Amore, Famiglia, Società: una questione di sopravvivenza (Studi Cattolici, 404 (1994), 611-619)

Amore, Famiglia, Società: una questione di sopravvivenza Studi Cattolici, 404 (1994), 611-619
La società occidentale sta precipitando in una condizione patologica; per molti aspetti è già seriamente ammalata. Non sono é chi scrive a fare questa pungente diagnosi, ma il Santo Padre. Nella sua Lettera alle Famiglie del febbraio del 1994, Giovanni Paolo II non esita ad affermare: "la nostra civiltà... dovrebbe rendersi conto di essere, da diversi punti di vista, una civiltà malata, che genera profonde alterazioni nell'uomo" (n. 20). È' esagerata una diagnosi così lucida? Non credo. È' pessimistica? No, tale non è, perché viene da un medico fermamente convinto che il paziente debba vivere in buona salute ed è in grado di guarire, e che egli stesso conosce e possiede il giusto farmaco per portare a termine la cura.
E' una diagnosi stringente e dura, certo, ma è anche incoraggiante. Afferma che qualcosa è errato, seriamente errato; ma mostra come può essere corretto. L'ottimismo del Papa deriva dalla sua convinzione che l'uomo è fatto per una "civiltà dell'amore" (n. 13), mentre la sua diagnosi deriva dal fatto che la nostra presente civiltà, dovendo essere d'amore, sembra essere "una civiltà del prodotto e del godimento, una civiltà delle «cose» e non delle «persone»: una civiltà in cui le persone si usano come si usano le cose" [1].
Le conseguenze di una civiltà del consumo, di una società del consumo, sono chiare. Quando ogni cosa (e pure ogni persona) diventa oggetto da usare, una volta che l'oggetto non è più utile, la reazione pratica è quella di scartarlo; e se non ci si riesce, si trova un modo per sbarazzarsene. Una civiltà del consumo può portare ad una "civiltà dei rifiuti", dell'eliminazione o soppressione di tutto ciò che è considerato scomodo (un bambino non nato, per esempio). È quando la cosa o la persona scomoda non può essere facilmente eliminata, può portare ad una "civiltà" dell'odio [2].
E' l'amore che di modo particolare si trova in una critica situazione pathologica oggi. Non certo l'amore di Dio, che mai entra in crisi, ma il amore nostro, che deve essere lo stesso dinamismo della nostra esistenza, e che può nonostante essere soffocato fino alla morte dall'egoismo. In un senso reale, l'Occidente corre il pericolo di morire di paro cardiaco, di paro dell'amore. E' questa la malattia che sta invadendo l'odierna vita occidentale, perché la salute humana è veramente presente soltanto in cui sia capace di amare; e stiamo dimenticando come amare.
"Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male;... scegli dunque..." (cf. Deut: 30, 19-20). Questa è la meraviglia e il tema della nostra esistenza, che appare insieme eccitante e spaventosa, costantemente contrassegnata da alternative e scelte. Forse, man mano che si cresce, le possibilità sembrerebbero crescere in proporzione minore di numero, ma certamente non minore d'importanza. Alla fine infatti si riducono solo a due: Paradiso ed Inferno. Queste sono le alternative definitive, eterno amore od eterno odio. La vita infatti altro non è che una preparazione per queste ultime possibilità: amare o non essere più in grado di amare, donarsi o non essere più in grado di donarsi, aprirsi verso gli altri o chiudersi in se stessi e restare separati da ognuno e da tutto.
La vita, si può dire, è una scuola "propedeutica", dove l'unica materia che deve essere veramente imparata è l'amore, dove i soli voti negativi che realmente importano sonon in quella materia, dove l'unico assoluto fallimento è di coloro che non riescono ad imparare ad amare. È dove l'amore non è stato imparato, il contrario dell'amore - cioè l'egoismo, e perfino l'odio - ha ogni probabilità d'impadronirsi della vita di una persona.
L'uomo è creato per amare, con la capacità, la tendenza ed il bisogno di amare. È tuttavia c'é un potente fattore all'opera dentro di tutti noi (i Cristiani lo chiamano Peccato Originale) che ci ostacola nell'amare, e perfino nel capire nella prattica la vera natura dell'amore. L'amore è prima di tutto una questione di conoscenza e volontà; eppure lo lasciamo tranquillamente dipendere dai sentimenti. Amare significa dare, eppure tendiamo ad essere troppo consapevoli del nostro diritto a ricevere - anche da coloro che diciamo di amare. Amore significa generosità, eppure nella pratica ci risulta difficile liberare il nostro amore dai calcoli. Amore significa sacrificio, eppure tutti desideriamo una vita facile dove le richieste che ci vengono poste siano minime. L'amore crea dei legami di unione e di comprensione tra le persone, ma anche i doveri di sostenere e di perdonare: e noi tutti a volte tendiamo a sottrarci ai nostri doveri.
