Sant'Agostino e la Sessualità Coniugale [1] (Annales Theologici 5 (1991) 185-206)

Sant'Agostino e la Sessualità Coniugale [1] (Annales Theologici 5 (1991) 185-206)

Nessuno ha mai messo in dubbio la genialità del pensiero di Sant'Agostino. Ciò nonostante, alcuni sostengono che non era privo di una vena di pessimismo, specialmente per quanto concerne la sessualità umana; e che l'influenza successiva di Agostino - in proporzione alla sua genialità - avrebbe segnato la dottrina della Chiesa, fino ai nostri giorni, con un'etica sessuale insufficiente e negativa. Tale giudizio - a mio parere - non è giusto né verso Sant'Agostino né verso la dottrina cattolica sulla morale sessuale.
Come accade per ogni uomo, le esperienze della sua vita lasciarono traccia nel pensiero di Sant'Agostino, ma nel manicheismo del primo periodo si deve riconoscere un'ombra oscura dalla quale si era liberato, anziché una fonte permanente di pessimismo [2]. Dal momento in cui iniziò a camminare alla luce della fede, la sua visione della realtà si arricchì sempre più di acutezza e profondità, come conseguenza dei suoi sforzi - tra innumerevoli controversie - per stabilire la verità in un equilibrio tra due estremi: il manicheismo da un lato ed il pelagianesimo dall'altro.
L'attacco manicheo contro il matrimonio procreativo
Una prima accusa alla dottrina agostiniana sul matrimonio è quella secondo cui si centrerebbe soltanto sulla sua dimensione procreativa, escludendo altri aspetti. Senza dubbio per Sant'Agostino il matrimonio è fondamentalmente una società procreativa e risulta più facile capire questa enfasi se si tiene conto dei principi manichei contro i quali dovette combattere: dal momento che il corpo, nella visione dualista dei manichei, è opera del demonio, la propagazione del corpo è un male; anche il matrimonio è un male, in quanto mezzo della procreazione. A sua volta l'attività sessuale, attuata in maniera da evitare il concepimento ha poca importanza [3], poiché riguarda solo il corpo e non lo spirito.
Alla posizione manichea secondo la quale il matrimonio è un male alla stessa stregua della procreazione, il Vescovo di Ippona contrappone la tesi opposta: è proprio la bontà della procreazione che rende buono il matrimonio [4]. Da ciò si spiega la sua insistenza sulla finalità generatrice della sessualità [5].
Ad ogni modo, anche quando la difesa del matrimonio avanzata da Sant'Agostino si focalizzava sulla sua finalità procreatrice, è inesatto pensare che non considerasse, secondo l'espressione moderna, il carattere "personalista" della relazione coniugale. Già nel suo trattato sulla continenza troviamo un'energica difesa della bontà delle differenze sessuali e della unione tra marito e moglie [6]. In questo senso è particolarmente significativa l'opera "De bono coniugali", che scrisse per respingere l'accusa di manicheismo formulata da Gioviniano contro i cattolici. Nel primo capitolo di questa opera egli espone con chiarezza i principi basilari sui quali desidera fondare la bontà del matrimonio: il carattere socievole della natura umana ed il vincolo solidale dell'amicizia tra gli uomini. Solo dopo aver chiarito che la socievolezza umana incontra la sua prima espressione naturale proprio nella società coniugale, indica ciò che contraddistingue la relazione matrimoniale: essa unisce l'uomo e la donna non per mera amicizia, bensì in una società procreatrice [7].
In altri passi della stessa opera - sempre nell'idea che il matrimonio è fondamentalmente orientato verso la procreazione - si trovano chiare espressioni di ciò che può chiamarsi un'analisi personalista dell'unione coniugale. Agostino afferma esplicitamente che esistono altri fini nel matrimonio, oltre la procreazione, dai quali deriva la sua bontà. "Ci si può ragionevolmente chiedere - scrive - perché è buono il matrimonio. A me sembra che esso non si fondi solo sulla procreazione dei figli, ma anche sulla società naturale costituita da entrambi i sessi" [8]. E descrive la mutua fedeltà come "la prima società degli uomini in questo mondo visibile ed effimero" [9]. Insiste sul valore dell'amore tra marito e moglie e su come l'"ordo caritatis" unisce perfino coloro i quali l'età o la sorte possono aver privato dei figli: "Nel vero e ottimo matrimonio, nonostante gli anni, e sebbene tra l'uomo e la donna l'ardore della giovinezza sia svanito, continua in pieno vigore, tra lo sposo e la sposa, l'ordine della carità" [10]. Egli presenta la fedeltà come uno scambio di mutuo rispetto e servizio [11], ed insiste anche che "i corpi dei coniugi sono santi quando si mantengono fedeli tra loro e a Dio" [12]. E nel suo trattato successivo sulla vedovanza afferma: "Il bene del matrimonio è sempre qualcosa di buono. In altri tempi, nel popolo di Dio, il matrimonio era obbedienza alla legge, mentre adesso è rimedio alla debolezza e, per alcuni, consolazione della natura umana" [13].
I "bona" del matrimonio
Come risulta da questi passi Sant'Agostino è cosciente non solo della finalità procreatrice del matrimonio, ma anche del suo valore unitivo. Ora, secondo me la dottrina agostiniana dei "bona" matrimoniali - "proles", "fides", "sacramentum" [14] - deve analizzarsi non solo in un contesto meramente istituzionale (come si è solito fare), ma per l'appunto anche in termini personalisti.
In 1500 anni la sua penetrante analisi dei "bona" non ha perso di rilievo [15]. Non è responsabile Sant'Agostino del fatto che essi siano stati successivamente inseriti in (ed appropriati per) una comprensione canonica e istituzionale piuttosto ristretta del matrimonio, che poneva l'accento sull'aspetto dell'obbligo che comporta ogni "bonum" e che si interessava principalmente delle conseguenze giuridiche della sua esclusione. Mi sembra fuor di dubbio che questa preoccupazione della obbligatorietà dei "bona" abbia contribuito a porre in secondo piano la loro reale bontà. Sant'Agostino non ha presentato i "bona" principalmente come obblighi, ma come valori, come benedizioni: "Che queste benedizioni nuziali siano oggetto di amore: la prole, la fedeltà, il vincolo indissolubile. . . . Che chiunque vuole elogiare le nozze, elogi queste benedizioni nuziali" [16]. Per lui, ognuna delle proprietà essenziali della società coniugale - l'esclusività, la stabilità, la procreatività - è un bene che conferisce dignità al matrimonio e che dimostra quanto profondamente esso risponda alle aspirazioni innate della natura umana, potendo pertanto gloriarsi di questa bontà: "E' questo il bene dal quale il matrimonio deriva la sua gloria: la prole, la casta fedeltà, il vincolo indissolubile" [17].
La bontà ed il valore della fedeltà sono ovvi. "Tu sei unico per me": è la prima affermazione veramente personalizzata dell'amore coniugale, eco delle parole che Dio rivolge ad ogni uomo, attraverso il profeta Isaia: "Meus es tu!" - "Sei mio" [18].
