

            Giovanni Paolo II nell'enciclica Centesimus Annus, scrive: "quando non riconosce il valore e la grandezza della persona in se stesso e nell'altro, l'uomo di fatto si priva della possibilità di fruire della propria umanità e di entrare in quella relazione di solidarietà e di comunione con gli altri uomini per cui Dio lo ha creato" (no. 41). Il fatto è che la natura umana possiede un "carattere essenzialmente relazionale". La persona che cresce si arrichisce per mezzo di un relazione con gli altri, aperto e generosamente recettivo; l'alternativa è l'isolamento sociale e l'alienazione umana (cfr. E. Wolicka: "Participation in community: Wojtila's social anthropology" Communio 8 (1981), pp. 111; 115-116).

            E' ovvio che questa coscienza dei valori presenti negli altri offre una salda base e un grande aiuto, per la costruzione della comunità. Nel vero personalismo c'è un'alleanza naturale fra la persona - l'essere umano, individuale e particolare - e la comunità. La partecipazione personalista nella comunità non implica un adattamento di interesse ad interesse bensì di persona a persona, fondata sulla coscienza della dignità e dei diritti che tutti insieme hanno in comune.

            Il personalismo cristiano è orientato verso la comunità ad un livello ancora più profondo, perché comporta la comunità di ogni fedele con Cristo. Il cristiano "si realizza" nella comunione con Cristo, nella misura in cui si apre a Cristo. Ne consegue che l'auto-realizzazione si attiene ad una regola di estroversione, mai di introversione. Cerca un centro, però questo non è in se stesso bensì in Cristo; e negli altri, in Cristo.

            In questo modo si vede che il personalismo e la comunità stanno sulla stessa linea (cfr. Wojtyla, op. cit., pp. 312ss). Il personalismo cristiano propone una vocazione fondamentale di ciascuno alla comunione. Lo sviluppo della vita personale in comunione con Cristo richiede una lotta costante contro l'egocentrismo: e ciò lo porta ad essere più aperto alla comunione con gli altri. Chi si dà, si trova. Si comprende quindi come il personalismo non sia solamente in armonia con la comunità, ma costituisca una condizione di qualsiasi sana e dinamica comunità. In effetti, una comunità non fondata sul rispetto verso la dignità della persona termina in una massa senza anima, in un campo di concentrazione, o in uno stato totalitario.

Individualismo

            Il personalismo cristiano - visto in questi termini - si è sviluppato recentemente, e bisogna distinguerlo dall'altra corrente filosofica e dal modo di vivere che per molti anni hanno caratterizzato il mondo occidentale: l'individualismo secolare che (assieme al collettivismo [1] ha dominato gran parte del pensiero e dell'esistenza moderni. Risulta molto importante fare una distinzione tra i due, in quanto l'individualismo potrebbe facilmente venir considerato come collegato al personalismo, fino al punto di confondersi con questo (soprattutto perché determinate forme di individualismo utilizzano una terminologia apparentemente personalista); ed è comunque completamente differente, e di fatto totalmente opposto al vero personalismo cristiano. Difficilmente si può rilevare l'importanza di distinguere l'autentico personalismo cristiano da tutti gli "pseudo-personalismi" che sono di carattere fondamentalmente individualista.

            L'individualismo è nemico della comunità. Vede nell'individuo il bene supremo fondamentale, e sostiene che gli interessi della comunità e della società debbano venir subordinati all'individuo. Lì dove gli interessi dell'individuo non corrispondono con quelli degli altri o della comunità, l'individualista anteporrà sempre il suo proprio interesse [2]. L'individualismo non poche volte accentua l'autonomia dell'individuo fino al punto di trasformarlo (spesso senza che nemmeno se ne accorga) in un suo proprio Dio [3].

            In un certo senso bisogna dire che l'individualismo si presenta come un tipo di personalismo mutilato e falso. Pure esso sottolinea i diritti, però non i doveri. Esige libertà, però non accetta la responsabilità di dover rispondere delle sue proprie azioni. Trasforma l'individuo, e non la verità, in norma di moralità. I suoi giudizi tendono ad essere soggettivi." Promuove l'arbitrio nella condotta, senza preoccuparsi delle esigenze della vita sociale. Si preoccupa di se stesso, però non degli altri almeno che gli interessi di questi coincidano con i propi. Difende i diritti degli altri soltanto quando può farlo senza costo personale. Mai difenderà un diritto altrui se ciò implica un dovere personale. L'individualismo tende ad essere cieco o chiuso verso i valori che esistono negli altri: le relazione con loro valgono nella misura in cui servono il propio ingrandimento.