L'egoismo pratico e una comprensione impoverita sono sempre stati gli ostacoli all'amore che possono sorgere comunemente in noi e tra noi. Tuttavia, nonostante questi ostacoli, l'amore ha sempre trovato diversi supporti naturali -- ambienti o istituzioni -- al proprio sviluppo. La nuova patologia che dobbiamo affrontare nella nostra società consiste nel fatto che queste istituzioni naturali, delle quali il matrimonio e la famiglia sono le principali, sono malate e in pericolo di morire o di essere messe a morte.
Ritorniamo all'inizio della Creazione. Chiamando l'uomo alla esistenza, il piano di Dio era che fosse concepito e crescesse nell'amore: che la sua esperienza della vita maturasse in quella particolare scuola d'amore che è la famiglia, costituita dall'unione sponsale dell'uomo e della donna. Attraverso il matrimonio e la famiglia Dio desidera mandare l'amore, e con esso il bene, nel mondo. Laddove si fa sentire la presenza dell'amore, il bene acquista quella forza di Dio che conquista il mondo. Dio ha istituito la famiglia per essere il primo luogo - il "locus" nnormale - dove l'amore viene naturalmente appreso, e dalla quale può essere trasmesso agli altri. E' su questo sfondo che il Santo Padre ha scritto la sua recente "Lettera alle Famiglie". Una sua preoccupazione particolare è che la stessa nozione e la realità della famiglia vanno sfigurate o perse oggi. Come conseguenza della mancanza di conoscenza di se stesso dell'uomo [3], "anche la famiglia rimane una realtà sconosciuta" (19). Egli desidera presentare la "verità sulla famiglia" (no. 18); e chiede ai cristiani di capirla e di farvi eco.
La qualità della famiglia e l'esperienza famigliare sono vitali se vogliamo avere degli individui sani e una sana società in cui, nonostante la presenza del male, il bene sia più fortemente presente. Che la vita finisca con l'essere buona o cattiva, positiva o negativa, ricca di amore o dominata dall'esperienza dell'egoismo, dipende fondamentalmente dalla famiglia. Nella sua Lettera, il Papa insegna: "la famiglia si trova al centro del grande combattimento tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra l'amore e quanto all'amore si oppone. Alla famiglia è affidato il compito di lottare prima di tutto per liberare le forze del bene... Occorre far sì che tali forze siano fatte proprie da ogni nucleo famigliare, affinché... la famiglia sia «forte di Dio»"[4].
Vediamo brevemente alcune modalità secondo le quali il matrimonio e la famiglia devono compiere il loro ruolo di scuole di vita e d'amore, ricordando che nella scuola della famiglia, come in ogni scuola, le materie di studio non vengono imparate se non vengono insegnate, e così pure che il miglior maestro è sempre, e forse solamente, chi crede in quello che insegna e lo vive.
Amore famigliare: scuola per i figli
Punto di estrema importanza da tenere ben presente è che i figli non si "innamorano" spontaneamente dei propri genitori o dei propri fratelli o sorelle. Devono imparare ad amare. L'"amore romantico", dopo tutto, è un'esperienza dell'età adulta o dell'adolescenza, non della fanciullezza. Non è in maniera spontanea, ma in risposta alla dedizione, pazienza e sacrifici dei propri genitori che i figli imparano ad amarli.
Se i bambini normalmente in effetto imparano ad amare, è soprattutto perché, all'interno di quello nucleo naturale che è la famiglia, hanno sperimentato di essere amati, da loro genitori e magari pure dai fratelli e sorelle maggiori. San Tommaso suggerisce che nulla spinge una persona ad amare così tanto quanto sapersi amata (cfr. Summa Theol. I-II, 26, art. 2). I figli che sono amati dai loro genitori impareranno ad amare a loro volta. La perseverante dedizione dei genitori a loro - pure con le "esigenze" dell'amore - insegnerà ai figli a poco a poco che amare significa dare. E, sotto la costante amore e guida dei loro genitori, impareranno ad amarsi a vicenda. Da ciò si capisce il grandissimo privilegio del compito dei genitori. Non solo dare la vita, ma anche insegnare l'amore.