La bontà ed il valore del vincolo indissolubile sono chiari: avere un focolare ed un rifugio stabili, sapere che il mutuo appartenersi deve durare per tutta la vita. Tutto ciò è naturale e molto attraente per la persona umana, la quale sa che ci richiederà sacrificio e lo accetta perché ne vale la pena. "E' naturale per il cuore umano accettare sacrifici, perfino quando comportino difficoltà, per amore verso un ideale e soprattutto per amore verso una persona" [19].
C'è infine un valore naturale, un bene veramente personalista nell'unione che, per la sua fecondità, è capace di soddisfare il naturale desiderio dell'auto-perpetuazione e della perpetuazione dell'amore coniugale, nella prole [20].
Vista sotto questa prospettiva, la dottrina agostiniana dei tre "bona" risulta veramente personalista. Se abbiamo perso in gran parte questa coscienza positiva dei valori fondamentali del matrimonio, se tendiamo troppo facilmente a considerare ciò che c'è di oneroso anziché di buono e attraente nella unione esclusiva, permanente e feconda tra l'uomo e la donna, è a noi, e non a Sant'Agostino, che si potrebbe attribuire un eventuale pessimismo.
L'esaltazione pelagiana della sessualità
Gli scritti di Sant'Agostino sulla sessualità e sul matrimonio erano diretti non solo contro le opinioni negative dei manichei, ma anche contro quelle troppo ottimiste dei pelagiani. Esaminando le sue opere anti-pelagiane è altrettanto importante tener conto della natura e dei termini di una controversia nella quale Sant'Agostino si proponeva di difendere una visione cristiana della morale sessuale contro una sua esaltazione naturalista.
Ciò che ci interessa di più, nella sua polemica con i pelagiani, è la natura della concupiscenza. I pelagiani sostenevano che essa è un bene naturale [21], e che sono cattivi soltanto i suoi eccessi [22]. Sant'Agostino sostiene invece che essa è una malattia o disordine in se stessa [23] che accompagna l'uomo come conseguenza del peccato originale.
Agostino considera le imperfezioni dell'uomo, nel suo stato attuale, alla luce della sua prima creazione e del suo destino eterno. In questo punto della sua dottrina - è importante ricordarlo - segue le orme di S. Paolo che, nella sua lettera ai Romani, si era lamentato vivacemente della concupiscenza, frutto del peccato, che lo manteneva schiavo, e che con tanta espressività manifestava l'ansia di vedersi liberato dalla legge del peccato dimorante nelle sue membra [24].
Non c'è niente di manicheo nell'atteggiamento di Agostino verso il corpo, ma non per questo egli ignora che "il nostro corpo grava sull'anima" [25] e, come S. Paolo, anela alla liberazione. E' particolarmente cosciente che la sessualità si trova in una situazione di disordine rispetto al suo disegno originale ed ha nostalgia di quella situazione del Paradiso nella quale l'appetito sessuale non era soggetto alla libido [26] ed i rapporti coniugali sarebbero stati possibili senza il dominio dell'istinto sulla mente, sulla volontà e sull'amore.
Come Paolo, Agostino non usava mezzi termini. Probabilmente per questo è facile estrapolare dal contesto alcune delle sue affermazioni sulla concupiscenza. Ed è proprio quello che fece il vescovo pelagiano Giuliano di Eclanum al quale dobbiamo essere grati, in un certo senso, perché ha dato spunto all'opera di Sant'Agostino "De nuptiis et concupiscentiis", nella quale la preoccupazione del Santo di chiarire molti degli aspetti più delicati del suo pensiero ci aiuta a comprenderlo meglio.
Agostino ed il piacere sessuale
Giuliano aveva tergiversato sulla censura della concupiscenza fatta da Sant'Agostino come se implicasse un giudizio negativo sull'attrazione tra i sessi o sul piacere sessuale provato durante il rapporto coniugale. Agostino respinge energicamente l'accusa secondo cui egli avrebbe condannato le differenze sessuali, la loro unione o la loro fecondità: "Ci chiede se sono le differenze sessuali, o la loro unione o la stessa fecondità ciò che attribuiamo al diavolo. Rispondiamo che non è in causa nessuna di queste qualità perché la differenziazione sessuale corrisponde ai corpi dei genitori, mentre l'unione tra loro corrisponde alla procreazione dei figli ed il loro frutto alla benedizione di cui gode l'istituto del matrimonio. Ma tutte queste realtà sono di Dio ...." [27]. E più tardi ripete che non ha niente da obiettare all'encomio fatto da Giuliano (per conquistare gli spiriti meno maturi) "delle opere di Dio, cioé il suo elogio della natura umana, del seme, del matrimonio, della unione dei sessi e dei suoi frutti: perché tutte queste opere sono buone" [28]. Quando Agostino condanna la concupiscenza, pertanto, non condanna nessuno di questi valori - dati da Dio - della sessualità. Ma c'è un altro punto che è opportuno sottolineare: Sant'Agostino esprime chiaramente che quello che egli considera come il disordine della concupiscenza non può identificarsi nemmeno con il piacere sessuale.
Occorre porre in rilievo tale punto poiché, considerando l'energica critica rivolta da Agostino verso coloro che si lasciano trasportare dalla concupiscenza, un lettore superficiale potrebbe concludere che sta criticando la ricerca del piacere nella unione coniugale, sebbene una lettura più attenta dimostri che non è così.
In un passo del "De bono coniugali" nel quale paragona la nutrizione alla generazione, aveva insistito nell'affermazione secondo cui il piacere sessuale cercato moderatamente e razionalmente non è, né può essere concupiscenza [29]. In un altro passo contrappone il piacere lecito dell'abbraccio coniugale al piacere illecito della fornicazione []. Nella sua controversia con Giuliano, chiarisce che non critica il piacere, "in quanto anche il piacere può essere onesto" [31]. Per di più esprime la sua soddisfazione quando Giuliano ammette che il piacere può essere tanto lecito che illecito [32].
C'è un passo particolarmente interessante che chiarisce il metodo con il quale risponde al suo avversario, senza permettergli che gli attribuisca affermazioni che non ha fatto o posizioni che non sostiene. E' d'accordo con l'enumerazione giuliana degli aspetti del rapporto sessuale che, formando parte della creazione divina, meritano elogio; ma non è disposto a concedere di più. Quando Giuliano afferma - come se Agostino lo avesse negato - che il rapporto sessuale coniugale, con i suoi aspetti di intimità, di piacere, di inseminazione, appartiene a Dio e deve essere lodato, Agostino indica che questi "argomenti" - dixit "cum calore"; dixit "cum voluptate;" dixit "cum semine" - non fanno al caso in quanto Agostino stesso è pienamente d'accordo che si tratti di realtà buone date da Dio. Ma - aggiunge - Giuliano, affermando tutto questo (cercando di assegnarsi dei punti che io mai ho posto in dubbio) non osa menzionare ciò che io ritengo non sia buono in questa relazione coniugale: la concupiscenza carnale o libido [33].