            Non poche volte bisogna stare attenti per distinguere l'apprezzamento individualista da quello che è autenticamente personalista. Alcuni scrittori, ad esempio, che si ritengono personalisti, fanno una facile equivalenza tra il personalismo ed il soggettivismo. Ragionano non come personalisti bensì come individualisti. Il soggettivismo è totalmente individualista ed opposta alla "communio". Di fatto, una moralità completamente soggettiva distrugge la comunità umana. Se mi è lecito seguire sempre "quello che è giusto secondo me", anche se risulta assolutamente offensiva per gli altri, la base di tutta la solidarietà sociale viene rapidamente a cadere [4].

            L'individualismo è nemico dello sviluppo e della realizzazione della persona. Non è bene che l'uomo sia solo, o che pense e si comporti come se fosse auto-sufficiente. Può realizzarsi solamente attraverso relazioni di apertura, di rispetto e di donazione verso gli altri, e non di isolamento, di egoista indifferenza o di sfruttamento. "L'individuo si definisce lontano dalla folla o dalla grande massa in generale. La persona invece si costituisce attraverso le relazioni con gli altri all'interno dei vincoli sociali e della comunità" (Prudence Allen: "Integral sex complementarity" Communio 17 (1990), p. 537). Giovanni Paolo II insiste: "essere umano significa una chiamata alla comunione interpersonale" (Mulieris Dignitatem, n. 7); "essere e agire insieme con gli altri", come sottolinea attraverso le pagine di Persona e Atto.

            L'individualismo è nemico della comunità; gli manca il rispetto verso gli altri (in modo particolare verso la loro libertà), ed è sprovvisto dello spirito di servizio. Gli unici vincoli che crea con gli altri sono quelli del proprio interesse (da qui il concetto che ha della società: una serie di individui associati in virtù dell'interesse pragmatico o della semplice necessità). Dove l'individualista non vede chiaramente il proprio interesse, non andrà d'accordo con gli altri. Ciò risulta distruttivo per qualsiasi vera comunità.

Il bene comune

            Si potrebbe aggiungere una parola a proposito del "bene comune" che Gaudium et Spes concepisce come quelle condizioni che permettono all'uomo di raggiungere una "vita pienamente umana". Abbraccia "l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente" (n. 26; cfr. n. 74). Ne consegue che, essendo l'uomo sociale per natura, lo sforzo di ognuno per promuovere il bene comune lo umanizza effettivamente e lo personalizza ogni volta di più. Come afferma Giovanni Paolo II nell'Esortazione Apostolica Christifideles Laici: "Si dà interdipendenza e reciprocità tra persona e società: tutto ciò che viene compiuto a favore della persona è anche un servizio reso alla società, e tutto ciò che viene compiuto a favore della società si risolve a beneficio della persona" (n. 40).

            Ora, per l'individualista, il "bene comune" è un concetto che va tralasciato, o comunque viene inteso in termini materialistici, riducendosi a livello di vita, servizi pubblici, ecc., e valorizzato attraverso parametri prettamente economici o ideologici, e non attraverso quelli veramente umani quali sincerità, lealtà, giustizia, fedeltà, giustizia e mutuo rispetto. In una società individualista le persone tendono a considerarsi sempre più come rivali; nascono così la sfiducia e l'apatia verso il concetto stesso della società. "Ne resulta la crescente incapacità de inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune" (Centesimus Annus, n. 47).

            Ora, tutte queste considerazioni portano ad una conclusione molto importante: si può essere personalista ed allo stesso tempo essere centrato ed integrato nella comunità. Non si può essere individualista e mantenere un autentico spirito comunitario. Il non aver captato questa verità e fatto questa distinzione ha costituito un ostacolo principale al rinnovamento prospettato dal Concilio Vaticano II. In effetti non pochi tentativi postconciliari di rinnovazione sono falliti in quanto animati da uno spirito individualista piuttosto che da un personalismo autenticamente cristiano. Consideriamo alcuni esempi.