Nulla distrugge tanto la felicità quanto la perdita di fiducia nell'amore. Equivale a lasciarsi attirare sulla strada dell'inferno il consentire a dubbi sulla presenza o sulla possibilità di amore nella propria vita, pensando di non essere in grado né di dare amore né di riceverlo: sono troppo egoista per amare gli altri, o gli altri troppo egoisti per amare me. Oggi la tentazione (o l'inizio della tentazione) è effettiva per molta gente, ed è forte: io non amo nessuno, nessuno mi ama. Non posso trovare nessuno da amare; perciò gli altri non sono amabili. Nessuno mi ama; perciò io non sono amabile. Parecchia gente passa degli anni nello sforzo di lottare contro simili tentazioni. Coloro che non ci riescono possono mettere fine alla propria vita con il suicidio.
La migliore salvaguardia naturale contro queste tentazioni estreme è l'esperienza unica di vivere e crescere in una famiglia, luogo in cui nessuno è privato dell'amore, neppure il meno amabile. I genitori tendono ad amare ognuno dei propri figli, persino, e in special modo, il peggiore. Allora i figli imparano che c'è un amore che non è condizionato dal merito, e non viene sminuito a motivo dei difetti. Poiché si affidano al sostegno di un tale amore, essi sono incoraggiati a misurarsi con le proprie sfide, all'interno e anche all'esterno della famiglia. Ci è d'insegnamento -- sia sul piano naturale che su quello soprannaturale -- la parabola del figlio prodigo. Senza una certa esperienza dell'amore di un padre, o ancor più di una madre, è difficile rendersi conto della natura incondizionata dell'amore che Dio nutre per ciascuno di noi: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai" (6).
Oggi non si esagera affermando che missione dei genitori è di salvare l'amore, attraverso un lavoro di incarnazione che lo umanizzi per i loro figli, così che non sia per loro soltanto una parola, ma una realtà effettivamente presente nella loro vita quotidiana. E' allora che i figli incominciano a corrispondere e che si può insegnar loro e indurli a corrispondere. I genitori si possono aspettare o possono esigere obbedienza e rispetto dai propri figli, ma questi verranno loro dati stentatamente o per nulla affatto se non verranno dati come risposta a un amore generoso.
Gli sposi che hanno imparato ad amarsi reciprocamente sono i migliori modelli e i primi veri insegnanti per i loro figli. In questo modo fratelli e sorelle imparano gradualmente ad essere mutuamente generosi, a comprendere, a perdonare, a riconciliarsi. E' allora che la famiglia diventa veramente una scuola che prepara i figli per la vita, in un modo particolare per la vita moderna, dove tante persone si arrabbiano gli uni con gli altri, dove dominano i giudizi negativi, dove i difetti delle altre persone diventano un'ossessione e l'indulgenza una rarità, dove la grettezza e l'intolleranza minacciano di diventare, guadagnandosi la condivisione, quasi un codice di comportamento sociale.
Qui vorrei citare un altro aspetto della famiglia che è diventato molto importante oggi, e cioè la comprensione graduale della sessualità che tende a svilupparsi di maniera naturale quando fratelli e sorelle crescono insieme. Uno dei motivi per cui il rispetto tra i sessi viene oggi sostituito da sospetti e antagonismi è costituito dal fatto che sempre più numerosi i ragazzi o le ragazze che crescono senza aver mai convissuto con un fratello o con una sorella. Nel disegno della natura, la famiglia - una famiglia autentica - costituisce una scuola singolare per la comprensione della sessualità, poiché offre un contesto (forse l'unico) in cui il rapporto tra i sessi non viene facilmente disturbato da desideri sbagliati.
Gli sposi come maestri e modelli
Infatti è nei confronti dei loro figli che i genitori devono vedere con più chiarezza che l'amore è una sfida che esige generosità e pazienza. La dedizione pratica ai figli deve riconfermare la loro esperienza personale che innamorarsi è facile, ma mantenersi nell'amore e crescere in esso non lo è.
Abbiamo sostenuto più sopra che i figli non si "innamorano" spontaneamente dei propri genitori. Ma naturalmente i figli non ci sarebbero affatto se i genitori non si fossero innamorati l'un l'altro. C'è solitamente molta spontaneità in questo processo di "innamoramento" che normalmente precede e inspira la decisione di un'uomo e una donna di sposarse. Il processo di solito è pieno di sentimenti, si tende ad idealizzare l'altra persona, vedendo in lei o in lui pochi difetti - dal momento che, come spesso si dice, "l'amore è cieco". E tuttavia occorre dire che la Natura sembra aver disegnato le cose cosi: di maniera tale che quella "romanticità", forte nel sentimento e debole nella percezione, porterebbe le persone ad unirsi in matrimonio. Comunque le due persone che si sposano sono in effetti persone con difetti: bastano pochi anni di matrimonio, ed la romanticità svanisce, i difetti saltano fuori, e l'amore spontaneo deve maturare in qualcosa più profondamente capito e voluto. È allora che gli sposi dovrebbero capire che in realtà non hanno ancora imparato ad amare veramente. È allora che il matrimonio diventa, per loro e primo di tutti, un luogo di apprendimento, una scuola d'amore.