Prima di considerare più approfonditamente ciò che Sant'Agostino intende per concupiscenza carnale, è opportuno ricordare gli aspetti principali di cui si è parlato finora. I beni essenziali del matrimonio - la prole, la fedeltà, il vincolo indissolubile - sono energicamente difesi da Sant'Agostino, che li presenta come benedizioni dello stato matrimoniale. Egli insiste anche sulla bontà delle differenze sessuali, della intimità e del piacere della copula coniugale: tutte realtà date da Dio. Il disordine che Agostino intende segnalare si trova nell'appetito sensibile (che è anche buono in sé [34]), e si riscontra in particolar modo nel campo della sessualità. Le sue riserve, pertanto, riguardano non la bontà del matrimonio, ma la forza e l'effetto della "libido" o "concupiscentia carnis" che, afferma, "non è un bene procedente dalla essenza del matrimonio, ma un male, conseguenza del peccato originale" [35].
La concupiscenza nel matrimonio
Che cosa è, allora, per Sant'Agostino la concupiscenza carnale se non è il piacere della copula sessuale? [36] Essa è quella "disobbedienza della carne", per la quale la volontà umana "ha perso addirittura il potere che le è proprio sulle sue membra" [37]: "quell'appetito carnale che conduce l'uomo a cercare sensazioni, per il piacere che procurano, sia che lo spirito acconsenta sia che si opponga" ad esso [38]. E' questo aspetto disordinato del desiderio sessuale che si sottrae dalla volontà dell'uomo e dall'ordine razionale dell'appetito sessuale: che fa sì che esperimenti il desiderio sessuale nei momenti in cui è impossibile o non lecito soddisfarlo; che confonde il suo senso morale, ispirandogli azioni che la sua mente riprova, comportamenti che dovrebbero essere giudicati "non concupiscendo, sed intelligendo" [39]. In una parola, la concupiscenza è la tendenza trascinanante che cerca il piacere indipendentemente dalla ragione o dalla volontà [40].
Sicuramente pochi si sarebbero opposti a Sant'Agostino se egli si fosse accontentato di presentare, come esempi della concupiscenza, il fenomeno della fornicazione o quello dell'adulterio. Ma non possiamo né vogliamo sottacere che egli parla della concupiscenza nello stesso matrimonio, nell'esercizio delle relazioni coniugali. Una delle idee che ripete spesso è che, perfino nell'uso lecito del matrimonio, un male è presente, che i coniugi casti utilizzano bene [41].
Per alcuni questa sola idea è sufficiente per giustificare l'affermazione che Sant'Agostino mantiene una posizione manichea in relazione alla sessualità. Ritengo, al contrario, che può dimostrarsi non solo che le sue tesi sono veramente cristiane, ma che contengono verità di grande perspicacia ed utilità per l'orientamento sia delle persone sposate che di quelle celibi.
Una parte dell'argomentazione di Sant'Agostino consiste nel fatto che nessuno ha vergogna di ciò che è totalmente buono [42], e si serve di questo punto per dimostrare che qualche elemento di disordine accompagna l'atto coniugale. In particolare argomenta che, anche quando risulta per tutti conveniente compiere le proprie azioni oneste alla luce del giorno, non è questo il caso dell'atto coniugale che - pur essendo onesto - i coniugi si vergognerebbero di compiere in pubblico: "E come mai ciò accade, se non perché quello che per sua natura è onesto, si realizza in maniera tale che l'accompagna una vergogna derivata dalla conseguenza del peccato?" [43]. L'ambiguità appare nello stesso atto coniugale: nel fatto che ciò che deve essere un atto esclusivo di amore può ridursi ad un atto di mero egoismo: ciò che deve essere la massima espressione fisica dell'auto-donazione e della donazione all'altro - piena pertanto di delicatezza - può ridursi ad un atto essenzialmente centrato in sé e teso a soddisfare un poderoso impulso verso il mero piacere fisico.
I coniugi che si amano sinceramente non hanno difficoltà a riconoscere questo elemento che - nella loro mutua relazione - richiede purificazione. Essi sentono la necessità di moderare e frenare la forza che li attrae, in maniera che possano unirsi in un atto che sia di vera donazione mutua e non di mera conquista simultanea. Non possono pertanto abbandonarsi troppo leggermente all'intimità, poiché in essa sono messi alla prova, per lo meno davanti ai propri occhi. E' naturale e logico che non vogliano sottoporre questa prova alla verifica degli altri.
Bisogna anche tenere presente che l'impulso sessuale, oltre ad essere imperioso, tende ad essere indiscriminato; facilmente si separa dall'amore, attraendo la persona in una direzione che l'amore non può o non deve seguire. Potrebbe essere il caso, per esempio, della persona celibe che si sente fortemente attratta verso il marito o la moglie di un amico. Sposandosi non si eliminano queste difficoltà: anche una persona sposata può, ad un tratto, essere tentata da un desiderio sessuale - non cercato e comunque apparentemente incontrollabile - verso una terza persona. Nella stessa vita matrimoniale, tra marito e moglie, il desiderio può sopravvenire in un momento in cui non si può soddisfare o può deviare verso una direzione che non è lecito seguire. Il marito che ama la moglie può trovarsi a volte in questa situazione: è cosciente che la moglie non desidera avere rapporti sessuali mentre lui o, per precisione, il suo istinto, li desidera. Vorrebbe che l'istinto sessuale fosse più sottomesso alla volontà, al controllo della ragione, ma sperimenta che il suo istinto non obbedisce tanto facilmente, per cui egli deve tenerne conto e fare sì che si sottometta. Questa difficoltà, "questa lotta tra la volontà e la libido" [44], questa presenza minacciosa - anche nel matrimonio - dell'egoismo sessuale costituisce il male della concupiscenza che, secondo Sant'Agostino, le persone sposate devono imparare ad usare bene.
Castità Coniugale
Questo disordine della concupiscenza, che nella condizione umana accompagna il bene del matrimonio, è riscattato dalla virtù della castità. Si può riassumere il pensiero di Sant'Agostino su questo punto in una sola frase, nella quale distingue "la bontà del matrimonio dal male della concupiscenza carnale, che la castità coniugale usa bene" [45].
Che cosa sia per Sant'Agostino la castità coniugale si desume dai suoi commenti sul racconto - del libro della Genesi - che narra il comportamento di Adamo ed Eva prima e dopo la caduta. Essi inizialmente erano nudi e non ne provavano vergogna (Gen. 2, 25): "non perché non potessero vedere, ma perché contemplando i loro corpi non sentivano nulla di cui vergognarsi" [46]. In quello stato di natura integra, Adamo ed Eva non avevano sperimentato niente di disordinato - nessun elemento di egoismo - nella reciproca attrazione coniugale. Le occasioni di avere rapporti coniugali sarebbero state determinate non dal mero istinto, ma dalla loro intelligenza e volontà ed avrebbero corrisposto pienamente e connaturalmente al proprio significato di mutua donazione nell'esercizio del loro potere di procreare. "Se non ci fosse stato nessun peccato l'uomo sarebbe stato generato dagli organi della generazione, ubbidienti come le altre membra ad una volontà tranquilla e ordinata" [47].