Alcuni campi

            a) Dottrina. La dictomia "comunità-personalismo", da una parte, e individualismo dall'altra, è particolarmente ben illustrata nell'opposizione tra il pluralismo correttamente inteso, da una parte, ed il dissenso radicale dall'altra. Il sano pluralismo (diversi modi di analizzare o di applicare verità fondamentali nelle quali si crede con una fede comune) è segno di rispetto tanto verso la verità quanto verso i diritti di tutti, ed è pure un segno della vitalità della stessa comunità. Il dissenso - nel senso del rifiuto di una dottrina chiarmente proposta dal Magistero in suo servizio del Popolo di Dio - denota una incapacità di pensare in sintonia con la comunità, e di mantenersi unito alla Mente di Cristo il quale ce la va chiarendo attraverso i secoli, per mezzo dei canali che Egli stesso ha stabilito. Tale dissenso è essenzialmente individualista [5], e costituisce uno degli elementi più potenti che tendono oggi a provocare la rottura della comunità. Nel caso del teologo, non meno che in quella di qualsiasi cristiano, l'effettiva preoccupazione per i diritti del popolo - e non solamente per i propi o per quelli di un gruppo limitato - viene sempre ad essere un "test" principale del senso di "communio" [6].

            "Lo sviluppo e la pienezza della teologia si attingono nella comunione, non nell'isolamento. La ricerca teologica, nello spirito della communio, è una ricerca dei principi e delle verità comuni che mi vincolano agli altri in Cristo. Il pensatore solitario che non segue altra direttiva che la propria mente, è portato dal suo pensiero a un isolamento e solitudine maggiori. Il pensatore in sintonia con la mente de Cristo nella Chiesa non è mai solo; è in comunione con Cristo e con tutta la comunità dei fedeli che sono vissuti, hanno pensato e hanno creduto come fratelli fin dai tempi apostolici" (C. Burke: Autorità e Libertà nella Chiesa, Ed. Ares, Milano, 1989, p. 243).

            b) Le relazioni inter-ecclesiali. Nel gioco tra quei due grandi temi cattolici - unità e varietà - è inevitabile che si crei un certo tipo di tensione; ad esempio, tra comunità locali e l'autorità diocesana, o tra le chiese particolari di un paese e la Santa Sede (cfr. Burke: op. cit., cap. 17). Però, quando la coscienza ecclesiale è sana e forte, tali tensioni sono normalmente di minore importanza e di brave durata. Comunque, una costante rivendicazione di diritti locali evidenzia la mancata comprensione del fatto che la conservazione dell'unità dell'intera Chiesa - di persona con persona e di parte con parte - fu una particolare preoccupazione di Gesù Cristo, espressa nell'Ultima Cena, e continua ad essere un obbligo di lealtà per ogni cristiano. Con uno spirito personalista è facile comprendere e rispondere a questa preoccupazione; con uno spirito individualista risulta invece molto difficile.

            c) Personalismo coniugale. Un hodierno pseudo-personalismo mantiene che il matrimonio deve essere liberato dalle limitazioni istituzionali: donazione esclusiva, vincolo permanente, impegno procreativo. Si sostiene inoltre che soltanto così si potrà sviluppare una vera filosofia coniugale personalista che rispetta e permette la realizzazione delle legittime aspirazioni degli uomini e delle donne del mondo moderno. Negli ultimi anni si è avuta una forte reazione, pure all'interno della Chiesa, contro la cosiddetta visione "istituzionale" del matrimonio, suggerendo che dovrebbe essere abbandonata in favore di una visione "personalista" più flessibile, più illuminata, più liberale. Per coloro che sostengono questa tesi, il concetto "istituzionale" del matrimonio include la procreatività (e su questo punto hanno ragione), però esclude il personalismo (e qui hanno torto) (cfr. C. Burke: "I Fini del Matrimonio: visione istituzionale o personalistica?": Annales Theologici 6 (1992), 227-254). Si possono segnalare alcune delle gravi conseguenze che facilmente derivano dall'antropologia difettosa ribadita da questa tesi:

            - Nel campo morale, risalta il concetto del matrimonio contracettivo, che si propone di costruire una comunità coniugale limitata o chiusa. Qui andrebbe sottolineato che la tendenza altruista del vero personalismo - che si preoccupa non solo dei propri diritti bensì dei doveri verso gli altri - tende precisamente a fomentare un'attitudine aperta-alla-vita. L'individualismo, al contrario, considera la possibilità di una nuova vita non positivamente - come un bene in se stessa - bensì la mette in discussione: "Sarà un bene per me?" La realizzazione coniugale contracettiva è "anti-comunità", perché non rappresenta ne effettua una unione reale tra gli sposi; piuttosto mina le loro possibilità di formare una comunione interpersonale matura e piena d'amore (cfr. il libro dell'autore, La Felicità Coniugale, Ed. Ares, Milano, 1990, pp. 35-50).