L'amore coniugale non può dipendere esclusivamente dalla romanticità, o dal sentimento. Nella sua lettera, il Papa dice, "L'amore è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri" (14). "L'amore è esigente... Bisogna che gli uomini di oggi scoprano questo amore esigente, perché in esso sta il fondamento veramente saldo della famiglia" (ib.). Le caratteristiche del vero amore si riflettano nelle parole con le quali gli sposi promettono di accettarsi l'un l'altro, "nel bene e nel male, nella ricchezza e nella povertà, nella salute e nella malattia... tutti i giorni della mia vita" (Ordo Celebrandi Matrimonium, n. 25).
Amare veramente è volere il bene dell'altro/a. Questo significa senza dubbio volere che l'altro sia migliore; ma deve cominciare dall'amare il partner così come realmente è; altrimenti, non è una persona reale per cui si professa amore. L'amore coniugale deve essere così, come risulta dalla stessa idea di consenso matrimoniale che presenta la Chiesa: "quell'atto di volontà mediante il quale un uomo ed una donna, attraverso un irrevocabile vincolo, mutuamente donano ed accettano l'altro" (c. 1057, 2). Il dono di sé: questa è il personalismo cristiano indicato dal Concilio Vaticano II: "l'uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (GS 24). "La perfezione esige quella maturità nel dono di sé, al quale è chiamata la libertà umana" (Veritatis Splendor, no. 17). L'amore coniugale è una costante chiamata all'auto-donazione; ed è per questo, se la sfida che offre è liberamente assunta, che porta le persone così fortemente alla santità.
'Mariti e mogli si amino', è il messaggio della scrittura (cfr. Efes. 5: 21-33; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1642). Ciò significa: ognuno di voi deve pensare più a ciò che dai al tuo partner, che a quello che ricevi da lui o da lei. Un così costante dono di sé è il cammino di Cristo, che donò sé stesso sulla Croce. E, paradossalmente, è pure il* cammino della felicità.
Infine non possiamo e non dobbiamo allontanarci dal fatto che la felicità, anche quella che promette il matrimonio, non è possibile senza generosità e sacrificio. Il Beato Josemaria Escrivà, Fondatore dell'Opus Dei, diceva spesso che la felicità ha le sue radici a forma di croce (cfr. Forgia Ed. Ares, n. 28). Questa è la regola ed apparente paradosso del Vangelo: solo "perdendo" e donando noi stessi - essenza dell'amore - possiamo cominciare a trovare noi stessi, trovando alla volta più di noi stessi, cioè la felicità per cui siamo fatti.
Saranno inutili tutti i corsi e discorsi sul matrimonio se non riflettano questa realtà fondamentale. Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: "seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce, gli sposi potranno «capire» il senso originale del matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana" (no. 1615).
Pertanto l'amore umano nel matrimonio, che promette tanta felicita, potrà svilupparsi e raggiungere pieno compimento, soltanto con l'impegno di esercitarlo. Il Papa dice che "tale compimento rappresenta pure un compito e una sfida. Il compito coinvolge i coniugi, in attuazione del loro patto originario" (n. 7), cioè nell'essere fedeli al mutuo amore che hanno promesso. Questo già pone una sfida ad ognuno degli sposi riguardo all'altro. Molto dipende da quanto bene gli sposi cristiani capiscono questa sfida, e quanto generosamente vi rispondono.
Il matrimonio oggi è sempre più minacciato a causa di una povera ed egoista comprensione dell'amore coniugale inteso come mezzo di auto-soddisfazione, esclusivamente centrato sull'individuo, e capito in termini di prendere-ottenere: "lui o lei potrà rendermi felice?": o, forse elevandosi ad un livello leggermente superiore di calcolo condiviso, "potremo renderci felici l'un l'altro?" Non è questo il vero amore coniugale, e un tale amore non è probabile che perduri.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II dice che ciò che rende l'amore coniugale "eminentemente umano" sta nel fatto che è "un affetto fra due persone radicato nella volontà" (GS 49). L'amore tende a sbocciare al livello dei sentimenti: mai però potrà maturare e divenire veramente profondo se rimane a quel livello (che dopotutto è un livello assai superficiale delle relazioni umane). Per crescere, l'amore non deve rimanere un fenomeno puramente emozionale: necessita di divenire una questione di deliberata e volontaria scelta. Una comprensione veramente umana del matrimonio comunica un chiaro messaggio alla persona sposata che più o meno dice così: "l'amore nel matrimonio è tanto un dovere quanto un diritto. Perciò tu non hai il diritto di rinunciare alla fatica di amare anche se il matrimonio si rivela difficile o incontra ostacoli imprevisti, quanto meno se l'ostacolo sono semplicemente gli inaspettati difetti del proprio coniuge. Il tuo partner ha il diritto di essere amato con quei difetti: è cosi come è: e tu hai il dovere di amarlo così. In questo consiste l'amore genuino".