Sant'Agostino sottolinea la reazione dei nostri progenitori, quando, dopo aver peccato, scoprirono che il desiderio sessuale sembrava essersi disgiunto dalla coniugalità: la vergogna li spinse a coprire i loro corpi e si vestirono. E' importante segnalare che, nonostante fossero marito e moglie e si trovassero soli, fu tra loro due - nei loro reciproci rapporti - che la vergogna si fece presente. Non si trattava della vergogna di essere marito e moglie né tantomeno di esprimere il loro affetto coniugale; si trattava di un elemento nuovo che minacciava la purezza che avevano sperimentato nei loro rapporti originari.
Per effetto della concupiscenza l'uomo e la donna sono assorbiti in modo eccessivo dagli aspetti fisici della sessualità e dalla sua attrazione esteriore. In tale condizione risulta più difficile raggiungere, "vedere" e comprendere il senso interiore, la vera sostanza e l'autentico valore delle differenze e complementarietà sessuali. I nostri progenitori, nello stato della primitiva creazione, avevano una visione più profonda e più piena. Ciascuno di loro era in condizione di contemplare con gioia e tranquillità la nudità dell'altro senza che l'attrazione o la comprensione sessuale - l'arrichimento sessuale - fosse turbato da un eccessivo impatto corporale. L'atto di coprire le loro nudità dopo la caduta fu una reazione naturale diretta a difendere la limpidezza della loro visione, la loro capacità di contemplare la reciproca sessualità nella pienezza del suo significato "sponsale", senza correre il rischio di essere abbagliati dal solo aspetto fisicoUdienza Generale, 2 gennaio, 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 (1980), p. 11-15.>>.
Nella reazione di Adamo ed Eva si scopre la "pudicitia coniugalis": una certa modestia o riservatezza tra marito e moglie che deriva dalla loro vigilanza di fronte a ciò che non onora il mistero della loro reciproca sessualità e che non si realizza conformemente alle leggi che la loro ragione vi scopre: una tendenza che è tentazione di usare, anziché di rispettare l'altro. Adamo ed Eva offrono un primo esempio della castità coniugale, prendendo quelle precauzioni finalizzate a preservare il loro mutuo amore dall'egoismo di quell'istinto "che non obbedisce con prontezza neppure alla volontà dei coniugi casti". [48]
Il comportamento di Adamo ed Eva esemplifica quel senso di vergogna che, dato lo stato attuale della nostra natura, è ora proprio di tutti gli uomini [49]. Il loro comportamento può dunque costituire un chiaro insegnamento: se le persone sposate non osservano una certa moderazione nelle loro relazioni coniugali, può essere minato sia il mutuo rispetto che deve caratterizzare il loro amore, sia l'autentica libertà con la quale la loro reciproca donazione sponsale dovrebbe effettuarsi. [50]
La tradizione cattolica ed il cattivo uso del corpo
Com'è evidente, la castità non si applica soltanto nella vita matrimoniale. Un'esperienza parallela a quella di Adamo ed Eva forse potrebbe essere quella di una coppia adolescente in cui la prima attrazione di un amore completamente idealista improvvisamente cede il passo alla consapevolezza dell'elemento perturbatore della carne. E' necessario riconoscere che anche questa nuova attrazione è naturale, ed al contempo scoprire che non è buona in tutti i suoi aspetti. Parimenti i fidanzati che si preparano al matrimonio possono avere la convinzione che non tutto è buono nell'istinto che li travolge così potentemente e possono mantenere questa convinzione anche quando riconoscano la bontà dell'unione alla quale li attrae. Non è un male sentire l'attrazione di questa unione, ma non è bene lasciarvisi travolgere contro coscienza.
Gran parte dell'attuale "educazione sessuale" cerca di convincere i giovani che non esiste un uso buono ed un altro cattivo della sessualità, essendo di fatto indifferente qualsiasi uso del corpo. Sant'Agostino, conformemente alla tradizione morale cattolica, riafferma che è proprio perché il corpo è buono che si può fare cattivo uso di esso. Così, in un passo tipico, confronta l'uso virtuoso del male della "libido" (vale a dire, l'uso ordinato della sessualità, nonostante il disordine della concupiscenza) da parte degli sposati col cattivo uso del bene del corpo da parte degli impudici [51]. La concupiscenza minaccia costantemente dominando sia le persone sposate che quelle celibi; è necessario, come dice Agostino che "i casti la dominino" [52], essendo per di più la castità un dono di Dio [53].
Si esercita una pressione costante sulla gioventù perché agisca come se la immodestia e non la modestia fosse la cosa naturale; come se un uomo ed una donna, o un ragazzo ed una ragazza non sentissero un rimprovero naturale davanti a determinati modi di esprimersi o di vestirsi o di comportarsi; come se la passione non fosse mai egoista o calcolatrice, con il conseguente obbligo di guidarla come tale e di opporle resistenza. Tutto ciò conduce, attraverso un progressivo indebolimento del senso morale, ad una situazione antinaturale ed inumana nella quale l'atmosfera regnante tra i sessi è di diffidenza, di dubbio, di timore, dove la mancanza di rispetto agisce come un potente fattore di inibizione sull'effettivo sviluppo e maturazione dell'amore.
La consapevolezza che un elemento egoista è presente nel campo della sessualità, non è il risultato di una determinata formazione religiosa. Al contrario, è naturale che ognuno sia consapevole di questo problema [54], così come è naturale che ognuno sia cosciente di questo squilibrio esistente nella propria natura che i cristiani tradizionalmente hanno chiamato peccato originale, e che provoca "desideri contro i quali anche i fedeli devono lottare" [55]. La Chiesa non è pessimista quando insiste che bisogna lottare contro le cattive tendenze della natura caduta: questo è realismo. Sarebbe pessimismo affermare che non è possibile vincere nella lotta. La Chiesa proclama che possiamo essere vittoriosi: con Cristo [56], ma non senza di Lui. Costituirebbe invece una forma di pelagianesimo l'affermazione secondo la quale non esiste battaglia in questo campo.
I fedeli riconoscono senza gran difficoltà le verità che stanno alla base della dottrina della Chiesa. Preferirebbero, senza dubbio, che non ci fosse necessità di lottare [57]; ma, essendo inevitabile la battaglia, ricevono con riconoscenza qualsiasi orientamento positivo riguardante questa guerra che ognuno deve sostenere, e riguardante anche i mezzi spirituali dei quali disponiamo al fine di non essere sconfitti nella lotta, o per rimediare le eventuali sconfitte, e così assicurare la vittoria definitiva.
Conoscenza sessuale e verità
Lo spazio consente solo un breve riferimento ad un'altra questione di cui si occupò Sant'Agostino (sebbene da un punto di vista netamente diverso da quello della presente esposizione): perché Adamo ed Eva (a quanto pare) non ebbero rapporti sessuali nel Paradiso [58]. Fu solo dopo la caduta che - d'accordo con il termine biblico - si conobbero [59]. Il termine che usa la Bibbia è molto espressivo e potrebbe dare spunto ad interessanti riflessioni di carattere pastorale e ascetico.