            - Nel campo canonico, non manca chi propone che la nuova importanza attribuita al consenso personale (esercizio della libertà), rende più problematica l'autenticità nell'accettazione degli obblighi matrimoniali. Come abbiamo notato, il concetto di un'elezione irrevocabile è estraneo all'individualismo, che vede in qualsiasi vincolo permanente una minaccia all'autonomia personale; il cristianesimo invece vede nella completa donazione ad un valore genuino come l'espressione principale della dignità e libertà della persona, così come pure una condizione essenziale per la maturazione umana. Penso che l'applicazione abusiva del canone 1095 - quando capita - ha le sue radici non nell'autentico personalismo cristiano bensì nell'"Ego-ismo" psicologico ed individualista che tanto caratterizza i valori non cristiani attuali.

            Forse si potrebbe menzionare pure il canone 1097, § 2 secondo il quale l'errore "circa una qualità della persona" invalida il consenso matrimoniale quando tale qualità è diretta e principalmente intesa. Anche se di fatto pochi matrimoni vengono dichiarati nulli in virtù di questo canone, alcuni giudici sembrano opinare che una nullità potrebbe facilmente essere provocata sotto questo capo, ciò che sembra poco probabile ai giorni nostri. Anteporre una qualità sociale o professionale alla scelta della persona - a parte il dimostrare una strumentalizzazione dell'altra parte per i propi interessi - indubbiamente rivela la mentalità di un'epoca passata. E lo stesso si potrebbe dire nel caso di chi afferma di aver subordinato la scelta matrimoniale all'effettivo possesso dell'altra parte della qualità di essere o meno fertile; avrebbe il sapore di una cultura poligamica. Il personalismo cristiano insiste sul fatto che - sempre che non ci sia stato un inganno - ognuno ha il diritto di essere accettato come la persona che è, con le sue buone e cattive qualità con i suoi limiti ed i suoi difetti.

            Nel campo antropologico, si nota la perdita della convinzione che l'alleanza coniugale è naturalmente esclusiva, feconda e permanente. E' proprio dell'individualismo non comprendere la bontà di queste tre proprietà "beni" o valori tradizionali del matrimonio.

            d) La liturgia. E' un campo in cui i pericoli sono particolarmente grandi, visto che non è difficile creare espressioni di esperienza e di vita "comunitaria" apparentemente sane ma puramente esterne, continuando lo spirito dei partecipanti ad essere individualista. L'esperienza che dobbiamo essenzialmente trovare nella liturgia è, in definitiva, quella di stare in comunione con Cristo - soprattutto per mezzo della sua Passione e Morte redentrici - e con tutti i suoi membri dei diversi paesi ed epoche.

            e) Il femminismo. Esiste, come è ovvio, un legittimo femminismo cristiano - con una base personalista - il quale sottolinea la personale ( e speciale) dignità della donna, così come pure i suoi diritti e doveri umani. Il movimento moderno femminista senza dubbio, per regola generale, non è personalista bensì fortemente individualista. Reclama i "diritti," però essi spesso non corrispondono (oppure sono in aperta contraddizione) con la dignità ed il ruolo della donna. Il femminismo contemporaneo non parla mai del servizio o dei doveri con il compimento dei quali la donna apporta il suo peculiare contributo alla comunità, portando così a termine pure la sua propria e vera realizzazione. Un radicale individualismo, che propone un'autonomia senza nessun tipo di dipendenza, spiega senza dubbio la frammentazione e le divisioni che caratterizzano il movimento femminista attuale. Se si è dimostrato incapace di suscitare un appoggio positivo tra la maggioranza della donne, è dovuto pure al fatto che non è riuscito a creare tra di loro un vero ed attraente sentimento di comunione.

            f) Lo spirito di servizio ("diakonìa"; un altro dei grandi temi del Vaticano II). Qualcosa che è particolarmente richiesto al sacerdote, visto che è chiamato al servizio in un particolare modo vocazionale, ad imitazione di Gesù Cristo. Lui deve stare a completa disposizione del popolo, in tutto ciò che riguarda i suoi legittimi diritti. Un sano orgoglio di essere servo del popolo indica un trionfo personalista sull'individualismo. Chi vuole servire, vuole essere disponibile ed identificabile per il sevizio; da ciò deriva ad esempio la logica del vestito clericale o abito religioso nei luoghi pubblici.

            g) In stretta connessione è la necessità della disciplina. Questa, in modo particolare tra i servi della comunità, è essenziale se ogni membro del Popolo di Dio deve sperimentare la "communio" quale fonte di appoggio e di vita. I diritti del popolo possono essere protetti solamente se esiste una disposizione ad obbedire. Un lavoro di gruppo, con il gioco vitale tra chi ha il compito di guidare e chi liberamente risponde e segue, esige disciplina, costruisce la comunità, ed offre il dinamismo necessario per il rinnovamento personale ed ecclesiale.