Naturalmente non è facile per due persone vivere insieme per tutta la vita, in una fedele e fruttifica unione. È più "facile" per ognuno vivere singolarmente, o unirsi occasionalmente o per poco tempo, o evitare di avere figli. È più facile, ma non più felice: né contribuisce alla loro crescita in quanto persone. "Non est bonum homini esse solus", dice il Signore nell'istituire il matrimonio. Non è bene per l'uomo o la donna vivere da soli o in successive temporanee associazioni che tendono a lasciare le persone più intrappolate nell'auto-isolamento. L'impegno matrimoniale non è uno sforzo facile, ma, a parte l'essere normalmente felice, è un impegno che matura.
Nella sua lettera il Santo Padre insiste, "l'amore dunque non è un'utopia: è dato all'uomo come compito da attuare con l'aiuto della grazia divina" (n. 15). Il Papa parla dei "pericoli che incombono sull'amore", e precisa: "si pensi anzitutto all'egoismo..." L'egoismo è nemico dell'amore; l'egoismo, che è frutto di nostro peggiore difetto, ossia l'orgoglio. Egoismo ed orgoglio devono essere combattuti; altrimenti distruggono l'amore, l'unità e la felicità, e pongono l'anima in eterno pericolo. L'umiltà è arma essenziale per il combatto: l'umiltà di chiedere perdono costantemente a Dio per i nostri peccati personali; e, di modo particolare nella vita coniugale, con l'umiltà di chiedere perdono al partner, perfino quando si abbia la convinzione che la colpa sia principalmente da sua parte.
La gente giovane deve imparare che sposarsi significa unirsi con una persona che ha dei difetti; anzi se, quando si innamorano, hanno l'impressione che l'altra persona sia priva di difetti, si sbagliano. Sarebbe altresì sbagliato pensare che l'amore finisca quando si iniziano a scoprire i difetti del partner. Al contrario, è allora che l'amore è giunto ad un bivio; è il momento di svoltarsi verso maturità, o di allontanarsi da essa.
Il Beato Josemaria Escrivà ispirò parecchie persone a considerare il loro matrimonio come una chiamata diretta alla santità. Egli insistette che l'amore per Dio è inseparabile dall'amore che loro hanno reciprocamente, e li aiutò, con acuta psicologia, a capire tutto ciò che questo coinvolge. Parlando con una coppia di sposi avrebbe chiesto, partendo probabilmente dalla moglie: "Tu ami tuo marito ?" "Certamente", avrebbe risposto. "Lo ami molto?" "Moltissimo", avrebbe ribattuto lei. "Lo ami con i suoi difetti...?" E, se ci fosse stato un momento di esitazione a questa domanda, Lui avrebbe raggiunto: "Perché se non lo fai così, non lo ami". Poi avrebbe rivolto le stesse domande anche al marito.
Perciò, quando ci si sposa, se non si é disposti ad amare l'altra persona con i suoi difetti, non è -- ripeto -- una persona reale che si vuole sposare. Imparare ad amare qualcuno coi suoi difetti costituisce l'essenza del vero amore e della lealtà, ed è sempre il compito principale degli sposi. Il reciproco rispetto e la reciproca accettazione -- il rispetto di ciascuno per l'altro, pur con i suoi difetti -- è l'unico atteggiamento che tiene insieme una coppia, una famiglia, una società.
La famiglia: amore, frutto, vitalità
La famiglia è una scuola di amore e di vita. Ma se non ha un minimo di vigore, che di solito si esprimerà pure di modo numerico, non è probabile che l'individualismo e l'egoismo - i nemici della vita che va vissuta ed amata - perdano molti di loro spigoli vivi. Nella sua lettera il Papa osserva: "C'è poca vita umana nelle famiglie dei nostri giorni. Mancano le persone con le quali creare e condividere il bene comune; eppure il bene, per sua natura, esige di essere creato e condiviso con altri: «bonum est diffusivum sui»: «il bene tende a diffondersi»" (n. 10).