Per il diritto canonico il consenso personale è al centro della costituzione del vincolo matrimoniale, e nessun potere umano può supplire a questo consenso (c. 1057 § 2). Non sembra necessario postulare che il potere divino - la volontà di Dio -avrebbe sostituito il consenso umano di Adamo ed Eva. Sembra più ragionevole supporre che loro - rendendosi conto che erano stati creati da Dio per essere marito e moglie - accettarono e fecero propria, con gioia, questa scelta divina. Se nel Paradiso, a quanto pare, non ha avuto luogo alcun rapporto sessuale tra loro, ciò accadde perché non erano ancora "preparati ad esso"; si trovavano, per così dire, ancora nel periodo degli sponsali, nella fase di graduale conoscenza come sposi; e la copula coniugale - dal momento che mette in gioco la pienezza dell'auto-donazione, dell'auto-rivelazione, della conoscenza coniugale - non avrebbe ancora avuto senso [60].
La tendenza verso l'unione sessuale quando questa "non ha senso" è l'espressione pratica della concupiscenza carnale, presente nei celibi e negli sposati. Per coloro i quali non sono uniti in matrimonio, la copula non ha alcun senso; essi non possono farsi mutuamente partecipi della conoscenza sponsale che è implicita nella copula, e che si converte pertanto in un atto senza valore. Tra marito e moglie la copula ha senso; lo ha pienamente però solo se l'atto costituisce un'accettazione dell'orientamento procreativo della relazione coniugale. Per questo il rapporto sessuale coniugale contraccettivo è un non senso: "contraddice la verità dell'amore coniugale" [61], ed è prova del dominio della concupiscenza carnale. Anche per tale ragione la copula maritale ristretta ai periodi non fertili, senza validi motivi, ha poco senso, mentre la restrizione della copula a questi periodi, per validi motivi, ha senso, e dimostra il dominio della ragione sull'istinto.
L'imperfezione del rapporto sessuale coniugale non-procreativo
Che cosa si deve pensare dell'opinione di Sant'Agostino, frequentemente espressa, secondo cui il rapporto sessuale coniugale è giustificato solo se è realizzato con l'intenzione di essere procreativo e che contiene un elemento di imperfezione o di mancanza veniale, se si realizza nella ricerca del solo piacere [62]? Agostino si basa su I Cor. 7, 5-7, dove San Paolo consiglia ai coniugi di non astenersi per troppo tempo dai rapporti coniugali, ed aggiunge che dice questo "secundum veniam" (nella vulgata si legge "secundum indulgentiam"). Poiché San Paolo evidentemente sta parlando di ciò che può permettersi agli sposati, è senzaltro possibile dissentire dalla esegesi di Sant'Agostino secondo la quale si starebbe loro imputando un peccato. Mi sembra che la differenza di accento, tra Paolo e Agostino, ma allo stesso tempo la stretta connessione tra il pensiero dell'uno e dell'altro, si veda nella tesi secondo cui cercare la copula coscientemente separata dalla sua finalità procreatrice , per gli sposi, egoismo scusabile (Paolo) ma pur sempre egoismo (Agostino) e, in quest'ultimo senso, una mancanza veniale [63].
Oggi giorno è indubbiamente difficile difendere questa tesi, che sembra trascurare l'aspetto de "humanitatis solatium" del matrimonio. Forse alcuni la respingeranno adducendo che tace sul potere e la funzione unitivi che ha, in sé, l'atto coniugale. Vale la pena di soffermarsi su questo punto.
Agostino, se vivesse oggi (così come anche l'Aquinate), forse insisterebbe sulla dottrina essenziale della Humanae Vitae - per la quale l'aspetto unitivo e quello procreativo dell'atto coniugale sono inseparabili - e ci inviterebbe a ponderare se veramente è opportuno affermare che la copula ha un senso unitivo, "in se", ossia senza riferimento alla sua funzione procreatrice [64]. Se la Humanae Vitae afferma che i due aspetti o significati dell'atto sono inseparabili, non implica di conseguenza che l'esclusione del senso procreativo - perfino ad un livello puramente intenzionale - frustra la singolare capacità dell'atto di esprimere e realizzare l'unione coniugale? In termini umani, il significato di "tu sei mio sposo" è: "tu sei unico per me, e la prova della tua singolarità sta nel fatto che con te e solo con te, sono disposto a condividere il mio potere procreativo". La funzione ed il senso unitivo dell'atto coniugale consiste precisamente in questo condividere la procreatività; non può identificarsi nessun altro elemento nell'atto che lo faccia essere veramente espressivo della singolarità della relazione coniugale [65].
Se gli sposi non cercano consapevolmente l'esperienza unitiva per condividere la loro procreatività complementare, che cosa è se non il mero piacere (separato dal significato) ciò che cercano? Non dico che facciano male a cercare questo piacere, ma suggerisco che questo condividere soltanto il piacere è un surrogato imperfetto (e non coniugale) dell'esperienza veramente unitiva che comporta il rapporto sessuale aperto alla vita.
La castità coniugale si basa necessariamente sulla comprensione e sul rispetto dell'orientamento procreativo dell'atto coniugale. Sant'Agostino sottolinea come la concupiscenza è temprata dal "parentalis affectus". "All'ardore della voluttuosità", dice, "si aggiunge una certa gravità e un senso profondo quando l'uomo e la donna considerano che l'unione coniugale tende a convertirli in padre e madre" [66]. Anche in questa affermazione vediamo ancora una volta che egli non ha nulla da dire contro il piacere, ma insiste su come si deve riflettere sul significato sotteso ad un atto così piacevole come la copula [67].
L'insistenza di Sant'Agostino sulla tesi per cui il rapporto sessuale coniugale è razionale soltanto se è aperto alla procreazione può sembrare, a prima vista, che trascuri il fattore personalista della sessualità. Tuttavia un'analisi più attenta deve condurci ad imporre la questione se si possa avere un vero personalismo coniugale che sia anti-procreativo; se la sessualità deliberatamente separata dal suo orientamento procreativo possieda un significato coniugale razionale e personalista?
Siamo comunque liberi di dissentire da Sant'Agostino o da San Tommaso. Occorre tuttavia chiedersi se oggi non esista una tendenza ad insegnare agli sposati che non c'è niente che ha bisogno di essere moderato nella loro relazione fisica; che non devono tener conto di questo elemento egoista nella sessualità, che è capace di minare il loro mutuo amore. Un autentico servizio pastorale verso le persone sposate dovrebbe logicamente aiutarle a riflettere su questo potenziale egoismo che può introdursi nei loro rapporti intimi e che tende a farsi sempre più presente nella misura in cui l'atto coniugale viene separato deliberatamente dal suo orientamento procreativo. Nell'insegnamento di Sant'Agostino, la castità coniugale mantiene gli sposi al di qua del "limes mali" [68], ossia della frontiera del male: se si va oltre si entra nell'area della colpa morale.