Rinnovamento

            Il rinnovamento inizia quando la persona scopre o crea vincoli con la comunità; quando è disposta ad affrontare gli elementi individualisti, egocentrici e separatisti in se stessa, che sono "anti-communio" e la dividono dagli altri oppure dal centro, e a combattere contro questi elementi in favore degli altri; quando è pronto a servire gli altri, a rispettare i loro diritti ed a vivere i propri doveri nei loro confronti; quando si rende conto che la comunità fondata da Gesù Cristo è gerarchica e quindi richiede sforzo per accettare l'autorità come salvaguardia dell'autorità del popolo, soprattutto la libertà personale fondamentale del poter accedere a Cristo: alla sua Mente, alla sua Grazia, alla sua Verità.

            E' evidente che l'antidoto all'individualismo e la radice della comunione si incontrano nell'amicizia personale e l'unione di ognuno con Cristo. Senza il rinnovamento a questo livello personale, tutti gli sforzi per arrivare ad una comunione esterna rimarrebbero solamente questo: meramente esterni. E saranno costantemente minacciati dall'individualismo. Una vita di orazione personale (e non solamente collettiva) sta alla base di tutto il rinnovamento cristiano; e lo stesso bisogna dire di una vita di penitenza e rinuncia a se stessi. Ci si propone il paradosso evangelico di sempre: solo chi perde la sua vita la troverà - in se stesso e negli altri.

NOTáS

[1] "Il collettivismo non offre nessuna soluzione al problema dell'individualismo moderno. L'individualismo ed il collettivismo costituiscono due poli antitetici che coincidono solamente nel fatto che isolano l'individuo con le sue proprie forze. Entrambi si sbagliano riguardo l'essenza della persona umana, che incontra la felicità e la pace solamente nell'unione personale, nei valori ed anche negli obbiettivi comuni, nella mutua donazione e nella partecipazione ai valori personali": Walter Kasper: "Church as «Communio»" Communio 13 (1986), p. 100.

[2] "L'individualismo nega la partecipazione mediante l'isolamento della persona intesa solo come individuo e concentrata su se stessa e sul suo proprio bene, che viene pure concepito come isolato dal bene degli altri e anche dal bene comune. Il bene dell'individuo ha, in questa concezione, carattere addirittura contrapposto ad ogni altro individuo e al suo bene, e, comunque, carattere di «autoconservazione» e difensivo. L'agire insieme con gli altri, come l'esistere insieme con gli altri, è, secondo l'individualismo, una necessità cui l'individuo deve piegarsi, ma a questa necessità non corrisponde alcuna qualità positiva dell'individuo, e l'agire e l'esistere insieme con gli altri non servono e non sviluppano nessuna di tali qualità. Gli «altri» sono per l'individuo solo fonte di limitazione e perfino polo di molteplici contrasti. La comunità quando sorge ha come scopo quello di assicurare il bene dell'individuo in mezzo agli «altri». Ecco, in breve, delineata la posizione individualistica" Wojtyla: op. cit., pp. 310-311.

[3] fu precisamente alla spirito individualista dell'uomo che la prima tentazione fu diretta: "diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male": Gen 3, 5.

[4] "L'opinione secondo la quale la coscienza individuale dell'uomo dovrebbe decidere da sola di questo ordine [oggettivo della morale o del diritto], è omissione delle giuste proporzioni che si hanno tra la persona e la società o la comunità... Tale concetto costituisce la radice dell'individualismo": Wojtyla, op. cit., p. 191.

[5] Wojtyla parla di un'atteggiamento di "opposizione" che, assieme a quello di "solidarietà", considera atteggiamento "autentico" per la comunità (op. cit. pp. 322ss). Tale "opposizione leale" naturalmente è legittima e, come segnala Wojtyla, può significare un apporto positivo alla comunità. Anche se a volta può sembrare difficile distinguere tra il dissenso radicale e l'"opposizione" legittima, si tratta di una difficoltà di natura teorica piuttosto che pratica.

[6] cfr. "Donum Veritatis: Instruzione sul ruolo ecclesiale del teologo" (Congregazione per la Dottrina della Fede, 24 maggio 1990) (di modo particolare nn. 6, 11, 27, 32, 39-40): AAS 88 (1990) 1550-1570.