Il Santo Padre parla della bellezza dell'amore coniugale e famigliare, dei pericoli che lo minnaccia, e delle sfide cui deve far fronte. Facendo constatare l'egoismo come primo fra "i pericoli che incombono sull'amore", aggiunge: qui "si pensi... non solo all'egoismo del singolo, ma anche a quello della coppia..." Sta parlando del pericolo a cui viene incontro l'amore coniugale, dovuto non solo all'egoismo individuale nella relazione tra marito e moglie, ma anche al egoismo condiviso di entrambe verso loro figli: il pericolo del calcolo nella loro disposizione nei confronti di questi. I figli sono il frutto proprio dell'amore di coppia; un amore calcolato è già di per sé un povero amore. Il calcolo, specialmente nel dare la vita, raramente esprime o rafforza il vero amore. Un amore più vero tende ad essere generoso, e la generosità cerca di non pensare in termini di calcolo.
Così il Papa insiste che una sfida particolare viene anche posta, dentro del matrimonio, ad entrambe i coniugi insieme, riguardante il frutto del loro amore. "I figli da loro generati dovrebbero - qui sta la sfida - consolidare tale patto, arricchendo e approfondendo la comunione coniugale del padre e della madre" [5].
Non si deve perdere da vista che mentre la limitazione del numero di figli in una famiglia può spesso essere una necessità, è sempre una privazione. La scelta deliberata di evitare un figlio - quando questa scelta non venga imposta da fattori economici, sociali o di salute - non tende a rafforzare l'amore mutuo e il rispetto fra gli sposi, bensì piuttosto a debilitarli. Se, come afferma il Concilio Vaticano II, il matrimonio costituisce una'"intima comunità di vita e d'amore" (GS 48), la riluttanza a far partecipare agli altri nella vita, può facilmente convertirsi in riluttanza di continuare a fare partecipare il partner nell'amore. E questo può portare a un pericoloso ripiegamento su se stesso. Anche se una coppia vive in reciproco accordo per quanto concerne la decisione di praticare una limitazione famigliare (insisto che sto parlando di una vera decisione, non loro imposta) essi dovrebbero ben considerare se non ci possa essere dietro a essa un fattore di egoismo condiviso. L'egoismo, anche se partecipato, non unisce, ma piuttosto separa.
La limitazione famigliare, quando non vi è bisogno, sempre coinvolge la conclusione che una vita concreta - quella del possibile figlio - non è degno di essere vissuta. Di conseguenza, si corre il rischio di perdere la coscienza che non esiste un dono più singolare e privilegiato che quello della vita stessa. Una filosofia "anti-vita" - contro la vita - può facilmente diventare un'atteggiamento "anti-amore": contro l'amore; e al inverso. Chi cede a questa mentalità rischia di stimare meno la vita altrui, e magari di dubitare eventualmente del valore della propria vita [6].
L'amore dei coniugi normalmente si converte in amore di genitori. Di solito è questo una condizione del mantenimento e della crescita dell'amore coniugale [7]. Il Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica dice: "l'amore coniugale tende per sua natura ad essere fecondo. Il figlio non viene ad aggiungersi dall'esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento" (no. 2366).
Dall'amore coniugale all'amore famigliare
L'amore coniugale si torna in amore famigliare perché marito e moglie diventano genitori una volta sola? Beh... sì; con tre componenti si ha certamente una famiglia. Ma se rimane deliberatamente a tale minimo numero, magari li mancheranno la ricchezza, il vigore e la personalità di cui Dio avrebbe augurato alla famiglia la possessione. Di conseguenza, essa sarà meno forte di fronte alle forze che la minano dall'esterno, e così, costituendo una sfida menore a coloro che lo compongono, sarà quasi sicuramente uno sorgente menore di felicità e di compimento per loro.
Durante una Omelia nella capitale degli Stati Uniti d'America, Giovanni Paolo II ricordò alle famiglie che "è minor male negare ai propri figli certe comodità e vantaggi materiali che privarli della presenza di fratelli e sorelle che potrebbero aiutarli a sviluppare la loro umanità e realizzare la bellezza della vita in ogni sua fase e in tutte la sua varietà" (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979), p. 702). Io suggerirei alle famiglie che sono troppo inclini alla limitazione del nucleo famigliare, di leggere il commento del Papa alla luce del Concilio Vaticano II che insegna: "I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono pure al bene dei genitori" (GS 50). Si tratta pertanto della possibilità di privare non solo i loro figli presenti, ma pure se stessi, di un "bene" concreto, di una singolare esperienza della vita umana che rappresenta il frutto dell'amore.