In un altro articolo [69] ho affermato che appare inadeguato voler spiegare il piacere dell'atto coniugale esclusivamente in funzione della sua finalità procreatrice. Sembra logico affermare che l'abbondanza del piacere nell'atto corrisponde al senso gioioso della mutua donazione e del mutuo possesso coniugale. Tuttavia fa parte della mia argomentazione che se si snatura deliberatamente l'atto per mezzo della contraccezione, si distruggono questi valori personalisti, presenti per natura nell'atto coniugale. Se i coniugi permettono che il piacere abbia per loro una importanza eccessiva corrono il rischio di prendere prima di dare, e di perdere così il senso della loro mutua donazione. La castità coniugale li aiuterà a dare priorità ai valori veramente personalisti ed a tenerli sempre presenti: è la riaffermazione, per mezzo dell'atto coniugale, della loro relazione sponsale, che si fa viva in questo condividere una procreatività aperta alla vita. Questa prospettiva più alta esprime e mantiene la loro buona volontà. Allora, come afferma Sant'Agostino, la buona volontà degli sposi guida e nobilita il piacere susseguente (che cercano e sperimentano), ma non si lascia da esso dominare [70].
Neo-dualismo
Forse agli inizi del XX secolo i cristiani dovettero liberarsi da un certo puritanesimo in materia sessuale (bisogna però riconoscere che questo è stato un problema peculiare del protestantesimo). Non è questo, evidentemente, il problema attuale. In questa prospettiva non è superfluo ricordare che Sant'Agostino prima ha dovuto difendere il matrimonio e la sessualità dalla tendenza manichea che li disprezzava; e dopo ha dovuto proteggerli dalla propensione dei pelagiani a trattarli come se non implicassero alcun elemento delicato o problematico.
Sembra che ci siamo allontanati dagli elementi semimanichei presenti nel puritanesimo o nel giansenismo. Tuttavia la posizione di Agostino - fermamente sostenuta senza estremismi [71] - può prevenirci, in cambio, dai pericoli provenienti da un neo-pelagianesimo, secondo cui niente è male nella sessualità, nulla richiede controllo in tale materia.
Sant'Agostino si è reso verosimilmente conto di qualcosa che noi dovremmo ben ponderare [72]. La posizione che nega che la sessualità presenti una speciale difficoltà, può finire col negare che possieda una particolare bontà. Se il pelagianesimo (o il neopelagianesimo) non si confronta con il potenziale egoismo dell'istinto sessuale, allora - nonostante la sua apparente esaltazione della sessualità - può provocare una reazione quasi-manichea, che converte il sesso in qualcosa di futile. Non mancano manifestazioni in tal senso nell'attuale svalorizzazione del matrimonio e della procreazione. La sessualità, priva di mistero e di significato, di importanza e di difficoltà, si sta separando sia dall'ordine della realtà che da quello della grazia. Essa viene presentata sotto una luce sempre più spersonalizzata e disumanizzata, come un'attività meramente corporale o fisiologica alla quale l'uomo può partecipare senza impegnare il suo spirito. Il dualismo presente in questa posizione è profondamente anti-umano e anti-cristiano.
NOTE
[1] Tema molto dibattito negli ultimi anni. Fra altri studi positivi, cfr.: Faul, D.: "Saint Augustine on Marriage" Augustinus 12 (1967) pp. 165-180; Thonnard, Fr.-Joseph: "La morale conjugale selon saint Augustin" Revue des Etudes Augustiniennes 15 (1969), pp. 113-131; Zalba, M.: "En torno a una interpretación agustiniana" Augustinus 15 (1970) pp. 3-18; Samek, L.E.: "Sessualità, matrimonio e concupiscenza in sant'Agostino": Studia Patristica Mediolanensia, 5, Milano, 1976, pp. 212-272.
[2] cf. Schmitt, E., Le mariage chrétien dans l'oeuvre de Saint Augustin, Etudes Augustiniennes, Paris, 1983, pp. 107ss.
[3] "Non siete voi che considerate la procreazione dei figli come qualcosa di più abominevole della coabitazione stessa?": "nonne vos estis qui filios gignere, eo quod animae ligentur in carne, gravius putatis esse peccatum quam ipsum concubitum?" De moribus Manich. c. 18, n. 65 (PL 32, 1372).
[4] "Non enim concubitum, sed ut longe ante ab Apostolo dictum est (I Tim. 4, 3), vere nuptias prohibetis, quae talis operis una est honesta defensio" De moribus Manich. c. 18, n. 65 (PL 32, 1372). cf. Contra Faustum Manich., lib. 30, c. 6 (PL 42, 494).
[5] cfr. Covi, D.: "El fin de la actividad sexual según San Agustín" Augustinus 17 (1972), p. 58; Samek, op. cit, p. 232.
[6] De cont. c. 9, n. 23 (CSEL 41, 168ss).
[7] "Sociale quiddam est humana natura, magnumque habet et naturale bonum vim quoque amicitiae... Prima itaque naturalis humanae societatis copula vir et uxor est... Consequens est connexio societatis in filiis, qui unus honestus fructus est, non coniunctionis maris et feminae, sed concubitus. Poterat esse in utroque sexu, etiam sine tali commixtione... amicalis quaedam et germana coniunctio" De bono coniug., c. 1 (PL 40, 373).
[8] "bonum coniugii... cur sit bonum merito quaeritur: Quod mihi non videtur propter solam filiorum procreationem, sed propter ipsam etiam naturalem in diverso sexu societatem" De bono coniug., c. 3, n. 3 (PL 40, 375).
[9] "quae prima est humani generis in ista mortalitate societas" c. 6, n. 6 (PL 40, 377).
[10] "Nunc vero in bono licet annoso coniugio, etsi emarcuit ardor aetatis inter masculum et feminam, viget tamen ordo caritatis inter maritum et uxorem" c. 3, n. 3 (PL 40, 375).
[11] "fides honoris et obsequiorum invicem debitorum" ibid.
[12] "Sancta sunt ergo etiam corpora coniugatorum, fidem sibi et Domino servantium" c. 11, n. 13 (CSEL 41, 204).
[13] "Nuptiarum igitur bonum semper est quidem bonum; sed in populo Dei fuit aliquando legis obsequium; nunc est infirmitatis remedium, in quibusdam vero humanitatis solatium" De bono vid., c. 8, n. 11 (CSEL 41, 317).
[14] De bono con. c. 24, n. 32 (CSEL 41, 227); De nupt. et conc. I, c. 17, n. 19 (PL 44, 424); De Gen. ad litt., lib. IX, 7, (CSEL 28, 275); De pecc. orig., c. 34, n. 39 (CSEL 42, 197); De sancta virginitate, c. 12, n. 12 (CSEL 41, 244-245).
[15] cfr. Pereira, B. Alves,: La doctrine du mariage selon saint Augustin, Paris, 1930; Reuter, A., Sancti Aurelii Augustini doctrina de bonis matrimonii, Romae, 1942; Samek, op. cit. pp. 215-218.
[16] "In nuptiis tamen bona nuptialia diligantur, proles, fides, sacramentum... Haec bona nuptialia laudet in nuptiis, qui laudare vult nuptias" De nupt. et conc. I, c. 17, n. 19 (CSEL 42, 231-232); cf. c. 21, n. 23.
[17] "illud esse nuptiarum bonum, unde gloriantur nuptiae, id est proles, pudicitia, sacramentum" De pecc. orig., c. 37, n. 42 (CSEL 42, 200).
[18] Is. 43, 1.
[19] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 28 aprile 1982; cfr. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 (1982), p. 1344.
[20] cfr. la conferenza dell'autore: "The Goodness of the Bonum Prolis" (presentata nel "Princeton University Symposium on Humanae Vitae": 7-12 agosto, 1988), in International Review, vol. XII, no. 3 (1988), pp. 181ss.
[21] Contra Jul. Pel. IV, c. 21 (PL 45, 1348).
[22] De nupt. et conc. II, c. 19, n. 34 (CSEL 42, 287).
[23] cfr. De nupt. et conc. II, c. 32, n. 54 (CSEL 42, 311); Contra Jul. Pel. V, c. 39 (PL 44, 807).
[24] Rom. 7: 8, 23-24; cf. Gal. 5: 17.
[25] in riferimento a Rom 7, 24: "Ubi quid intellecturi sumus, nisi quia corpus quod corrumpitur, aggravat animam?" De nupt. et conc. I, c. 31, n. 35 (PL 44, 433).
[26] De nupt. et conc. I, c. 27, n. 30 (CSEL 42, 242); De civ. Dei XIV, c. 23, c. 24 (CSEL 40 (2), 47ss); Contra Jul. Pel. III, c. 25, n. 57 (PL 44, 731-732); De Gen ad litt. IX, c. 10, n. 18 (CSEL 28, 278-280).
[27] "Vides igitur quemadmodum nos interroget... utrum diversitatem sexuum dicamus ad diabolum pertinere an commixtionem an ipsam fecunditatem. Respondemus itaque: nihil horum, quia et diversitas sexuum pertinet ad vasa gignentium et utriusque commixtio ad seminationem pertinet filiorum et ipsa fecunditas ad benedictionem pertinet nuptiarum. Haec autem omnia ex Deo..."" De nupt. et conc., II, c. 5, n. 14 (CSEL 42, 265).
[28] "insinuare se nititur cordibus parum intelligentium, laude operum divinorum, hoc est, laude naturae humanae, laude seminis, laude nuptiarum, laude utriusque sexus commixtionis, laude fecunditatis: quae omnia bona sunt" De nupt. et conc. II, c. 26, n. 42 (PL 44, 460).
[29] "et utrumque non est sine delectatione carnali, quae tamen modificata et temperantia refrenante in usum naturalem redacta libido esse non potest" De bono coniug. c. 16, n. 18 (CSEL 41, 210).
[30] "Delectant coniugales amplexus: delectant etiam meretricum. Hoc licite, illud illicite". Sermo 159, c. 2, n. 2 (PL 38, 868-869).
[31] "quia potest voluptas et honesta esse..." De nupt. et conc. II, c. 9, n. 22 (CSEL 42, 274)
[32] "Satis est nobis, quod confitearis aliam esse illicitam, aliam licitam voluptatem. Ac per hoc mala est concupiscentia quae indifferenter utrumque appetit, nisi ab illicita voluptate licita voluptate frenetur" Contra Jul. Pel. VI, c. 16, n. 50 (PL 44, 852); cf. ib. IV, c. 2, n. 7 (PL 44, 739).
[33] Il brano intero è: "«Ista», inquit, «corporum commixtio cum calore, cum voluptate, cum semine a Deo facta et pro suo modo laudabilis adprobatur» ... Dixit «cum calore», dixit «cum voluptate», dixit «cum semine», non tamen dicere ausus est «cum libidine». Quare, nisi quia nominare erubescit, quam laudare non erubescit?" De nupt. et conc. II, c. 12, n. 25 (CSEL 42, 277).
[34] Op. imperf. c. Jul. IV, c. 29 (PL 45, 1353).
[35] "Non enim est ex naturali conubio veniens bonum, sed ex antiquo peccato accidens malum" De nupt. et conc. I, c. 17, n. 19 (CSEL 42, 232).
[36] E se, pertanto, non è neppure il desiderio razionale del piacere.
[37] "...etiam in membra propria proprium perdidisset imperium" De nupt. et conc. I, c. 6, n. 7 (CSEL 42, 219); cf. De Gen. ad litt. IX, 10ss (CSEL 28, 278ss).
[38] "Libido autem sentiendi est, de qua nunc agimus, quae nos ad sentiendum, sive consentientes mente, sive repugnantes, appetitu carnalis voluptatis impellit" Contra Iul. Pel. IV, c. 14, n. 65 (PL 44, 770).
[39] Op. imperf. c. Jul., IV, 69 (PL 45, 1379).
[40] Sembra più opportuno descrivere la concupiscenza come "un manque de contrôle de la raison et de la volonté sur les mouvements des organes sexuels" (Schmitt, E.: op. cit. p. 95), piuttosto che semplicemente come "the passionate, uncontrolled element in sexuality" (Bonner. G.: St Augustine of Hippo, Canterbury Press, 1986, p. 375). Le passioni dell'uomo fanno parte della sua natura, anche nel suo stato originale. Ciò che caratterizza la concupiscenza non è l'elemento passionale, bensì la mancanza di controllo.
[41] cf. De nupt. et conc. II, c. 21, n. 36 (CSEL 42, 290); De pecc. orig. c. 37, n. 42 (CSEL 42, 200); De cont. c. 12, n. 27 (CSEL 41, 177); Contra Iul. Pel. V, c. 16, (PL 44, 819), etc. cfr. S. Tommaso d'Aquino, Suppl., q. 41, art. 3 ad 4.
[42] "cum debeat neminem pudere quod bonum est" De nupt. et conc. II, c. 21, n. 36 (CSEL 42, 290).
[43] "Unde hoc, nisi quia sic geritur quod deceat ex natura, ut etiam quod pudeat comitetur ex poena?" De civ. Dei, XIV, c. 18 (CSEL 40, 41); cf. Contra duas Ep. Pelag. I, c. 16, n. 33 (CSEL 60, 450). Alcune espressioni meno esatte di Sant'Agostino che si riscontrano quando parla della concupiscenza, e che apparentemente comportano l'implicazione di una colpa personale, sono corrette da S. Tommaso d'Aquino che insegna chiaramente che la concupiscenza permane in noi come un difetto ("poena") che accompagna la nostra natura .
Come mai i coniugi, che non hanno nessun problema per esprimere pubblicamente il mutuo affetto attraverso uno sguardo o un sorriso si vergognerebbero di compiere l'atto coniugale davanti agli altri incluso - anche l'esempio è di Sant'Agostino - davanti ai propri figli?