Così come lo presenta il Papa, indubbiamente qui c'è una sfida alla generosità: nei confronti dei figli che gli sposi già hanno, e di quelli pure che non hanno ma ancora potrebbero avere. Allora, far fronte a questa sfida e risolverla bene, risulta più facile se si esamina non secondo un calcolo di doveri od obblighi, bensì d'accordo con il personale senso di valori. Paolo VI, nell'Humanae Vitae, affermò che un vero senso di valori è infatti il primo requisito per una coppia che voglia inquadrare correttamente la pianificazione famigliare (HV 21). Occorre dire che c'è qualche cosa di deficiente nella scala di valori umani della coppia che non riesca a considerare un figlio come la più grande acquisizione che possono fare, e quella che più li arricchisce. Nell'Occidente molti coniugi sembrano già non essere in grado di capire la semplice verità che i figli sono il frutto più personalizzato del loro amore coniugale; e sono perciò il più grande regalo che si possono fare l'un l'altro, essendo allo stesso tempo un dono di Dio ad entrambe ed alla famiglia che il loro amore sta creando [8].
I genitori di una famiglia numerosa dovranno magari impegnarsi parecchio nel mettere pace ai conflitti tra figli e figlie; ma avranno un'esperienza umana più piena rispetto a quei genitori che si trovano nella situazione sempre più difficile di mantenere pace tra loro stessi ed un figlio unico. Anche se questi raggiungono una specie di pace, non è probabile che sia qualcosa di duratura basata sul mutuo sacrificio, ma piuttosto una "pace senza fastidio", conquistata a costo di cedere ai capricci dei figli, e non adatta a durare o ad indurre rispetto.
Nella famiglia, considerata come una scuola di valori sociali e di mutuo rispetto, le due principali funzioni dei genitori sono la soluzione dei problemi e l'incoraggiamento dei valori. Alcuni genitori non sono in grado di assolvere ad entrambe i compiti. La tipica soluzione "permissiva" è quella di risolvere i problemi sorvolando i valori. In questo modo nulla viene risolto: i problemi e le tensioni diventano sempre più gravi, e i valori vengono a poco a poco persi. Purtroppo questo processo è più che verificabile nella nostra società moderna.
Conclusione
In sua Lettera alle Famiglie, il Papa non nasconde il fatto che il messaggio di Cristo sul matrimonio e sulla famiglia può sembrare duro da un punto di vista strettamente umano, soprattutto se individualista. Ma sottolinea che questo messaggio è sia bello ed attraente, quanto della massima importanza per il mondo che ci circonda. Richiama il fatto che anche gli Apostoli ebbero una prima reazione di sorpresa e perfino di timore di fronte all'insegnamento di Cristo circa l'indissolubilità del vincolo coniugale; ma superando la loro iniziale paura, "hanno compreso che il matrimonio e la famiglia costituiscono una vera vocazione proveniente da Dio stesso, un apostolato... Servono alla trasformazione della terra ed al rinnovamento del mondo, del creato e dell'intera umanità" (18).
Genitori: ognuno di voi deve imparare a mettere in secondo piano i propri piccoli interessi; e dovete imparare insieme a superare le vostre mutue e piccole incomprensioni, a perdonarle e dimenticarle. Dovete alzare i vostri cuori - ognuno di voi singolarmente, e ambedue insieme - verso ciò che Dio, attraverso il Papa, vi propone; verso ciò che la società, senza saperlo, richiede da voi; ed infine verso quello che i vostri figli, forse essi pure senza nemmeno capirlo completamente, hanno il diritto di aspettarsi da voi.
Indubbiamente, ci sono delle difficoltà, poiché ciascuno di noi soffre le conseguenze del Peccato Originale. Persino possiamo dire che la famiglia stessa soffre dalla Caduta. La famiglia può essere, dovrebbe essere, una grande scuola d'amore; ma può anche diventare una scuola dove l'amore viene appreso poveramente - quasi sempre perché viene insegnato poveramente. Nel peggiore dei casi, la famiglia può anche diventare una scuola dove si impara l'opposto dell'amore, perché è l'opposto dell'amore che vi si insegna. Invece di essere una scuola d'amore e generosità, può diventare una scuola di calcoli ed egoismo. Sarà così come la rendono i genitori. Perciò sono così grandi la sfida, la missione e l'ideale proposti ai genitori oggi.
Meditando sulla bellezza della vostra vocazione e la nobilità e l'importanza della vostra missione, le sue difficoltà vi sembreranno molto minore. Soprattutto, come il Papa sottolinea, avete l'aiuto di Dio. Nella sua Lettera chiama fortemente: "Non abbiate paura dei rischi! Le forze divine sono di gran lunga più potenti delle vostre difficoltà. Smisuratamente più grande del male che opera nel mondo è l'efficacia del sacramento della Riconciliazione... Molto più incisiva della corruzione presente nel mondo è l'energia divina del sacramento della Confermazione... Incomparabilmente più grande è, soprattutto, la potenza dell'Eucarestia" (n. 18). Inoltre il Papa insiste sul fatto che le coppie sposate sono in uno «stato di grazia» che consegue dal Sacramento del matrimonio (n. 16). Quelle coppie - e soltanto quelle coppie - che pongono la loro fiducia nella grazia e nei Sacramenti, ce la faranno. La Veritatis Splendor lo dice con chiarezza: "La vita secondo il Vangelo... va al di là delle forze dell'uomo [ed è possibile] solo come frutto di un dono di Dio" (n. 23). Cercate dunque i doni di Dio nei Sacramenti e nella preghiera, e troverete la forza di cui avete bisogno.