La spiegazione si trova in parte nella natura imperiosa dell'impulso sessuale, alla radice del quale esiste un elemento ambivalente che penetra perfino nella sessualità coniugale<sanare questo amore" - anche nelle sue espressioni fisiche - "perfezionarlo e elevarlo" (Gaudium et Spes, n. 49; cf. Familiaris consortio, n. 3). La grazia divina è necessaria per sanare le ferite della concupiscenza sessuale: cfr. Thonnard, F.-J.: "La morale conjugale selon saint Augustin", op. cit., p. 131.
[44] "hanc voluntatis et libidinis rixam" De civ. Dei XIV, c. 23, n. 3 (CSEL 40, 49).
[45] "nuptiarum bonum a concupiscentiae carnalis malo, quo bene utitur pudicitia coniugalis" De nupt. et conc. II, Prefazio (PL 44, 435-436); cf. Op. imperf. c. Jul. Prefazio (CSEL 85/1, 3).
[46] "non quia non videbant, sed quia nihil unde confunderentur in membris senserant, quae videbant" De nupt. et conc. I, c. 5, n. 6 (CSEL 42, 218).
[47] "...si peccatum non praecessisset, tranquillae voluntati obedientibus sicut cetera membra genitalibus seminaretur homo" De nupt. et conc. II, c. 7, n. 17 (CSEL 42, 270); cf. ibid. c. 22, n. 37; c. 31, n. 53.
[48] "ita ut ipsis quoque pudicis ad nutum non obtemperet coniugatis" De nupt. et conc. II, c. 35, n. 59 (CSEL, 42, 318).
[49] "Hoc pudoris genus, haec erubescendi necessitas certe cum omni homine nascitur et ipsis quodammodo naturae legibus imperatur, ut in hac re verecundentur etiam ipsa pudica coniugia" Contra Duas Ep. Pelag. I, c. 16, n. 33 (CSEL 60, 450).
[50] "... quella libertà interiore del dono, che per sua natura è esplicitamente spirituale e dipende dalla maturità interiore dell'uomo. Questa libertà presuppone una tale capacità di dirigere le reazioni sensuali ed emotive da rendere possibile la donazione dell'uno verso l'altro in base al maturo possesso di se stessi ..." Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 7 novembre, 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2 (1984), p. 1174-1175.
[51] "bonum opus est bene uti libidinis malo, quod faciunt coniugati, sicut e contrario malum opus est, male uti corporis bono, quod faciunt impudici" Contra Jul. opus imperf. 5, 12 (PL 45, 1143).
[52] "... de libidine imperiosa impudicis, domanda pudicis" De nupt. et conc. II, c. 35, n. 59 (CSEL, 42, 316). L'Aquinate dice che la continenza "importat resistentiam rationis ad concupiscentias pravas" (II-II, q. 155, art. 4).
[53] "...donum esse et hoc a Deo" De bono vid. c. 4, n. 5 (CSEL, 41, 309); cf. De nupt. et conc. I, c. 3, n. 3 (CSEL, 42, 213).
[54] cf. Thonnard, F.-J.: "La notion de concupiscence en philosophie augustinienne", Recherches Augustiniennes 3 (1965), p. 95.
[55] "operatur desideria, contra quae dimicant et fideles" Contra Jul. Pel. II, c. 3, n. 5 (PL 44, 675)
[56] "Tutto posso in Colui che mi conforta" Fil 4, 13.
[57] "Nullus quippe sanctorum est, qui non velit facere ne caro adversus spiritum concupiscat" Op. imperf. contra Iul. VI, c. 14 (PL 45, 1531).
[58] cf. S. Tommaso: Prima Pars, q. 98, art. 2 ad 2.
[59] cfr. Gen 4, 1.
[60] Se si suppone - sebbene questa tesi non sia scevra da difficoltà - che solo in un momento successivo acconsentirono di essere marito e moglie, la questione è ancora più chiara: la copula - l'atto di conoscenza coniugale - quando non era ancora intervenuto il loro consenso ad essere sposi, non avrebbe avuto senso in assoluto.
[61] Giovanni Paolo II, Allocuzione, 17 settembre, 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 2 (1983), p. 563.
[62] "Numquid hoc non est peccatum, amplius quam liberorum procreandorum necessitas cogit, exigere a coniuge debitum? Est quidem peccatum, sed veniale" Sermo 51, c. 13, n. 22 (PL 38, 345); cfr. De bono coniug. c. 6, n. 6 (CSEL, 41, 195); De nupt. et conc. I, c. 15, n. 17 (CSEL, 42, 229); Contra Jul. Pel. V, c. 16, n. 63 (PL 44, 819); Op. imperf. c. Jul. I, 68 (CSEL, 85/1, 74), ecc. E' da notare che l'Aquinate insegna lo stesso: II-II, q. 154, art. 2 ad 6; Suppl. q. 49, art. 5; cf. q. 41, art. 4.
[63] cfr. Samek, op. cit., pp. 245-247.
[64] cfr. Samek, op. cit., p. 271.
[65] cfr. lo studio dell'autore, "The Inviolability of the Conjugal Act" in Creative Love (Findings of the San Francisco Conference on Human Reproduction: July 1987), Christendom Press, 1989, pp. 151-167; pubblicato sotto il titolo di "Marriage and Contraception", anche nel L'Osservatore Romano (ediz. inglese), 10 Ottobre, 1988, pp. 7-8.
[66] "Intercedit enim quaedam gravitas fervidae voluptatis, cum in eo, quod sibi vir et mulier adhaerescunt, pater et mater esse meditantur" De bono coniug., c. 3 (CSEL, 41, 191). La "gravitas" di questo passaggio sembra riferirsi chiaramente anche al senso profondo dell'atto, specialmente se consideriamo che Sant'Agostino sta trattando degli sposi che meditano sulla finalità naturale dell'atto che compiono.
[67] San Tommaso indica che il difetto della copula coniugale non consiste nella intensità del piacere che l'accompagna (e che egli difende), ma nel fatto che questo piacere non segue la guida della ragione: Suppl., q. 49, art. 4 ad 3.
[68] cf. Contra Jul. Pel. IV, c. 8, n. 49 (PL 44, 763).
[69] "The Inviolability of the Conjugal Act", loc. cit, pp. 163-164.
[70] "bona voluntas animi sequentem ducit, non ducentem sequitur corporis voluptatem" De nupt. et conc. I, c. 12, n. 13 (CSEL, 42, 226). Occorre notare qui come l'Aquinate fa risaltare, audacemente, l'attitudine cattolica verso il piacere. Insegna che nello stato di innocenza il piacere della copula coniugale sarebbe stato addirittura maggiore, come conseguenza del possesso di una natura più pura dotata di un corpo più sensibile (Prima Pars., q. 98, art. 2 ad 13).
[71] cf. De nupt. et conc. II, c. 3, n. 9 (CSEL, 42, 260); Contra duas Ep. Pelag. II, c. 2, nn. 2-4 (CSEL, 60, 461-463); Op. imperf. c. Jul. III, c. 177 (CSEL, 85/1, 478), ecc.
[72] cfr. Op. imperf. c. Jul. VI, c. 14 (PL 45, 1529).