Le basi dell'umanità vengono messe in gioco oggigiorno. Senza Cristo e senza la Croce di Cristo, il Papa disse questo Venerdì Santo, l'uomo si distrugge. Tre giorni dopo, il giorno di Pasqua, il Papa non esitò a dire che "la famiglia è la principale fonte dell'umanità". Un forte avvertimento nella prima affermazione e una forte testimonianza di speranza nella seconda.
"La grazia costruisce sulla natura", è un vecchio principio teologico ed ascetico. Ma oggi, tanti aspetti della stessa natura, di cui la grazia ha bisogno per costruire, sono in pericolo. Per preservare e custodire quella natura, abbiamo appunto bisogno dell'aiuto divino. It is not lacking; least of all to those christian families which struggle to keep their proper human character, and to fulfil their human and supernatural mission. Con l'aiuto della grazia divina, mettendo in atto un amore generoso, superando il timore del sacrificio e della Croce, impareranno ad essere vere famiglie, e così una fonte tanto di umanità quanto di salvezza per il mondo intero.

NOTE
[1] ib. Il Papa nello stesso parrafo elenca alcune delle maggiori deformazioni che possono essere trovate in una tale società: "Nel contesto della civiltà del godimento, la donna può diventare per l'uomo un oggetto, i figli un ostacolo per i genitori, la famiglia un'istituzione ingombrante per la libertà dei membri che la compongono".
[2] La ragione per cui il nostro rapporto con le persone è di gran lunga più importante del nostro rapporto con le cose è che si possono amare le persone e si può esserne riamati, mentre non si può avere un vero amore per le cose e non si può certamente essere amati da esse.
[3] La Lettera del Papa, dunque, non tocca solo la famiglia: prima di tutto riguarda l'uomo, l'intera umanità. In realtà, dice il Santo Padre, l'uomo moderno, non conosce se stesso: nonostante il grande "progresso nella conoscenza del mondo materiale ed anche della psicologia umana"... l'uomo oggi ha perso la coscienza di ciò che in realtà è, e così "rimane in gran parte un essere sconosciuto a se stesso" (no. 19). Possiamo osservare dapertutto questa perdita del senso dell'identità umana - di ciò che si è: quale sia l'oggetto della vita: se si è libero o no: e se lo si è, se la libertà personale va esercitata in funzione di un fine determinato, o va accompagnata da una responsabilità ugualmente personale; se si è autonomo e autosufficiente, o invece fatto per gli altri o per lo Stato: che cosa sia il sesso, che cosa significhi l'identità sessuale; se dunque il matrimonio e la famiglia realmente abbiano un significato...
[4] n. 23;"Occorre tornare a considerare la famiglia come il santuario della vita. Essa, infatti, è sacra: è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita" (Centesimus annus, n. 39).
[5] n. 7. Aggiunge: "Quando ciò non avviene, occorre domandarsi se l'egoismo, che a causa dell'inclinazione umana al male si nasconde anche nell'amore dell'uomo e della donna, non sia più forte di quest'amore".
[6] Racchiude notevole interesse una ricerca psichiatrica recente, proveniente dalla Norvegia e basata sullo studio di più di un milione di donne, conclude che "essere genitore constituisce un fattore importante nella prevenzione del suicidio; e inoltre la protezione contro il suicidio - rappresentata dai figli - aumenta con il numero di essi": "Suicide among Women related to Number of Children in Marriage": Archives of General Psychiatry, vol. 50 (1993). p. 137.
[7] qui vanno notate le parole forti che il Papa usa riferendosi all'aborto: "Puntando esclusivamente sul godimento, si può giungere fino a uccidere l'amore, uccidendone il frutto. Per la cultura del godimento il "frutto benedetto del tuo grembo" (Lc 1,42) diventa in certo senso un "frutto maledetto"...": Lettera, n. 21.
[8] "Si dovrà costantemente evitare ogni propaganda e disinformazione intesa a persuadere gli sposi che debbano limitare la loro famiglia a uno o due figli, e le coppie che generosamente decidono di avere grandi famiglie devono essere sostenute" Giovanni Paolo II, Messaggio ai Dirigenti del Fondo per la Popolazione dell'ONU, 18 marzo 1994).